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Commercio globale: Alibaba e i 40 padroni

A Ischia, come in Italia, i piccoli negozi sono in affanno. Le cause sono molteplici: la mancanza di una pianificazione comunale, la contrazione dei consumi o il cambiamento epocale dei consumi, il proliferare delle catene commerciali, la grande distribuzione (GDO) e, infine, l’e-commerce. La grande distribuzione, a sua volta, sconta difficoltà, perché da un lato schiaccia il piccolo commercio, da un altro lato è schiacciato dai discount. Ma a insidiare, oggi e domani, tutte le altre forme commerciali, è sicuramente l’e-commerce, il commercio elettronico ovvero l’acquisto di beni, e servizi attraverso il web. Secondo un’indagine di Confindustria Digitale, il commercio elettronico vale quasi il 7% del PIL nazionale. Il fatturato dell’e-commerce, in Italia, per il 2017, è di 23,6 miliardi di euro, con un incremento, rispetto al 2016, del 17%. La spesa media dei web-shopper abituali è di 1.357 euro/anno, quella dei meno abituali di 284 euro/anno. Anche visibilmente, tutti ci rendiamo conto dell’irrefrenabile sviluppo del commercio elettronico, in quanto quotidianamente vediamo arrivare, nei nostri palazzi o condomini, corrieri privati, per la consegna di pacchi. Tant’è che, l’improvviso incremento di trasporto delle merci, ha imposto, soprattutto nelle città, forme leggere di mezzi di trasporto, da bici ad auto e furgoni elettrici.

A proposito di Alibaba, questo colosso cinese – di recente – ha acquistato, per 3 miliardi di dollari, una significativa quota dei supermercati francesi Auchan, per invadere prima la Cina e poi il resto de mondo. Poi, sono di questi giorni, le polemiche su Amazon, che spopola in Italia per le vendite online, ma i cui dipendenti hanno incrociato le braccia per scioperare contro le condizioni economiche e soprattutto psico-fisiche, nelle quali sono costretti a lavorare. Per ogni dieci milioni di dollari di fatturato, Amazon impiega 15 addetti contro i 47 della grande distribuzione. Il resto lo fanno gli algoritmi e i robot. Posso dare, ai lettori, qualche personale testimonianza dell’organizzazione e della celerità dei sistemi distributivi di Amazon, in quanto a Bologna, a circa 600 metri da dove abito, c’è il CMP (Centro Meccanizzato Postale) dove avviene lo smistamento dei pacchi che non superino i 5 chili verso tutte le destinazioni italiane. Poste Italiane che, non più di 20 anni fa, appariva la cenerentola e la tartaruga italiana, oggi assurge a moderno player del recapito. Nel 2016 ha movimentato 41 milioni di pacchi (nel 2013 erano appena 15 milioni). Al CMP di Bologna lavorano, giorno e notte, mille persone. I pacchi  di Amazon arrivano dal gigantesco magazzino  di Castel San Giovanni (Pc), quello dove, pochi giorni fa, il personale ha scioperato.

Qui c’è una disciplina ferrea per i dipendenti: ad esempio, la barba degli uomini non può essere più lunga di 5,6 centimetri. In questo Stabilimento i dipendenti sono 1.600. Il campionario della merce in vendita conta ben 136 milioni di oggetti. Cifre spaventose, che fanno pensare che un giorno, non tanto lontano, suonerà il De Profundis per il commercio tradizionale. Potremmo pensare che la celerità di consegna sia dovuta ad una minuziosa disposizione degli oggetti nelle scaffalature. Al contrario, la filosofia scelta è quella del posizionamento casuale che, però, viene risolto con pistole-scanner che vanno immediatamente a individuare  l’oggetto prescelto, ovunque esso sia, per essere messo in partenza verso i centri di smistamento, come il CMP di Bologna. Tutto perfetto e i consumatori, in pochissimo tempo e con grandi risparmi, possono ottenere gli oggetti del desiderio. Tutto questo, però, è ottenuto grazie ad una grande organizzazione che presuppone uomini-sacrificio, uomini-robot, senza rilassamenti, senza cedimenti, né fisici né nervosi, rispetto a movimenti ripetitivi e defatiganti. Ma l’uomo non è una macchina e nessuno uomo o donna è uguale agli altri esseri umani. Se, per soddisfare i nostri consumi, le nostre vanità, i nostri hobby, dobbiamo consentire ai colossi del commercio mondiale, di non rispettare conquiste democratiche ottenute negli anni, è chiaro che faremmo un passo avanti (sotto il profilo tecnologico-logistico) ma due passi indietro ( sotto il profilo etico-lavorativo). La soluzione sta tutta nel contemperare la modernità con l’umanizzazione del rapporto di lavoro.

