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Cpl, l’inchiesta deflagrò quasi tre anni fa

Erano le prime ore del 30 marzo 2015. Quel  lunedì mattina sconvolse l’apparente tranquillità di Ischia, che dopo le prime luci dell’alba si sarebbe trovata sotto i riflettori di tutta Italia. I telegiornali nazionali sparavano nei titoli di testa: “Sindaco Pd di Ischia in manette”. Era scoppiata quella che venne battezzata la “Metanopoli” in salsa ischitana. I Carabinieri avevano infatti tradotto in carcere a Poggioreale il primo cittadino che da otto anni sedeva sulla massima poltrona di via Iasolino, Giosi Ferrandino, mentre il dirigente dell’ufficio tecnico venne confinato ai domiciliari. Ma l’inchiesta, come si ricorderà, coinvolgeva anche i vertici della Cpl Concordia, la società cooperativa emiliana che gestiva l’opera di metanizzazione della nostra isola, a partire dal presidente Casari, che finirono dietro le sbarre insieme al fratello del sindaco d’Ischia, l’avvocato Massimo Ferrandino.  Per svariate settimane, ma anche nei mesi successivi, la nostra isola finì sotto la lente dei media nazionali e di trasmissioni televisive di approfondimento: un bombardamento mediatico che di certo portò notevoli danni all’immagine di una realtà turistica come Ischia, chiamata a competere in un mercato ormai globale. Il sindaco di Ischia rimise quasi immediatamente il suo mandato, salvo poi ripensarci e revocare le dimissioni l’ultimo giorno utile rimanendo dunque in carica, mentre si diffondevano addirittura voci di un coinvolgimento  di Massimo D’Alema nella vicenda. La Cpl aveva infatti acquistato alcune migliaia di bottiglie di vino prodotto dall’azienda agricola appartenente al pezzo grosso del Partito Democratico, oltre a varie centinaia di copie dell’ultimo libro scritto dallo stesso D’Alema. Circostanza che, seppur non significativa a livello penale, lo era comunque in ambito mediatico.

Nel frattempo, a fine aprile Giosi era uscito da Poggioreale grazie ad un alleviamento della misura cautelare, ma anche tale circostanza sollevò un piccolo caso, quando il p.m. Woodcock contestò le modalità che avevano caratterizzato il ritorno sull’isola nottetempo del primo cittadino, prelevato a Pozzuoli da un’imbarcazione privata sulla quale viaggiavano anche un parente e diversi esponenti politici. Un fatto, questo, evidentemente ritenuto inopportuno dal magistrato, che nei giorni successivi cercò di approfondire la questione. Giosi era stato confinato ai domiciliari presso l’hotel “Le Querce”, l’albergo di famiglia anch’esso oggetto dell’inchiesta, dal momento che l’accusa vedeva nella convenzione stipulata tra la struttura e la Cpl (un contratto da 330mila euro) la moneta di scambio per presunti illeciti favoritismi da parte del sindaco a vantaggio della cooperativa. Le misure restrittive nei confronti di Giosi Ferrandino e Silvano Arcamone ebbero finalmente termine in piena estate, dopo quasi quattro mesi: entrambi il 21 luglio si videro notificare il provvedimento di scarcerazione. A settembre 2015 il via al processo, con le annesse incertezze procedurali, fino al responso che di fatto spaccò in due rami la vicenda, tra i Tribunali di Modena e di Napoli. Nel filone modenese rimase incardinata la posizione di Massimo Ferrandino, a cui vennero contestati contratti di consulenza con la Cpl, anch’essi secondo l’accusa funzionali all’ottenimento di facilitazioni nella commessa isolana della metanizzazione e della sua estensione al resto dei comuni limitrofi. Una divisione processuale che nella pratica è stata spesso fonte di rallentamenti e anomalie dibattimentali, come si è avuto modo di constatare nei casi di testimoni che contemporaneamente sono imputati in rami paralleli della vicenda.  Un processo che, lo si sapeva e ne abbiamo poi avuto la prova, non  sarebbe stato  breve.

L’opaca pubblicità sprigionatasi dall’inchiesta sul metano si aggiunge al fatto che il rientro del primo cittadino nella vita politica del comune capofila fu  ben lontano dall’essere a tempo pieno. Di fatto, ormai, erano i suoi “vice”, prima Carmine Barile poi Enzo Ferrandino, a mantenere il timone, con un Giosi nascosto dietro le quinte, apparentemente disinteressato o comunque senza l’entusiasmo che aveva caratterizzato la sua azione politico-amministrativa fino al 2014. Poi il lungo processo è entrato nel vivo,  con  le deposizioni della interminabile lista di testimoni dell’accusa, tra cui quel capitano Scafarto indicato come teste-chiave della Procura, ma finito a sua volta nella bufera dell’inchiesta Consip, per le presunte illecite manomissioni sulle intercettazioni: ombre pesanti che hanno gettato una cascata di dubbi anche sulla conduzione delle indagini nel processo conclusosi ieri con la fine dell’incubo per Giosi Ferrandino e Silvano Arcamone, e in un certo senso per l’isola intera, che vede almeno in parte sanarsi una ferita lunga quasi tre anni.

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