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Consiglio comunale a Barano, Molinaro: «Nessuna alternativa agli abbattimenti»

di Stefano Arcamone

BARANO. Acquisizione dell’immobile, sfratto degli inquilini e demolizione. Tutto in novanta giorni, quelli previsti dall`articolo 31. «Non esiste alcuna alternativa percorribile» spiega Bruno Molinaro confermando che quello sulle demolizioni continua ad essere un quadro a tinte decisamente fosche.

È lui, l’avvocato, il vero protagonista del consiglio comunale monotematico di Barano. Oltre un’ora di monologo per entrare nel vivo della materia e dei suoi sviluppi giurisprudenziali e normativi, mettere all’angolo una opposizione senza mordente e incapace di replicare alle sue deduzioni – Molinaro ha risposto alla chiamata della maggioranza di Paolino Buono, benché abbia adottato un profilo pragmatico, equidistante ed imparziale – e far capire a tutti, una volta e per sempre, che non esiste alternativa alle demolizioni, dal punto di vista giuridico quanto da quello politico.

L’housing sociale è inapplicabile sull’isola, al pari dell’acquisizione conservativa degli immobili sottoposti a sequestro. La distinzione tra articolo 27 e articolo 31 è stata ormai superata dalla giurisprudenza e, dulcis in fundo, i fondi per le demolizioni – la cui mancanza è stato fino ad oggi l’unico appiglio delle amministrazioni per rinviare la loro attuazione – li mette direttamente lo Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti.

Non esiste nessuna scappatoia e bisogna farsene una ragione. L’unica possibilità che hanno le amministrazioni è governare il processo individuando i criteri attraverso i quali calendarizzare le demolizioni. «Il dl Falagna viaggia spedito, già a gennaio potrebbe essere ratificato dal Senato» spiega Molinaro lasciando intuire che da qui al nuovo anno si giocherà una partita delicatissima e che, per placare la Procura e dare l’idea di un’isola che finalmente ha deciso di affrontare di petto la questione, sarebbe opportuno giocare d’anticipo e «mutuare i contenuti del provvedimento Riello, che fissa una serie di criteri che la Procura sta già osservando, che poi sono gli stessi del dl Falanga».

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 INAPPLICABILITÀ DEL PUC

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La questione edilizia è antica e affonda le radici nella mancanza di regolamenti e disposizioni in materia che hanno favorito le speculazioni e l’abusivismo. Da qualche anno i comuni stanno cercando di correre ai ripari redigendo quei dispositivi che consentirebbero di regolamentare il territorio, a cominciare dal Puc, il piano urbanistico comunale. «Molti comuni ne sono sprovvisti – spiega Molinaro – nonostante la legge Regionale 16/2004 ne imponga l’adozione». Ma siamo in Italia, terra di controsensi. Ed allora non ci si deve nemmeno meravigliare se, spiega Molinaro, «esistono omissioni su scala sovraordinata che pongono gli amministratori nell’impossibilità giuridica di una sua approvazione». Detto in altre parole, se prima il ministero preposto non aggiornerà il piano paesistico, il Puc resta uno strumento inutile. E i comuni che ci stanno già lavorando, come Barano e Forio? «Stanno gettando soldi a mare» taglia corto Molinaro spiegando che «non esiste il pericolo commissariamento in caso di mancata approvazione del Puc», nonostante sia previsto dalla normativa vigente, proprio perché ad essere negligente è innanzitutto il ministero.

 ARTICOLO 27 E ARTICOLO 31

Il tema centrale del consiglio verteva sulla controversia tra applicazione dell’articolo 27 ed applicazione dell’articolo 31, rimarcata dall’opposizione nella richiesta di convocazione del consiglio comunale. «La distinzione è stata di fatto superata dopo il condono ter voluto da Berlusconi» taglia corto Molinaro spiegando che, in ogni caso, scaduto il termine dei 90 giorni, «deve ritenersi materializzato l’affetto ablatorio», cioè sacrificare un interesse privato (in questo caso l’abitazione) per motivi di interesse pubblico.

