Caso Corricella, legittimo l’accesso agli atti
La IV Sezione del Consiglio di Stato scrive la parole fine su un contenzioso giudiziario che ha interessato l’isola di Procida ma che contiene in ogni caso riferimenti giuridici decisamente interessanti: respinto il ricorso di Vincenzo Gentile che richiedeva l’annullamento della consegna di documentazione a Cesare Piro sul presupposto che la stessa un carattere generico e non atti identificabili. I giudici non hanno avuto dubbi nel sancire che “l’appello palesa profili di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse ma la sentenza contiene anche alcuni passaggi significativi
Una sentenza decisamente significativa in tema di urbanistica legata al titolo abilitativo e di diritto di accesso agli atti è stata emessa dalla IV Sezione del Consiglio di Stato per una vicenda che tra l’altro interessa anche territorialmente facendo riferimento all’isola di Procida. La sentenza in questione è quella che è stata pronunciata dall’organo giudicante sul ricorso presentato da Vincenzo Gentile (rappresentato dagli avvocati Giovanni Verde e Luciana Verde) contro Cesare Piro (difeso dall’avvocato Bruno Molinaro). Il ricorrente nello specifico chiedeva la riforma di una sentenza del TAR Campania a lui sfavorevole. I giudici amministrativi avevano accolto il ricorso del Piro “per l’annullamento del silenzio-diniego formatosi per l’infruttuoso decorso del termine di 30 giorni, di cui all’art. 25 della legge n. 241/90, sulla istanza di accesso agli atti presentata al comune di Procida in data 16 ottobre 2023 e protocollata il 17 ottobre 2023: per l’accertamento del diritto del sig. Piro di accedere agli atti richiesti, con obbligo dell’amministrazione intimata di consentirgli di prenderne visione ed estrarne copia; ha condannato il Comune di Procida al pagamento delle spese di lite (euro 1.500,00) in favore del sig. Piro, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario, compensandole nei confronti del contro interessato costituito”. Ma torniamo ai fatti. Il ricorrente aveva presentato richiesta di accesso agli atti e nella sentenza viene anche esplicato il perché quando si legge testualmente: “A sostegno dell’istanza ha evidenziato la propria legittimazione quale proprietario dell’immobile danneggiato e, dunque, quale titolare del requisito della vicinitas, a chiedere ed ottenere, in relazione agli interventi che i signori Gentile hanno eseguito, anche di recente, all’interno della loro proprietà, copia di eventuali titoli abilitativi edilizi rilasciati o, comunque, ottenuti a seguito di presentazione di D.I.A., S.C.I.A. o C.I.L.A., nonché di eventuali autorizzazioni assentite ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/04 e di pareri presupposti rilasciatI per le opere realizzate, nessuna esclusa, dall’amministrazione statale, ovvero dalla Soprintendenza, sua articolazione periferica”.
Si arriva così al novembre 2023 quando Piro insiste nella richiesta di ostensione degli atti e poi a fronte di un nuovo diniego decide per l’appunto di rivolgersi al TAR Campania che come detto ha accolto il suo ricorso. Di fronte a questa sentenza Vincenzo Gentile si è rivolto al Consiglio di Stato, si legge, “censurando la sentenza per avere ritenuto ammissibile l’istanza di accesso nonostante la stessa non avesse ad oggetto (identificati o identificabili) ‘documenti’, bensì la (generica) ‘documentazione’. L’erroneità della decisione, espone parte appellante, starebbe nell’avere assentito l’accesso a fronte di una istanza generica. Il problema, precisa l’appellante, non consisterebbe nella produzione dei documenti, ma nell’epoca dell’ultimo rilascio di atti in qualsiasi forma autorizzativi: il TAR avrebbe potuto chiedere informazioni al Comune sulla esistenza dei documenti, prima di inserire in sentenza un riferimento ad inesistenti e mai invocati ‘recenti interventi’. Il giudice territoriale neppure avrebbe chiarito quale sia la situazione afferente al diritto di proprietà violata né quale sarebbe l’interesse ambientale da tutelare. La decisione sarebbe, pertanto, errata per avere ritenuto sussistente una legittimazione ad accedere agli atti del tutto inesistente”. I giudici in ogni caso non hanno dubbi e spiegano che “l’appello palesa profili di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse. Il Comune, in esecuzione della sentenza n. 6144 del 2023, non sospesa e quindi esecutiva, ha rilasciato al sig. Piro l’intera documentazione di cui alla istanza di accesso. La circostanza è attestata da entrambe le parti, che la evidenziano nelle rispettive memorie conclusive depositate in prossimità dell’udienza. L’avvenuto rilascio dei documenti, per un verso, realizza definitivamente l’interesse sostanziale della parte appellata; dall’altro, priva la parte appellante dell’interesse (altrettanto sostanziale) a coltivare il presente giudizio col quale egli intende opporsi alla ostensione, non potendo una eventuale pronuncia a sé favorevole rendere reversibili gli effetti, ormai verificatisi, conseguenti alla consentita ostensione”.
Ma c’è una chiosa chiara e significativa:«Dal combinato disposto delle prefate norme si evince un obbligo di pubblicazione dei titoli edilizi e un dovere di controllo sull’attività edilizia, anche su sollecitazione del privato cittadino»
Attenzione però perché la sentenza contiene un passaggio significativo anche per la sua valenza. Nello specifico si legge che «L’articolo 20 del d.p.r. n. 380/2001 (c.d. testo unico edilizia) dispone che “dell’avvenuto rilascio di un titolo edilizio va dato avviso all’albo pretorio”. Il successivo articolo 27, stabilisce, al comma 1, che “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”; al comma 2, che la “inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1” può essere “constatata, dai competenti uffici comunali d’ufficio o su denuncia dei cittadini”; infine, al comma 4 che “Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire, ovvero non sia apposto il prescritto cartello, ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia, ne danno immediata comunicazione all’autorità giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti». E poi un’ulteriore inequivocabile chiosa: «Dal combinato disposto delle prefate norme si evince un obbligo di pubblicazione dei titoli edilizi e un dovere di controllo sull’attività edilizia, anche su sollecitazione del privato cittadino. Tali disposizione non possono che essere interpretata nel senso che tale onere di pubblicazione è funzionale a consentire a qualsiasi soggetto interessato di visionare gli atti del procedimento, in ragione di quel controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso garantire. I titoli edilizi sono, infatti, atti pubblici, perciò chi esegue le opere neppure può opporre un diritto di riservatezza. Peraltro queste conclusioni non possono essere diverse nemmeno in relazione alla tipologia del titolo edilizio utilizzato, permesso di costruire, Scia o Cila, trattandosi soltanto di una diversa modalità dell’esercizio del diritto dominicale all’utilizzo edificatorio del fondo».