Coronavirus, compleanno in corsia a Gallarate per Francesca Mancusi
L’infermiera ischitana racconta la sua esperienza in Lombardia in un periodo particolarmente infausto a causa del dilagare del contagio: «Quando tornerò sull’isola significa che questo incubo sarà finito»
«Oggi è il mio compleanno. Ma non ho il tempo di festeggiare. Avevo preso una settimana di ferie che mi è stata annullata». A parlare Francesca Mancusi, giovane infermiera ischitana che lavora presso l’Azienda Ospedaliera Sant’Antonio Abate di Gallarate, in provincia di Varese. Il tono della voce di Francesca trasmette la stanchezza di questi giorni. «Le previsioni non sono migliori. Nelle prossime due settimane dovrò fare sei notti. E non è semplice». Il racconto di Francesca è da leggere tutto d’un fiato. «Sono un’infermiera “fuori sede” in un ospedale della Lombardia. Prima esperienza, 890 km di distanza da casa, assegnata a un reparto delicato e impegnativo: la neurologia. Assistiamo pazienti affetti da ictus, emorragie cerebrali, Parkinson, Alzheimer, ma anche giovani con forme progressive di SLA o Sclerosi Multipla.
Tuttavia spesso e volentieri, essendo i reparti di medicina quasi sempre saturi di posti letto, prendiamo in carico anche pazienti dai quadri più complessi con polmoniti, insufficienze renali o respiratori: i famosi “appoggi”. Tutti noi infermieri, di turni estenuanti, di quelli in cui inizi la mattina alle 7 e se tutto va bene riesci a sederti alle 14.30, senza neanche il tempo di bere o fare la pipì, ne sappiamo qualcosa. Vorrei però soffermarmi sul nostro turno notturno. La notte si lavora senza tregua. C’è da broncoaspirare, somministrare terapie, cambiare e lavare chi non è autosufficiente, fare da badante ai pazienti disorientati che vagano o rischiano di cadere giù dal letto. E in tutto questo bisogna sistemare il reparto per chi ti succede in turno, rifornire i carrelli di materiali, prendere in carico nuovi pazienti nel cuore della notte e, alla fine (si spera) di tutto, alle 5.30 del mattino, continuare a essere lucidi e accorti per “beccare” la vena ad ogni paziente e procedere con il prelievo, magari dopo aver rianimato (purtroppo qualche volta invano) chi ha avuto un improvviso peggioramento delle sue condizioni. Nelle ultime settimane alcuni medici internisti parlavano di polmoniti “strane”, riscontrate già da prima che in Italia si diffondesse il nuovo virus. Dopo i primi casi, io per prima mi ero fatta l’idea di un qualcosa non tanto diversa da una classica polmonite, vista l’analogia dei sintomi, soltanto dalla virulenza più spiccata. Ho considerato la cosa con relativa tranquillità ma non con leggerezza, cercando di rassicurare parenti e amici. Ma sono stata costretta a ricredermi, soprattutto dopo aver osservato le immagini diagnostiche di pazienti positivi. In realtà la situazione è più grave di quanto si pensi. Eppure ci si ritrova a lavorare “senza protezioni”, indossando una semplice mascherina chirurgica senza sapere cosa può avere chi è appena stato ricoverato o chi è entrato in stanza, avendo a disposizione il materiale idoneo “solo in caso di sospetto infetto”. Tutti sono potenzialmente infetti e nessuno ha la sfera di cristallo per avere certezze immediate o dissolvere i dubbi. Chi può affermare che quel paziente della medicina non sia un potenziale infetto? Se nel nostro lavoro è obbligatorio munirsi di guanti nei confronti di ogni paziente, vuol dire che esiste il rischio di infettarsi in caso di qualsiasi positività prima, non dopo. E quindi si può immaginare l’ansia. L’ansia che finora non avevo, non avevamo… Io che vivo da sola, gli altri che hanno bambini a casa. Forse… siamo noi di questi reparti i più esposti? Chi lavora in pronto soccorso, è correttamente provvisto di mascherine con filtro e quant’altro perché soggetto a qualsiasi rischio, chi lavora in rianimazione è protetto dalla testa ai piedi, come è giusto che sia! Ma perché non proteggere tutti allo stesso modo, quando ne vale la salute e l’incolumità dell’operatore? In passato si aveva erroneamente la convinzione che l’infermiere fosse “quello che pulisce il sedere”. E bisogna tristemente ammettere che in certe realtà ancora oggi è questa l’idea più diffusa, senza considerare minimamente lo studio, i sacrifici e l’impegno per prepararsi, e poi la dedizione e i rischi per svolgere tale professione.
