LE OPINIONI

IL COMMENTO Non meritiamo una Sanità a metà

DI ANTIMO PUCA

Si è più volte detto che i Pronto soccorso sono la cartina di tornasole del SSN. Il pronto soccorso per cittadino è la sola “porta aperta del SSN” aperta h\24 365 gg anno, la sola a dare una risposta immediata. Nulla o molto poco si sta scrivendo sul riordino della rete ospedaliera. Pochi i finanziamenti. Andrebbe riscritto il decreto 70. Andrebbe riscritta la legge Balduzzi con gli insufficienti 3,7 posti per mille abitanti. Seppure avessimo un territorio più performante, le nostre strutture ospedaliere, Rizzoli e San Giovan Giuseppe, non reggono e devono essere ristrutturate e potenziate. L’ospedale Rizzoli regge il peso della sanità pubblica di tutto il territorio garantendo il diritto all’assistenza ed alle cure mediche. Cominciamo a fare funzionare bene ciò che già abbiamo. Le carenze di organico ci sono e purtroppo sono anche in aumento, visto che per le pesanti condizioni di lavoro il 20% del personale sanitario del nostro territorio (dai medici agli infermieri) si sta licenziando per lavorare nelle Rsa o nella sanità privata. Siccome lavorano tanto e male, le lavoratrici e i lavoratori stanno cercando contesti meno gravosi, dove rispondere delle responsabilità che loro competono e non anche di quelle aggiuntive, causate magari dall’obsolescenza delle strutture o, appunto, da una pessima organizzazione: se questa resta, nemmeno con le assunzioni si risolveranno mai bene i problemi. Nessuno si cura di capire il problema, di provare a cercare soluzioni. 

Oltre alle nuove assunzioni necessarie a tutta la sanità pubblica, urge un’organizzazione della sanità diversa, adeguata alla complessità dei fabbisogni di salute e rispettosa e valorizzante delle condizioni e della qualità del lavoro. Per superare le liste di attesa, le strutture private accreditate hanno inventato il solvente divisionale, una prestazione a pagamento con una tariffa “calmierata” che va bene a tutti, ma che inevitabilmente aumenta l’attesa di chi non può, a qualunque titolo, pagare. Credo che siccome il sistema così come lo abbiamo reso non funziona, occorre cambiare. Come? Come ho detto spesso: tornando al passato. Ospedali pubblici dove si fanno solo visite, esami, diagnosi e terapie mediche o chirurgiche pubbliche. Senza intramoenia e senza cavilli burocratici ed economici per ovviare, credendosi furbi, alla lista. Come un gatto che si morde la coda. Partiamo da cose semplici da attuare. Partiamo da un concetto semplice: l’ospedale deve servire a tutti, non prima a chi può. Occorre controllare che questo equo concetto sia rispettato. Per il Bene comune. Almeno quando ci sono periodi di emergenza e quando la struttura non riesce a garantire la cura del paziente quella struttura non deve fare prestazioni private, ma solo pubbliche. Oppure fa solo prestazioni private ma la regione toglie il convenzionamento. Perché secondo l’articolo 32 della Costituzione dobbiamo garantire a tutti di stare in salute. E andiamo avanti perché la forza delle idee, prima o poi, vincerà. E gli onesti riempiranno il vicolo.

Dietro lo stress per pazienti e medici nella sale di emergenza c’è il fallimento della medicina del territorio e i tagli ai posti in ospedale. I Medici sono impazienti di trovare un letto a quelli che hanno problemi più seri e fare posto ad altri. In molti casi i dottori sono giustamente impazienti anche nell’attesa di essere sostituiti, dopo lunghi turni usuranti. Sono impazienti persino gli autisti e gli infermieri delle autolettighe, costretti spesso nei grandi centri ad aspettare a lungo che vengano restituite le barelle. Perché non si trova dove sistemare i malati che non possono stare in piedi. Pressato dall’esterno (il territorio che non filtra) e dall’interno (l’ospedale che fatica ad assorbire e la diminuzione di personale nella stessa area di emergenza) il Pronto Soccorso si stressa. E rischia di esplodere. E’ in fondo il termometro dello stato di salute complessivo della Sanità: che oggi ci segnala che il nostro sistema ha la febbre e che rischia di ammalarsi gravemente. Non ci possiamo più permettere che il Pronto Soccorso ed il territorio non dialoghino tra loro. Non ci possiamo più permettere che i posti letto nei diversi setting assistenziali siano insufficienti. Non ci possiamo più permettere dei Pronto soccorso subissati di accessi impropri. Non ci possiamo più permettere un contenzioso medico legale che costa 30 milioni euro l’anno. Non ci possiamo più permettere l’inefficienza e non ci possiamo più permettere il mantenimento di privilegi di stampo feudale in alcuni ambienti

I cittadini non meritano un ospedale a metà, un ospedale ridotto a punto di assistenza territoriale, che garantisce, si fa per dire, un’assistenza limitata senza poter fare accertamenti, anche perché non ci sono strumentazioni per approfondimenti medici. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i signori sindaci che assistono in silenzio a questo scempio, mentre i cittadini sono penalizzati e costretti a spostarsi in altre città, per effettuare indagini diagnostiche. La sanità è un diritto di tutti e le istituzioni del territorio dovrebbero battersi per garantire questo diritto. A ischia purtroppo questo non accade. È una vergogna alla quale bisogna porre fine. Sappiamo bene quale è la fase, e chi è oggi il nemico della sanità pubblica: coloro i quali sono stati sostenuti anche elettoralmente da chi poi piange lacrime di coccodrillo. Ma in tanti anni cosa hanno fatto i sindaci dell’isola? Si sono messi la fascia per le processioni, si sono portati sui posto del terremoto, dell’alluvione, si portano nelle chiese ad omaggiare i morti e di tanto a dire qualche parola. Ma cosa hanno fatto per prevenire? o sono in grado di farlo? Hanno le idee e la cultura per farlo? Basta! Noi abbiamo il diritto di essere guidati da sindaci che hanno la forza di ridarci le le nostre priorità e di farci uscire dal fango senza farsi notare. Un sindaco non è un buon sindaco se non si occupa prioritariamente delle questioni della salute e della protezione sociale dei concittadini. Di conseguenza è fondamentale, tenendo conto delle norme regionali,l’azione dei comuni in termini di controllo, proposta, e ‘rivendicazione’ nei confronti del livello regionale e delle aziende sanitarie. L’applicazione rigida del modello aziendalista ha annichilito la questione del governo democratico della sanità e del sociale. Invece, a 40 anni dalla legge 833, uno dei suoi capisaldi – il legame col territorio – deve essere con forza riaffermato. Deve essere riaffermato il diritto alla tutela della salute contro ogni forma di privatizzazione, palese o strisciante, ed il diritto alla dignità del lavoro in sanità pubblica e privata. I cittadini hanno diritto ad una sanità universalistica e pubblica. Sulla salute non è giusto fare profitti, quindi deve essere contrastata la strisciante privatizzazione alla quale abbiamo assistito in questi ultimi anni (vedi, ad es., l’appalto ai privati di servizi sanitari all’interno delle strutture pubbliche, l’acquisto di prestazioni dai privati per ridurre le liste di attesa, potenziamento delle assicurazioni sanitarie private, mutue di categoria o addirittura aziendali che danneggiano la sanità pubblica …) che sta rischiando di riportarci alla situazione ante Riforma Sanitaria. In sintesi, dobbiamo porre nel nostro paese l’obiettivo di una ‘ri-pubblicizazione del servizio sanitario’.  Dobbiamo far vivere la ‘protezione sociale’ come un diritto, e non lasciarlo collocare nella sfera del favore o della carità.

