CRONACA

Covid19, attenzione senza allarmismi

DEL DOTT. VINCENZO D’AMBROSIO

Sono 226.423 i tamponi molecolari e antigenici per il coronavirus effettuati mercoledi 18 Agosto scorso in Italia, secondo i dati del Ministero della Salute. Il giorno precedente erano stati 238.073. Il tasso di positività è del 3,1%, in crescita rispetto al 2,2% precedente. In un documento del 4 agosto 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce un decesso per Covid-19 come un decesso derivante da una malattia clinicamente compatibile in un caso Covid-19 probabile o confermato, a meno che non esista una chiara causa alter

nativa di morte che non può essere correlata alla malattia Covid-19 (per esempio un trauma, un incidente). Per parlare di morte da Covid non deve esserci inoltre un periodo di completa guarigione tra la malattia e la morte. I dati finora disponibili, sia italiani che cinesi, ci dicono chiaramente che, insieme ad una patologia polmonare preesistente, il rischio di aggravamento e di mortalità è condizionato pesantemente dalla presenza di una comorbidità cardiovascolare, metabolica e renale, spesso concomitanti e con effetto fra loro interattivo sinergico, in particolare nella popolazione anziana. Pur nella necessità assoluta di fronteggiare l’emergenza in terapia intensiva, se vogliamo prevenire oltre che curare, non possiamo centrare l’approccio sanitario solo sull’effetto ma occorre una attenzione alle cause. Diversi studi hanno dimostrato l’impegno cardiaco, sia in termini di danno miocardico e di aritmie, queste ultime secondarie al danno miocardico. In questi studi, il danno miocardico è stato valutato attraverso il dosaggio della troponina, che è un enzima il cui aumento nel circolo sanguigno è diagnostico di danno miocardico, oppure attraverso la comparsa di alterazioni all’elettrocardiogramma o all’ecocardiogramma. In particolare, è stato osservato che l’incidenza di danno miocardico o di aritmie è maggiore nei pazienti colpiti da COVID-19 più gravi ricoverati in unità di cura intensiva oppure in pazienti deceduti. Sono di 30 volte maggiori le probabilità di morire per un soggetto tra i 60 e i 79 anni che non ha ricevuto il vaccino contro il Covid-19, rispetto a un immunizzato della stessa età. Rischio che scende di poco, 20 volte in più, per gli ultraottantenni che non hanno ricevuto l’iniezione anti-coronavirus.

Sono i dati elaborati dall’Iss che nell’ultimo rapporto di sorveglianza integrata sul monitoraggio Covid-19, nel quale si rileva, inoltre, nel mese appena trascorso, un tasso di ospedalizzazione tra i non vaccinati circa sette volte superiore rispetto a coloro che sono protetti dal Sars-CoV-2. Da quanto emerso nel report, tra i soggetti con più di 80 anni senza vaccino la letalità è del 96,69% maggiore rispetto a chi ha ricevuto le due somministrazioni anti-Covid. Con almeno una dose le possibilità scendono al 74% rispetto a chi ha completato il ciclo vaccinale. Da aprile ad oggi in questa fascia sono morti 54 anziani sui 418mila non ancora protetti a fronte di 28 su 4 milioni di vaccinati. Il divario risulta ancora maggiore nella fascia di età tra i 60 e i 79 anni, nella quale chi ha ricevuto entrami le dosi del vaccino ha circa il 97% di possibilità in meno di finire in terapia intensiva rispetto a chi non è stato sottoposto nemmeno ad una iniezione. Quindi, in buona sostanza, la malattia della Covid 19 assume caratteristiche di gravità in soggetti anziani, che presentano comorbidità e che non sono vaccinati. L’aver avuto somministrate le dosi prescritte di vaccino quindi protegge dalle evoluzioni gravi della malattia, anche quando il virus riesce a infettare il soggetto vaccinato. A questo riguardo chi si è vaccinato deve comunque continuare ad adottare tutte le precauzioni ormai abituali (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani), raccomandazione che vale ancor di più per gli operatori sanitari perché nessun vaccino conferisce un livello di protezione del 100%, la durata della protezione vaccinale non è ancora stata stabilita, la risposta protettiva al vaccino può variare da individuo a individuo e, al momento, non è noto se i vaccini impediscano completamente la trasmissione del virus.

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