Finora, la politica si è stupidamente divisa tra i detrattori della globalizzazione ( che è un dato di fatto, non una scelta) e i fautori dell’inarrestabilità del progresso e del mercato, capace – secondo loro – di autoregolamentarsi. Invece le norme devono valere per tutti, ancor più per i colossi economici. I sindacati, attardati in analisi superate, finora non hanno saputo indicare rimedi che proteggano i dipendenti, pur non ostacolando l’avanzata di tecniche moderne di distribuzione. Quanto ai piccoli negozi, in città, qualcuno di essi inizia a percorrere la strada della tecnologia moderna. Non a caso, all’ultimo SMAU alla Fiera di Milano, sono state presentate soluzioni nuove, come – ad esempio – un rilevatore (algoritmo) dei clienti che si fermano a guardare le vetrine e, una volta all’interno del negozio, censisce (anche se in forma anonima) il numero di clienti che entrano, il numero di quanti comprano e che cosa comprano. E’ ovvio che tali soluzioni tecnologiche non sono da tutti e per tutti i punti vendita. Su una scala inferiore, il segreto è quello di ristudiare la gamma merceologica delle botteghe sotto casa, andando a trovare nicchie di prodotti trascurati dalla grande distribuzione e dalle catene commerciali. Per il resto, il Comune deve fare la sua parte, con una pianificazione che, una volta, era un semplice piano commerciale. Oggi è molto di più. Ischia non ha ancora il SIAD (Strumento d’intervento apparato distributivo). Lo abbiamo scritto sul Golfo, lo abbiamo segnalato al Sindaco, in quanto questo strumento ribalta la vecchia logica: non è più il Piano commerciale a doversi inserire nel più vasto Piano Regolatore. Ma, tutti gli altri aspetti dell’organizzazione civica devono adeguarsi alle esigenze della pianificazione commerciale.

Avremo modo di riprendere l’argomento e anche di illustrare un altro grande evento commerciale: l’apertura di FICO (Fabbrica Italiana Contadina) a Bologna, il più grande parco agroalimentare d’Italia. A qualche centinaio di metri da questo gigante (10.000 metri quadrati di superficie) esiste un Centro Commerciale, “Meraville”,  del tipo “aperto”, dove cioè il passaggio da un negozio e un altro ( esempio da Decathlon a Mediaworld) non avviene in galleria ma all’esterno .Ebbene, questo centro commerciale appare già – al cospetto di Fico – un dinosauro del commercio, che sarà presto soppiantato da animali più moderni. In questa rivoluzione commerciale che, a tratti, appare cinica e asociale, c’è però spazio anche per realtà commerciali come CONAD (tremila negozi in Italia) che ha lanciato, sui grandi quotidiani, appena due giorni fa, un bel messaggio pubblicitario, dal titolo: ” Nessun uomo è un’isola, neanche un supermercato lo è “. Riporto, dal messaggio (che ha occupato un’intera pagina di quotidiano) il seguente stralcio: “In Conad crediamo che solo il contesto al quale apparteniamo possa dare un senso profondo e appagante al nostro lavoro e ai nostri sforzi. Il contesto è come un bosco che contiene alberi e cespugli, pietre e terra, ruscelli e farfalle .Siamo felici di entrare ogni giorno nel bosco per cogliere la molteplicità dei punti di vista e le esigenze dei nostri clienti. Per noi che non siamo isola, comprendere viene prima che vendere”. Un messaggio che lascia spazio alla speranza, speranza che il commercio globale rinunci ad imporre e pilotare le nostre scelte nei consumi e ci lasci decidere, in autonomia, che cosa comprare, quanto comprare e quando e se comprare.

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Franco Borgogna

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