Cosa accadrà con il dissesto del Comune?
Di Guglielmo TaliercioPROCIDA –
La scorsa settimana, così come era facile prevedere, è giunto il giudizio negativo della Corte dei Conti in merito alla realizzazione del Piano di Riequilibrio Finanziario deliberato nel 2013. Il Magistrato istruttore, in una relazione di una ventina di pagine, ha rilevato “gravi e reiterati inadempimenti degli obiettivi intermedi” analizzando l’applicazione del Piano fino al primo semestre 2015” e focalizzandosi, secondo alcune indiscrezioni, soprattutto sulla vendita delle quote detenute dal Comune nel Marina di Procida (società che gestisce il porto turistico di Marina Grande) e sul mancato rafforzamento dell’Ufficio Tributi del Comune. Questa relazione è stata trasmessa alla Sezione plenaria della Corte ed al Comune di Procida con la possibilità per quest’ultimo, entro sette giorni, di produrre una memoria scritta con le controdeduzioni (depositata nei giorni scorsi) prima della pronuncia definitiva.
A questo punto, in attesa delle decisioni della Corte dei Conti, si aprono una serie di possibili scenari di non poco conto che potrebbero andare a concretizzarsi da qui alle prossime settimane. Lo scenario più favorevole all’attuale Amministrazione, ma in realtà ancora poco probabile, potrebbe essere che la Corte, ritenendo valide e credibili le controdeduzioni del Comune, sconfessi, in tutto o in parte, la relazione del Magistrato istruttore e consenta, così come richiesto dall’Amministrazione, di rimodulare il debito senza formulare il dissesto. Quello che, viceversa, al momento, rimane la possibilità più concreta è che la Corte ritenga di confermare il parere del Magistrato istruttore e, quindi, richiedere per il Comune lo stato di dissesto. Dato per scontato che l’attuale maggioranza de “La Procida che Vorrei”, una volta che l’argomento verrà portato all’attenzione del Consiglio Comunale, lo approvi, si apre un nuovo percorso, ovviamente complesso dal punto di vista tecnico-amministrativo, del quale, però, cerchiamo di comprendere alcuni passaggi.
Tanto per iniziare, il dissesto è una cosa ben diversa dal fallimento di un’impresa privata in quanto non si può determinare la cancellazione del Comune proprio perché gli enti locali non possono cessare di esistere come una semplice impresa privata, ma bisogna garantire la continuità amministrativa. Il dissesto, quindi, crea, di fatto, una frattura tra la precedente amministrazione e l’amministrazione controllata, permettendo al Comune di ripartire libero dai debiti, ma libero anche dai crediti e dal suo patrimonio, che verranno ceduti per consentire la liquidazione. Tutto ciò che concerne il “pregresso” viene estrapolato dal bilancio comunale e trasferito alla gestione straordinaria che si occupa della liquidazione e che ha competenza su tutti i debiti correlati alla gestione entro il 31/12 dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, anche se venissero accertati successivamente. Nel momento in cui viene dichiarato il dissesto del Comune, Sindaco, giunta e consiglio resterebbero in carica ma verrebbero coadiuvati da una commissione espressamente designata dal Ministero degli Interni. La commissione si occuperebbe del disavanzo pregresso, mentre l’amministrazione gestirebbe il bilancio “risanato”. L’Ente dissestato è tenuto ad approvare un nuovo bilancio, basato principalmente sull’elevazione delle proprie entrate al livello massimo consentito dalla legge, vale a dire che tutte le tasse comunali (IMU, addizionale comunale, TARSU) saranno aumentate il più possibile fino ad arrivare al tetto massimo consentito dalla legge, basato, inoltre, sul contrasto all’evasione e sul contenimento di tutte le spese. La dichiarazione di dissesto produce, nella pratica, tre ordini di effetti che operano sui creditori fin dall’inizio, eventualmente sugli amministratori e sulla gestione ordinaria. Le conseguenze sugli amministratori sono limitate a quelli che la Corte dei Conti ha individuato come i responsabili del dissesto imputando loro i danni per dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario. Tali amministratori non possono ricoprire, per un periodo di cinque anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali o di rappresentante di tali enti presso istituzioni, organismi ed enti pubblici o privati, quando, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, si accerti che questo è diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l’amministratore è stato riconosciuto responsabile. L’interdizione temporanea dai pubblici uffici può essere considerata una sanzione accessoria ed automatica a quella principale della condanna patrimoniale.
Le conseguenze sui creditori riguardano i rapporti obbligatori rientranti nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione e consistono nella cristallizzazione dei debiti, che non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria, nonché nell’estinzione delle procedure esecutive in corso, con conseguente inefficacia dei pignoramenti eventualmente eseguiti, e nell’impossibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti dell’ente.
La dichiarazione di dissesto ha effetti sulla disciplina da applicare alla gestione durante il periodo intercorrente tra tale dichiarazione e l’approvazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato.