CULTURA & SOCIETA'

C’era una volta a Ischia, al Mann l’archeologia perduta e ritrovata

L’emergenza non ferma la cultura. Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli nuove sezioni su Preistoria e Protostoria in Campania e la riapertura definitiva al pubblico di due sale con i reperti isolani

Dal Neolitico all’età arcaica. I frammenti di vasellame del Castiglione, i manufatti di Vivara, l’insediamento di Pithecusae, l’abitato di Punta Chiarito, gli originali delle tavole votive di Nitrodi. Dopo vent’anni di chiusura (interrotti da fruizioni lampo), e superata l’emergenza Covid-19, torneranno alla disponibilità dei visitatori del Museo Archeologico Nazionale di Napoli le due sale interamente dedicate a Ischia. Un’esposizione permanente, definitiva, per un appassionante viaggio nella storia prima della Storia della più grande delle isole del golfo. L’occasione è la riapertura della sezione “Preistoria e Protostoria” del MANN. Tremila reperti, otto sale, uno straordinario racconto che parte da 450mila anni fa per seguire le grandi tappe della vita dell’uomo, dalla Preistoria alla Protostoria.

A inizio percorso, il visitatore è accolto da una lunga e verticale linea del tempo, per mostrare la successione, soltanto apparentemente remota ed indefinibile, di Età diverse: eppure non soltanto le epoche, ma anche i luoghi, sono i protagonisti di questo nuovo, interessante allestimento.

Le migliaia di reperti in mostra, infatti, restituiscono un quadro sfaccettato del patrimonio archeologico campano: tutte le aree della regione, dal casertano all’avellinese, dal beneventano alla provincia di Napoli, dalla costiera sorrentina alle isole rappresentano un territorio dinamico, sempre più proteso verso scambi di tipo commerciale e culturale.

«Il Museo archeologico nazionale di Napoli – ha dichiarato il direttore Paolo Giulierini durante la conferenza stampa di presentazione del nuovo allestimento avvenuta lo scorso febbraio – si è dato un obiettivo chiaro: tutto l’archeologico di Napoli deve essere riaperto e addirittura lo sarà con un’enfasi ancora maggiore degli anni 30 del ‘900, perché risponderà a criteri espositivi ancora più evoluti. In particolare, la preistoria doveva essere riaperta: senza la preistoria, cioè senza la conoscenza del Paleolitico, del Neolitico e dell’Età del Bronzo, non si comprende chiaramente l’arrivo dei Greci. Sono due mondi diversi: un mondo italico, precedente al loro arrivo, assimila e si mescola con i nuovi popoli venuti da Oriente». «Grazie ad un imponente e meticoloso lavoro di riallestimento e valorizzazione dei preziosi reperti campani e meridionali – ha continuato Giulierini –per il visitatore sarà più facile orientarsi tra le ere, comprendere l’evoluzione umana, ma anche approfondire la conoscenza del nostro territorio e immaginare quando nel Paleolitico, per fare solo un esempio, l’isola di Capri, tutt’uno con la terra, era abitata da ippopotami e rinoceronti.»

Il cerchio non si chiuderà qui: dalla Preistoria e Protostoria si dipanerà, infatti, l’itinerario “topografico” che porterà all’inaugurazione della sezione su Cuma (dicembre 2021) e a quella su Neapolis (dicembre 2022).

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Ischia (con le sue due sale) diventa perciò snodo cruciale di questo passaggio. «Da Pithekoussai, il primo insediamento greco in Occidente, gli stessi euboici si portano a Cuma, di cui Neapolis diventa subcolonia», ha ricordato Floriana Miele, una dei funzionari archeologici del MANN che, insieme a Giovanni Vastano ed Emanuela Santaniello, ha curato l’allestimento dell’esposizione. Nelle sale dedicate a Ischia vi sono i reperti che raccontano la storia degli insediamenti sull’isola, partendo dal Neolitico e giungendo all’età arcaica (inizio VI sec. a.C.): è riaperto e aggiornato, dunque, anche il noto allestimento, in cui figura la ricostruzione in scala 1:1 del cosiddetto “Edificio ovale di Punta Chiarito”, espressione dello stanziamento greco ad Ischia.

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La “capanna” riprodotta al Museo, con i reperti emersi dalle campagne di scavo negli anni ’90, rappresenta il fiore all’occhiello delle due sale, soprattutto alla luce dello stato vergognoso (di completo abbandono) in cui versa il sito originario sul promontorio di Punta Chiarito, versante meridionale dell’isola d’Ischia. Fu una frana, o un alluvione, a generare una colata di fango, dello spessore di almeno tre metri, che seppellì l’abitato, preservando dalla rovina del tempo una pagina straordinaria della nostra storia. Un po’ come avvenne a Pompei ed Ercolano in seguito all’eruzione del Vesuvio, ma in epoca molto più antica.

