CULTURA & SOCIETA'

Da Ponza a Procida per studiare, la storia di Beniamino Mazzella

DI RITA BOSSO

Arriva a Procida ai primi d’ottobre del 1973, si chiude nella sua stanzetta alla pensione Savoia e passa una settimana a piangere. Gli altri ragazzi di Ponza assumono atteggiamenti protettivi nei confronti di questo cucciolotto gracile, che non ha nemmeno tredici anni, che prima d’ora non era mai uscito da Ponza. A poco a poco Beniamino Mazzella prende coraggio, comincia ad esplorare l’isola; caspita, è una lingua di terra di appena quattro chilometri quadrati, la metà dello scoglio natio, ma ha una discoteca, due cinema, una sala teatrale! Procida comincia a piacergli, gli piace ogni giorno di più, e a Procida piace questo folletto ironico, discreto, educato che sbircia, annusa, respira l’aria nuova a pieni polmoni.

I ragazzi fanno musica, Benny si intrufola nel complesso musicale The Biggest, si esibisce con tutine attillate, parrucche, imita Renato Zero. Timidamente osserva le prove di una compagnia teatrale senza avere il coraggio di varcare la soglia: “Come mi piacerebbe stare là dentro”, sospira. Un’amica lo presenta a Ginetta Savarese, leader del gruppo. “Sono grato a Procida perché mi ha iniziato al teatro”, dice oggi Benny. Il primo spettacolo è ‘O Sciaraballo; seguono Li Nipute de lu Sinnaco di Eduardo Scarpetta, Sabato domenica e lunedì di Eduardo De Filippo e tanti altri.

Nei primi tre anni alla scuola professionale, Beniamino è uno studente modello; se avesse potuto, si sarebbe iscritto al liceo artistico ma nei primi anni Settanta è quasi impossibile, per un ragazzo di Ponza, rifiutare le condizioni vantaggiose che Procida offre. Soffre un po’ quando deve andare in officina per le lezioni pratiche, lui che arriva a scuola pulito, curato, elegante.

Il passaggio al Nautico è traumatico: Benny ha capito che quella scuola non fa per lui; gli darà un diploma che mai utilizzerà e che neanche ritirerà. Allora decide di prendersela comoda, i cinque anni diventano sei, poi sette, poi otto … Procida lo attrae con mille lusinghe, con le prime storie d’amore, con feste in maschera e allegri giri di “tombola scostumata”, con amicizie sincere e inestinguibili. “Qualche anno fa – Benny ricorda – ero a Napoli per un ciclo di chemioterapia. Mi chiama un’amica da Procida, allarmatissima: gira voce che io sia in fin di vita. La tranquillizzo: oddio, non è che sprizzi salute da tutti i pori ma mi sto curando, le previsioni non sono così tragiche. Finisce che nel fine settimana mi tocca andare a Procida e fare mille giri per rassicurare tutti i miei amici!”

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Beniamino arriva al punto di rinunciare a trascorrere qualche vacanza pasquale a Ponza per immergersi nella suggestione del Venerdì Santo procidano; quando parte, però, non rinuncia a riempire la valigia di limoni, sebbene il collegamento diretto tra le due isole sia stato soppresso e tocchi andare prima a Napoli, poi a Formia, salendo e scendendo da tram e treni. Procida ha rivelato a Beniamino una nuova dimensione dell’esistenza; sarà perché l’isola, all’inizio degli anni Settanta aveva ben oltre i diecimila abitanti di oggi, stipati in quattro chilometri quadrati ed era perciò impossibile nascondersi; sarà perché è un’isola di marinai e i marinai, parola di Dalla e De Gregori, “possono baciarsi tra di loro e rimanere veri uomini però”. Tornare a Procida è per Benny una necessità, ma l’idea di un trasferimento definitivo non lo ha mai sfiorato: “Ponza è l’isola in cui affondano le mie radici, Procida è la terra in cui ho emesso i germogli”, dice.

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