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È necessario un modello organizzativo a rete, non a piramide. È necessario che la tutela e produzione di salute sia in capo a ogni altra politica amministrativa locale, dall’urbanistica ai trasporti, dall’istruzione all’edilizia pubblica e privata, poiché è ormai nozione diffusa che i principali danni per la salute derivino dall’ambiente. Ogni Comune deve avere un Piano per la Salute e, funzionale a questo, disporre di un Profilo di Salute del territorio: strumento che non deve essere non generico e vedere il coinvolgimento degli operatori socio sanitari nella sua costruzione. Tra i problemi che un sindaco si vedrà riferire c’è senz’altro quello delle difficoltà di accesso alle prestazioni. Sicché, dovrà considerare anche la rivendicazione della trasparenza delle liste d’attesa. I tempi di attesa per le principali prestazioni devono essere fatti conoscere efficacemente, nonché disporre di procedure di sostegno alle persone che incorrono nel superamento dei tempi standard previsti dalle norme. Gli ischitani devono calare la maschera. Nessun abitante dovrebbe rendersi disponibile ad accettare taluni compromessi. Il trasporto pubblico locale incide direttamente sulla fruizione dei servizi sanitari. Alcune scelte, compromessi, colpiscono direttamente e pesantemente quella larga fascia di cittadini e di persone anziane che costituiscono sul territorio un record addirittura nazionale. Bisognerebbe mobilitare il territorio e utilizzare tutti gli strumenti garantiti dalla Costituzione per evitare che si continui a fare scempio della Sanità ischitana.

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Proprio sul Pronto soccorso i sindaci dovrebbero lanciare l’allarme più impellente alla Asl, dal momento che spesso medici e infermieri sono costretti ad operare senza la presenza di servizi come cardiologia e chirurgia, con altissimi rischi per gli operatori che invece svolgono il proprio compito con professionalità e competenza. E non solo. Sono più che mai convinto che i due ospedali, Rizzoli e San Giovan Giuseppe, debbano l’uno completare l’altro nell’ottica però di fornire sempre e comunque un servizio all’altezza per rispondere alle esigenze di tutto il nostro territorio. E in quest’ottica ritengo che Rizzoli e San Giovan Giuseppe, oltre ad avere un direttore sanitario, dovrebbero avere autonomia di gestione per la necessaria snellezza nelle procedure burocratiche e funzionali, debbano essere assegnati dei Primari e/o dei UOSD che possano esercitare la propria missione sanitaria in maniera consona ed autonoma, senza il rischio di sottodimensionamento. Soprattutto durante il periodo estivo. L’invito dunque, ai Sindaci, è battersi per il rilancio della sanità pubblica, contro deviazioni in favore di privati che troppo spesso competono con il pubblico pretendendone lo smantellamento delle strutture. Ciò che noi ischitani dovremmo chiedere è il ripristino dei servizi cancellati come alcuni reparti presso il Rizzoli, come pure la riprogrammazione dell’atto aziendale che tenga conto del bisogno di sanità dei cittadini, di un piano straordinario per l’ammodernamento delle strutture, San Giovan Giuseppe e Rizzoli, affinché abbiano gli spazi per accogliere nuovi posti letto e affinché potranno assumere in futuro il ruolo di Dipartimento di Emergenza ed Urgenza se dotato di nuovi reparti, infrastrutture e servizi a suo supporto.

Il Servizio Sanitario Locale riesce ad esprimere tutta la sua forza e garantire una reale vicinanza alle esigenze della popolazione se viene svincolato da un potere decisionale tutto incentrato sul controllo economico e lontano dalle conoscenze del territorio. È quindi compito anche dei sindaci l’esercizio di una forte azione di vigilanza  di pressione perché non vengano perse esperienze proficue a livello locale e sia sempre garantito un alto livello di assistenza. Tutto ciò rappresenta anche un ‘contrappeso democratico’ allo stato delle cose presenti. La stessa Democrazia, infatti, non può essere una pratica ridotta alle sole procedure elettorali.

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