Gli scavi non hanno restituito traccia di resti umani, ma strutture di una capanna composta da due ambienti: uno adibito a magazzino/deposito di contenitori per derrate alimentari e di ceramiche d’uso domestico di vario tipo; l’altro, a focolare domestico. All’interno un numero incredibile di suppellettili. In particolare, contenitori per provviste solide e liquide, alcuni dei quali interrati e di grandi dimensioni, in parte di fabbricazione locale, in parte d’importazione: etruschi, chioti, corinzi. Nella ricostruzione della capanna esposta al Mann se ne contano ben diciotto. Sempre in cucina, nella zona del focolare, sono depositati gli attrezzi per la pesca (ami di bronzo e pesi in piombo per le reti) e per la coltivazione della terra, insieme a poche armi (una punta di lancia e una spada) e ai pesi da telaio per le attività domestiche femminili.

Ma la sezione ischitana tornata a far parte dell’esposizione permanente del museo napoletano va ancora più indietro nel tempo. Avanzi di manufatti litici rinvenuti in diversi luoghi dell’isola testimoniano la presenza dell’uomo già nel periodo Neolitico (3500 ca. a. C.). Più numerosi i rinvenimenti di insediamenti umani dell’età del Bronzo che vengono alla luce soprattutto lungo del Castiglione, tra Ischia e Casamicciola. E’ ancora una volta Giorgio Buchner, leggendario archeologo che portò alla luce la “coppa di Nestore”, e che con le sue scoperte ha rivoluzionato gli studi sulla Magna Grecia, il protagonista di una storia, ancora più antica, e poco conosciuta al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori.

L’area non fu scelta a caso: la collina di Castiglione mostra ancora oggi scoscesi pendii, specialmente sul versante occidentale e su quello settentrionale, che la rendono una fortezza naturale quasi inespugnabile. A riprova che le potenzialità strategiche delle isole flegree non siano mai venute meno, come peraltro dimostrerà la storia successiva a partire dall’VIII secolo a.C., e che una ripresa della loro occupazione da parte delle comunità peninsulari avvenne almeno a partire dall’inizio della prima età del ferro. In questo sito, Buchner già negli anni ‘30 scavò numerosi scarichi entro fenditure naturali lungo le pendici. Un nuovo scavo compiuto nel 1942 permise di identificare, secondo le sue parole, «fondi di capanna della prima età del ferro». I saggi di scavo effettuati al Castiglione hanno portato alla luce numeroso materiale ceramico, gettato nelle crepe della roccia o lanciato giù dal pianoro che si estende sull’alto della collina – dove dovevano sorgere le capanne – insieme con la cenere dei focolari e i rifiuti del pasto, quali ossa di bue, di maiale, di pecore e conchiglie.

L’impronta di Buchner al MANN è presente anche con le ricerche nella Grotta delle Felci a Capri (importante giacimento del Neolitico) e quelle sull’isolotto di Vivara. Legato ai traffici marittimi che collegavano la Grecia micenea all’Occidente, il centro di Vivara era uno dei più vivaci nel Mezzogiorno d’Italia: dall’abitato di Punta d’Alaca, provengono ceramiche di tipologia protoappenninica ed appenninica tra cui spiccano, nelle vetrine del MANN, i raffinati prodotti di ceramica egea per gli oli profumati, i vasi per il trasporto di derrate non locali, i manufatti metallici legati alle attività di fusione svolte nell’isola; da non perdere, nell’allestimento, le perline di pasta vitrea, gli spilloni in bronzo e l’applique in lamina d’oro. I cosiddetti tokens ed i prototipi di segni numerici e grafici testimoniano, infine, il dinamismo della comunità vivarese tra 1550 e 1400 a.C.

Un notevole salto in avanti ci porta infine in epoca romana. Proprio accanto a un plastico dell’isola che ne disegna gli insediamenti e le colonie succedutesi nel tempo, gli originali delle tavole votive di Nitrodi, evidenze di quanto la sorgente termale di Barano fosse frequentata nell’antichità e già considerata miracolosa per i suoi effetti terapeutici. Molto probabilmente questi ex voto di marmo erano appesi alle pareti di una grotta, forse un luogo sacro presso le fonti dove si celebrava il culto di Apollo.

Insomma, la cultura prova a non fermarsi nemmeno ai tempi del Coronavirus. Con questa nuova esposizione permanente, che tutti potranno ammirare finita l’emergenza, si riporta alla luce un significativo segmento dell’archeologia campana e il contributo che l’isola d’Ischia, con la sua storia stratificata e multiculturale, ha dato per ricostruire le complesse vicende di un territorio da sempre al centro del Mediterraneo.

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