Civetti-Barile, al Cersaie di Bologna talento e creatività ‘made in Ischia’

Una collezione di ceramiche, Oro di Napoli, ideata e disegnata dai professionisti isolani, realizzata da un’azienda campana leader internazionale nella produzione di piastrelle artigianali e presentata con successo all’appuntamento top del settore. Su una ricostruzione post sisma di qualità: «Resto pessimista»

La vasta gamma di Ce.Vi. Ceramica Vietrese, azienda leader nella produzione di piastrelle decorate a mano che riecheggiano lo stile napoletano, si arricchisce di un nuovo progetto ideato e disegnato dallo Studio Civetti-Barile. Due architetti isolani sono gli autori della Collezione ‘Oro di Napoli’, presentata nei giorni scorsi al CERSAIE, il Salone Internazionale della Ceramica per l’Architettura e dell’Arredobagno, a Bologna dal 23 al 27 Settembre 2019.

Un omaggio alla capitale partenopea che evoca il senso di appartenenza alla cultura di un popolo “magico” che della sua esistenza ne fa ogni giorno un miracolo di vita. Le strade dei quartieri, la beffarda tristezza di una maschera, la ‘tazzulella’ di un caffè pagato, un “cuorno” simbolo di un destino imprevedibile. Riti, credenze e tradizioni popolari che appartengono a sapienza antica. Tutti elementi che hanno ispirato Franco Civetti e Gianni Barile nell’immaginare questa nuova Collezione per Ce.Vi. Sei soggetti (Spaccanapoli, la tazzulella, San Gennaro, i corni, i pesci, Pulcinella) nel classico formato 20×20; tratti stilizzati, ma inequivocabili, di un racconto dell’oggi antico di secoli.

«L’idea è nata realtà perché stavo lavorando al ristorante di un amico e pensavamo di fare i tavoli con le classiche mattonelle in ceramica», racconta Civetti. «Perché non realizzarle pensando a elementi che richiamassero la tradizione partenopea? Mi sono venute in mente queste idee e ho cominciato a lavorare su tre soggetti. Poi, per una questione di tempi, il progetto sul ristorante si è arenato, così le ho mostrate alla Ce.vi, con cui abbiamo già collaborato in passato. Gli sono piaciute, ci ha invitato a sviluppare altri temi, le ha poi messe in produzione e finalmente le abbiamo presentate al Cersaie di Bologna, uno degli appuntamenti più avanzati del made in Italy nel mondo.»

Organizzato da Confindustria ceramica, e rivolto a professionisti e appassionati dell’interior design, Cersaie ha accolto migliaia di visitatori negli oltre 160mila metri quadrati di area espositiva in fiera. Rivenditori e contractors da tutto il mondo hanno presentato le ultime novità unendo le nuove tecnologie nella lavorazione dei materiali alla straordinaria qualità artigianale delle nostre aziende e dei nostri professionisti. Come la Ce.Vi, azienda campana leader nella realizzazione di piastrelle; prodotto e brand conosciuti all’estero sin dal ‘700 grazie a collezioni che partono chiaramente da lontano, da una storia straordinaria, nel rispetto assoluto delle tradizioni, dei colori e dei decori, ancora oggi rigorosamente a mano, secondo la tradizione della bottega vietrese. Riggiole che parlano di civiltà, di arte, di musica, di radici, di storia, di emozioni; che riportano i luoghi dell’anima, rubano i colori al cielo, al mare, alla terra magica della costa partenopea.

«La collezione presentata al Salone della ceramica ha ricevuto subito dei feedback molto positivi» osserva Franco Civetti. «Ho raccolto commenti importanti soprattutto dalla rete commerciale, questo mi gratifica perché sono loro che hanno il polso della situazione sulla collocazione degli oggetti sul mercato. Mi hanno detto che ‘Oro di Napoli’ è piaciuta a tutti i clienti a cui l’abbiamo presentata.» Destinazione? «Il mercato residenziale, italiano e internazionale, ma nulla vieta che queste ceramiche possano essere utilizzate anche per bar, ristoranti o altri spazi. Vediamo come va questa collezione, abbiamo altri tre o quattro temi nel cassetto che si potrebbero sviluppare successivamente».

Qual è lo stato di salute del settore ceramico? «Migliore all’estero che sul fronte interno. La ceramica gode di migliore fortuna sui mercati internazionali anziché in Italia. Qui l’edilizia è ferma, l’unico sistema è farla ripartire dando la possibilità ai cittadini di realizzare in casa loro quello che ritengono di fare. La storia di questo paese ci insegna che, dal dopoguerra in poi, l’Italia è cresciuta grazie agli investimenti, alle opere pubbliche, all’edilizia popolare.»

E sulla fase di ricostruzione nelle aree isolane colpite dal sisma del 2017? Quale potrebbe essere il ruolo degli architetti? «Un contributo enorme, in generale. Se ci fosse la possibilità di poter lavorare. Ma con i vincoli e i lacci burocratici, tutto diventa difficile. Si è fortunati quando la Soprintendenza non risponde e si va avanti grazie al silenzio assenso. O quando hai qualche santo in paradiso e le pratiche vanno avanti. Ci vogliono mesi, anni, anche per lavori che prevedono zero impatto ambientale. Purtroppo il sud Italia è indietro di trent’anni rispetto al nord. Eppure le leggi dovrebbero essere uguali dappertutto.»

E la sfida intellettuale su ‘come’ immaginare la ricostruzione? «Sarebbe interessante, per un architetto, nel caso di una forte sinergia con l’ingegnere strutturista. Nessuno dei due, da solo, è in grado di portare avanti un progetto di qualità. La mancanza di una vera sinergia tra queste due figure professionali è uno dei punti deboli dell’isola d’Ischia. Purtroppo gli ingegneri spesso si improvvisano architetti e questo è un peccato, perché noi abbiamo un ricco bagaglio di esperienze quotidiane, studi e competenze diverse che potrebbero portare a soluzioni e scelte migliori. La ricostruzione delle aree colpite dal terremoto ha bisogno di creatività e raziocinio in eguale misura. A rifare una scatola di cartone non c’è bisogno dell’architetto, però dopo che cosa offriamo? Qual è l’immagine che diamo all’esterno?» Una ricostruzione di qualità è dunque un’utopia? «Utopia no – conclude l’architetto – ma sono pessimista. Conosco i committenti, badano solo all’aspetto economico; senza cambiare mentalità e approccio, c’è poco da essere ottimisti.»

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