Ma cosa dicono i due articoli? «Il 27 prevede che in caso di abusi realizzati in zone sottoposte a vincolo, l’ufficio tecnico deve effettuare immediatamente la demolizione». Discorso diverso per l’articolo 31, che si applica a opere «realizzate in difformità con il permesso a costruire». In questo caso, l’iter prevede «ingiunzione e fissazione di un termine non inferiore ai 90 giorni. Scaduto il termine, i vigili redigono il verbale di inottemperanza ed il bene va considerato acquisito dal Comune».

La disparità di trattamento è stata notata anche dalla Cassazione, che infatti è intervenuta e l’ha superata. C’è un problema, però: da quella sentenza in poi, «nelle zone sottoposte a vincolo» come Ischia l’acquisizione non può essere conservativa. «In ogni caso la demolizione è ineluttabile». Ma come si fa se i Comuni non hanno i fondi?

 50 MILIONI DAL FONDO DI ROTAZIONE

Per una volta, il Diavolo oltre alle pentole ha fatto anche i coperchi. In questo caso il Diavolo è Berlusconi, la pentola è il condono ter ed il coperchio sono i 50 milioni di euro messi nel fondo di rotazione e destinati alle demolizioni degli abusi edilizi. «È un errore credere che siano disponibilità esclusiva dell’autorità giudiziaria. In realtà – spiega Molinaro – sono stati messi lì soprattutto per i comuni». È una doccia gelata, che in un attimo fa calare un silenzio surreale nell’aula consiliare di Barano. «Noi non possiamo accendere nuovi mutui alla Cassa Depositi e Prestiti» prova a controbattere Paolino Buono. Ma Molinaro è implacabile: «Non è compito del Comune stabilirlo. La prativa va comunque inoltrata, spetterà poi ai funzionari della Cassa stabilire il grado di solvibilità dell’amministrazione ed approvare o meno il mutuo per la demolizione». Cade, insomma, anche l’ultimo appiglio rimasto alle amministrazioni per rinviare le demolizioni: se fino ad oggi avevano giustificato la mancata osservazione delle ordinanze di demolizione con l’assenza cronica di fondi, adesso sanno che i soldi ci sono. E sono pure tanti.

GOVERNARE IL PROCESSO

L’unico spiraglio che resta alle amministrazioni è governare il processo. È una scelta politica perché per farlo bisogna stabilire quali sono le priorità e cosa demolire prima. Molinaro indica anche quella che, secondo lui, è la soluzione ottimale: mutuare il provvedimento del Procuratore Generale Riello nell’attesa che il dl Falanga sia definitivamente approvato dal Parlamento. Seguendo il sentiero tracciato dalla Procura (che potete leggere integralmente a lato) i primi abusi a dover essere demoliti sono quelli che, per qualsiasi motivo, «costituiscano un pericolo già accertato, anche se non urgente, per la pubblica e privata incolumità». Seguono quelli dal «rilevante impatto ambientale», quelli confiscati alla camorra e quelli in corso di costruzione o allo stato grezzo. Fatta eccezione per i beni confiscati alla camorra, sull’isola sono centinaia le abitazioni che ricadono nelle altre tre categorie ed in molti casi si tratta di grezzi o di opere incompiute. Cominciare da lì non solo è possibile, ma auspicabile. «La legge – spiega Molinaro – lascia ampio margine discrezionale alle amministrazioni per individuare il criterio più consono». Iniziando a demolire i grezzi si placherebbe la Procura, si darebbe dimostrazione di voler realmente affrontare la questione, si lascerebbero le famiglie nelle rispettive abitazioni e, soprattutto, ci si metterebbe in pari con il dl Falanga, nel quale si stabilisce che «la priorità è attribuita, di regola, agli immobili in corso di costruzione o comunque non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati».

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