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Caserma Forestale, assolti Giosi Ferrandino e Silvano Arcamone

ISCHIA. Assolti perché il fatto non sussiste. E’ questa la formula utilizzata dal giudice Marco Occhiofino, che ha messo la parola fine al processo per la costruzione della Caserma della Guardia Forestale nel bosco della Maddalena a Casamicciola. Un mese fa il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a un anno e sei mesi per i cinque imputati: Giosi Ferrandino, ex sindaco di Ischia, l’architetto Silvano Arcamone, già dirigente dell’ufficio tecnico, Donato Carlea, Provveditore interregionale per le opere pubbliche  per la Campania e il Molise, Nicoletta Liviana Buono, funzionaria del Provveditorato, e Domenico Parracino,  legale rappresentante della impresa esecutrice dei lavori, pur  concedendo le attenuanti generiche. I cinque sono stati quindi assolti con una formula che comprensibilmente soddisfa in pieno le difese, che hanno visto accolte tutte le proprie istanze. Il giudice nel dispositivo ha anche ordinato il dissequestro del cantiere.

Termina così un processo i cui riflessi a un certo punto assunsero anche rilievo mediatico nazionale, viste le implicazioni di carattere ambientale e le conseguenti proteste politiche che si levarono intorno a una vicenda che si è ben presto aggrovigliata su sé stessa, con conflitti e scarichi di responsabilità tra vari enti della pubblica amministrazione, nel più classico dei guazzabugli all’italiana. Com’è noto, il verdetto sarebbe oscillato tra l’assoluzione, come è poi avvenuto, e la dichiarazione di prescrizione dei reati, visto il tempo trascorso dai fatti contestati, in relazione ai quali la Procura aveva ipotizzato una serie di reati, dall’abuso edilizio a quello paesistico, dalla distruzione di bellezze naturali ad alcune ipotesi di falso ideologico.

Ieri mattina, prima della sentenza, si sono svolte le ultime arringhe difensive, quella dell’avvocato Siniscalchi per Donato Carlea, e quella dell’avvocato Gennaro Tortora, legale di fiducia di Giosi Ferrandino e Silvano Arcamone. In particolare, l’avvocato Tortora ha parlato senza mezzi termini di un processo falsificato da elementi che hanno snaturato l’accertamento dei fatti, relativi all’abbattimento di pochi pini in un bosco di diversi ettari. Si è distorta la natura pacifica di un errore materiale, quello della particella catastale numero 9 invece della numero 1, come sarebbe dimostrato dagli atti amministrativi. Inoltre, secondo la difesa, si sarebbe tralasciato di ragionare sulla circostanza costituita da un interesse pubblico, quello del Ministero, che intendeva costruire la caserma in un’area tutto sommato ridotta, rispetto ai quarantamila ettari, caserma che fra l’altro era prevista dalla legge. Fra l’altro, lo Stato per costruire un immobile a supporto di interessi pubblici non ha bisogno di alcuna autorizzazione. Il penalista ha dichiarato che nel corso del lungo dibattimento sarebbero emerse alcune dichiarazioni del tutto in conferenti, dettate da semplici interessi di parte. L’avvocato ha citato, a livello esemplificativo, il caso della testimonianza di un maresciallo che non conosceva quali erano gli atti amministrativi rilevanti, e quello di un soprintendente che avrebbe negato l’evidenza secondo cui la Soprintendenza non aveva espresso parere negativo sull’autorizzazione emessa dal Comune. Sono stati citati anche i casi in cui a livello politico vennero sconfessati i pareri positivi dati in sede di conferenza di servizi, oppure alcune dichiarazioni contraddittorie del teste Mennella, che avrebbe parlato dell’edificazione della caserma in un altro sito, quando invece il luogo fisico era quello dove poi furono effettivamente gettate le fondamenta. Soprattutto, secondo la difesa sarebbe risultata particolarmente anomala la testimonianza del geometra Conte, che avrebbe negato l’evidenza di dati acclarati: incaricato specificamente dal Comune per l’individuazione dell’area entro cui costruire la caserma, egli disse di aver trovato l’area già delimitata da paletti apposti dalla Regione, quando invece nessun altro ente, a parte il Comune, era stato autorizzato a individuare la superficie. In relazione a queste due circostanze, l’avvocato Tortora ha chiesto al giudice di valutare le circostanze contraddittorie emerse da tali deposizioni. Altro elemento messo in luce nell’arringa è la mancanza di indagini circa l’attività amministrativa e politica svolta tra il 2007 e il 2009, cioè quando si perfezionarono taluni atti pubblici fino all’inizio dei lavori. Infine, l’avvocato Tortora ha ribadito l’inesistenza di atti amministrativi emessi da Giosi Ferrandino e da Silvano Arcamone, che proprio nel 2007 lasciarono ogni incarico ricoperto fino a quel momento nel comune termale. In sintesi secondo il penalista, che ha chiesto l’assoluzione per i propri assistiti, si è trattato di un processo “kafkiano”: lo Stato contro sé stesso. Dopo la conclusione della discussione, non si è dovuto attendere molto per il verdetto, arrivato in tarda mattinata: un verdetto che arriva a dieci mesi esatti di distanza da quello, altrettanto positivo per Giosi Ferrandino e Silvano Arcamone, nel processo Cpl Concordia.

 

Francesco Ferrandino

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