CULTURA & SOCIETA'

Da Pitagora alle fave dei morti: storia e virtù del legume più antico del mondo

Sante e diaboliche, pure e impure al tempo stesso. Snobbate e bistrattate nel corso dei secoli, le fave hanno origini molto antiche e raccontano di superstizioni e misteri vecchi come il mondo

Convinto vegetariano ma ai suoi discepoli imponeva di “astenersi dalle fave”:era questoil primo dei numerosi e rigidi veti impostidal celebre filosofo e matematicoPitagora nel V sec a. C. Nulla di più strano per quella scuola mistico-filosofica che portò i pitagorici a governare le città più importanti del Meridione,gettando le basi per la nascita della Magna Grecia e lo sviluppo del razionalismo e del metodo scientifico.A prima vista, parlando di fave e razionalismo, i “tabù pitagorici” ne sembrano avere ben poco, a meno che non li si legga da un punto di vista filosofico-sociale. Ma tale e grande doveva essere l’importanza di questi legumi che, si narra, fosse lo stesso Pitagora a preferire la morte, inseguito e sgozzato dai suoi nemici, piuttosto che mettersi in salvo e fuggire attraverso un campo di fave.

Un’ossessione che il filosofo di Samo ereditò dai suoi lunghi viaggi e dalla storia che questo tenerissimo baccello portava con sé da tempi ancora più lontani. La Viciafabaè una delle prime piante conosciute della storia, coltivata fin dal Neolitico e avvolta da tutta una serie di superstizioni e misteri, diciamocelo, a volte anche esagerati. Le fave erano infatti considerate piante magiche, sacre agli dèi e care ai morti, poiché la macchia nera dei loro fiori bianchi rappresentava la lettera “theta” con la quale iniziava la parola Thanatos, la morte.Considerate impure dagli antichi sacerdoti egizi, con le fave si interrogavano gli dèi attraverso un sorteggio, una pratica che continuò anche nel Medioevo per votare in assemblea, dividendole in bianche e nere. E ancora oggi quando si dice “mettere alle fave”, in Toscana s’intende mettere a votazione un soggetto o una decisione.

Non finisce qui l’importanza della “carne dei poveri”: le «fave di nera buccia» sono evocate più volte nell’ Iliade di Omero mentre nell’ antica Roma si consumavano dopo le cerimonie funebrie nei Lemuralia, in cui si commemoravano gli antenati di famiglia.Non ultimo, l’origine del tabù delle fave potrebbe derivareda motivi di prevenzione sanitaria poiché ritenute tossiche e capaci di provocare quella terribile malattia che nel 1894, durante i lavori del Congresso Scientifico Internazionale di Roma, sarà chiamata favismo. Superstizioni a parte, le fave hanno un sorprendente contenuto di eccellenti proprietà: se consumate crude hanno un contenuto calorico davvero ridotto, appena 41 kcal per 100 grammi, pochissimi grassi, ricche di fibre, amidi e soprattutto di proteine, rendendole un cibo alternativo al consumo di carne rossa. Proteggono quindi la salute del cuore e contrastano il colesterolo LDL, quello cattivo.

Tra le vitamine abbondantissimi i folati, la vitamina B1 e quella B2. Diuretiche e disintossicanti, le fave sono una delle maggiori fonti naturali di L-DOPA, o levodopa, un aminoacido non proteico da cui deriva la dopamina, la cui produzione risulta carente nei soggetti affetti da malattia di Parkinson. Studi recenti hanno anche mostrato un miglioramento della sintomatologia grazie ad un consumo regolare di fave, non tale comunque da preferirle ai farmaci di sintesi, ovviamente, ma la scoperta fa ben sperare. Da cibo rozzo e destinato al popolo, la “carne dei poveri” è oggi rivalutata e utilizzata nei piatti a cinque stelle.Vere protagoniste della tavola di primavera, da utilizzare crude o cotte, dall’antipasto alle minestre ai contorni, con piatti di mare o di terra. Varrone, nel suo De rustica, riporta come nell’antica Roma le fave fossero tra gli alimenti più consumati insieme afarro eorzo.

Lo stesso Catonesuggeriva di consumarle cotte condite con l’aceto, mentre Plinio parla di un piatto molto diffuso dal nome Pulsfabata, che altro non era che l’antenato dell’odierno Macco di fave. Le fave ben si sposano con olio d’oliva e formaggi, in particolar modo con il pecorino romano: ingrediente prezioso con tonno e uova sode nell’insalata nizzarda diventano tradizione nel Lazio in occasione del 1° maggio con pane, pecorino e salame o come pretende la tradizione ischitana, accompagnate da semplice e profumata ventresca.  Fave e baccalà a Vicenza e poi frittate, puree e polpette, come le deliziose Falafel tipiche del Medio Oriente, o regine in piatti sostanziosi come la Fabadaspagnola in cui le fave sono preparate in umido con salsicce, maiale e cavolo.In Italia non mancano esempi illustri nei piatti in cui le fave sono protagoniste assolute, tra tutti vi è il famoso Maccosiciliano, dove le fave sono cotte e schiacciate con l’aggiunta di verdure e aromi, in genere finocchietto selvatico, e abbondante olio d’oliva.

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Come non menzionare poi un’eccellenza della cucina pugliese, l’Incapriatache abbina il sapore dolciastro di un cremoso purè di fave all’amarognolo della cicoria ripassata in padella. In Liguria è famoso il Marò di fave da servire su fette di pane tostato o come salsa per trofie e spaghetti o la Favata sarda, Su faee lardu, a base di fave secche, carne di maiale e aromi. Dalla tradizione alle cucine stellate il passo è breve, da Natale Giunta ad Alessandro Borghese, giusto per nominare due chef che hanno fatto grande un cibo povero, dal sapore fresco e delicato.

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La Ricetta: Polpo arrostito su crema di fave fresche


Tratto dal sito web Ricette di Sardegna

Lessare un polpo da circa un chilo per 30 minuti, partendo da acqua fredda leggermente salata: una volta pronto, lasciarlo raffreddare nella sua acqua di cottura.Sbollentare 500 grammi di fave private dal baccello per 3 minuti, immergerle quindi in acqua fredda per qualche minuto e infine pelarle. Affettare sottilmente una cipolla di Tropea e farla appassire con un filo d’olio, frullatela quindi con metà delle fave: salate e pepare.Tagliare il polpo a rocchetti aprendo questi ultimi a libro; condire con un filo di olio e foglie di maggiorana.Arrostire il polpo per pochissimi minuti per lato (in padella molto calda o su piastra), e servire accompagnato sulla crema di fave, completando con le fave rimaste e, a piacere, con germogli o prezzemolo.

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