Gianluca Castagna | Lacco Ameno – Un centro produttivo e artigianale di grandissima qualità. Capace di aprirsi al dialogo, creativo e culturale, con l’esterno. Una realtà che non si era esaurita nella luminosissima esperienza ellenica e romana, ma che anche in epoca bizantina riusciva a stupire per creatività, esperienza, gusto, originalità.
L’affascinante storia archeologica dell’isola d’Ischia non smette di svelare i suoi tesori e incantare i visitatori di tutto il mondo malgrado la cronica penuria di finanziamenti (o inerzia politica) che davvero permetterebbero il rilancio di un settore capitale per il turismo culturale dell’intero Paese.
L’archeologia dell’isola d’Ischia è dunque ancora viva, se i suoi tesori continuano a essere catalogati, studiati, esposti nei musei più prestigiosi al mondo e inseriti in mostre che ne sottolineano il valore e l’importanza.
Una terra divenuta crocevia strategico tra Occidente e Oriente, un tempo cuore dell’Impero Romano e ora sede della Cristianità, ponte tra Mediterraneo e Nord Europa. “Longobardi. Un popolo che cambia la storia” ricostruisce dunque le grandi sfide economiche e sociali affrontate dai Longobardi e riflette sulle relazioni e sulle mediazioni culturali che dominarono quei secoli di guerre e scontri, alleanze strategiche e grandi personalità.
A quel tempo Napoli e Ischia erano bizantine. Libere dal dominio, all’inizio assai gravoso, delle popolazioni longobarde. Diventarono tuttavia punti di riferimento economico, commerciale e culturale del Ducato di Benevento e degli altri territori, favorendo scambi, relazioni e influenze. Questo spiega la presenza, all’interno della mostra, di reperti provenienti da Lacco Ameno. In particolare dal Museo Diocesano degli Scavi di Santa Restituta, polo archeologico nato grazie alla passione e alla tenacia di don Pietro Monti, che ha letteralmente scoperto la storia altomedievale dell’isola ed è stato rettore per decenni del Santuario dedicato al culto della martire di Cartagine e patrona d’Ischia.
Da questo eccezionale giacimento (mai completamente valorizzato), un segmento tutto ischitano viene oggi ammirato da migliaia di visitatori e inserito nella mostra grazie alla disponibilità del vescovo di Ischia Mons. Pietro Lagnese, dell’attuale rettore del museo D.Emanuel Monte e della dott.ssa Costanza Gialanella, diretto.re archeologo presso la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici degli uffici di Pozzuoli e di Ischia.
Ma anche grazie all’intuizione, al lavoro e alla perseveranza con cui due archeologhe ischitane, la dott.ssa Maria Lauro e la dott.ssa Mariangela Catuogno, hanno voluto fortemente questa collaborazione, seguendo di persona il progetto in fase di preparazione, organizzazione e redazione delle schede inserite nell’importante catalogo dedicato all’evento.
Un bacino, un’anfora, una lucerna, una matrice e quattro monete risalenti al VI e VII secolo d.C . «Si tratta di oggetti usati sia in un contesto domestico che funerario» spiega Mariangela Catuogno. «Quello che interessa, al di là della funzione all’interno del corredo, è la qualità della produzione. Si tratta di pezzi straordinari, il catino in particolare. Un unicum, in Italia, per qualità e per fattura. A quell’epoca le ceramiche sono quasi tutte acrome e di forma semplice. La nostra tradizione millenaria consentiva invece di fare un passo in più. Quella tipologia di decorazione, che all’esterno del bacino presenta fasce rosse, influenzerà la ceramica longobarda e in particolare quella di San Vincenzo. Parliamo, insieme a Montecassino, dei centri motori della cultura meridionale in epoca medioevale. I reperti provengono tutti dagli scavi realizzati da D. Pietro Monti dagli anni ‘50 ed esposti, prima della chiusura del Museo, nella sala superiore dove sono raccolti pezzi tardo antichi. L’area archeologica di Santa Restituta – precisa l’archeologa che insieme alla collega Maria Lauro continua il lavoro di catalogazione degli oggetti rinvenuti – è viva, ha una sua importanza scientifica che va resa nota. Ricordo che mentre l’esposizione al Museo archeologico di Villa Arbusto si chiude al II sec. d.C., i materiali custoditi al museo di Santa Restituta abbracciano un’ampiezza cronologica più rilevante, arrivando fino ai piatti della Torre dei Guevara».
Una sorta di virus contagioso, visto che anche il Ducato di Benevento, celebre roccaforte longobarda rimasta in vita come stato indipendente sin oltre la metà dell’XI secolo, non solo conservò memoria e retaggio del Regno di Pavia, abbattuto da Carlo Magno nel 774, ma elaborò un proprio originale ruolo di cinghia di trasmissione fra le culture mediterranee e l’Europa occidentale.
Parlarne oggi, in una fase di cambiamenti altrettanto marcati come quelli che si verificarono nell’Italia longobarda, significa sperimentare la possibilità di costruire una visione “dal Mediterraneo” all’intera Europa, e mostrare una prospettiva del nostro continente in cui i legami fra le aree transalpine e quelle meridionali appaiano assai più equilibrati e dialoganti di quanto molta storiografia non abbia da sempre teso a rappresentare.