Personalmente amo il mio lavoro, a cui dedico passione e che svolgo con allegria. Per questo rifarei tutte le mie scelte, dalla prima all’ultima, pretendendo in cambio una cosa sola: la sicurezza. Lo dico davvero col cuore: in questo momento non si può avere idea di cosa significhi non sapere quando poter ritornare a casa, lavorare con i dubbi e le preoccupazioni, con l’ansia e la paura di ogni giorno. Chi non c’è dentro non ne ha idea. Ci si sveglia con la paura. Si affronta il turno con un peso, uno stato d’animo totalmente diverso e una serenità che è turbata da quel “potrebbe capitare a me”, “è capitato ad un uomo di 38 anni”, “è stato intubato un ragazzino di 18″, un nodo alla gola. Però si continua, con determinazione, coraggio e piena responsabilità di risultato. Nessuno lavora al posto tuo, non si può cedere allo sconforto di questi giorni». Dalla voce di Francesca traspare ansia e angoscia. «Vado a lavoro con l’ansia, l’angoscia e la paura. È un momento davvero difficile. Ci sono tanti colleghi che stanno a casa perché ammalati o sono casi sospetti. Il nostro lavoro è sempre difficile. In questo momento, però, è davvero complicato», ci spiega Francesca. «Qui sta collassando tutto. Non ci sono più posti negli ospedali. E non abbiamo ancora raggiunto il picco. Per strada non c’è nessuno. Sono le forze dell’ordine che fanno i controlli». La giovane infermiera lancia un appello ai suoi concittadini ischitani: «Dovete avere buonsenso e rispettare le regole. So che è una frase che avete sentito ovunque ma vi chiedo di credermi. Sto vedendo con i miei occhi ciò che succede qui il Lombardia». Francesca manca da circa due mesi da Ischia «E, al momento, non so quando potrò tornare sulla mia isola. Desidero tornare e tuffarmi nel mio mare. E quando lo farò significa che questo incubo sarà finito». Speriamo di vederti presto sull’isola, Francesca e buon compleanno. Anche se è un compleanno strano. Niente festa, niente candelina, pochi auguri. Devi riposare dopo una notte di lavoro e prepararti per i prossimi turni. Anche da lontano sappi che Ischia tifa per te e ha ammirazione per chi, come te, in questo momento lotta in prima linea.
Auguri Francesca. Sei un orgoglio ischitano. Leggendo posso solo lontanamente immaginare il duro momento che stai/state affrontando voi sanitari. Ti urlo con da questa isola, che ti aspetta a braccia aperte, FORZA, passerà questo brutto momento.
Ciao Francesca , ti conosco da sempre anche se non ci siamo mai neanche salutate . Ti conosco da sempre … perché conosco i tuoi genitori , persone esemplari , hanno un cuore d’oro , generosi e pronti a tendere la mano quando qualcuno è in difficoltà . Hai una nonna che da sempre prega per te , anche se hai due nonne la nonna materna in questo momento non può farlo e tu sai perché …Ti chiami Francesca ,che significa pronta ai bisogni degli ultimi . Gli ultimi in questo momento storico sono i pazienti negli ospedali ! Forza e coraggio hai fatto una scelta coraggiosa e sei stata sfortunata perchè subito sei stata messa alla prova . Confida nel Signore , prega e ama con il tuo lavoro . Ti abbraccerò per la prima volta questa estate a Ischia quando ci incontreremo a Cartaromana a fare un bagno intanto lo faccio virtualmente