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Depuratore, snodo cruciale per evitare il braccio di ferro giudiziario

Lunedì appuntamento in videoconferenza tra Enzo Ferrandino, il commissario Giugni e un rappresentante della società Limparo, che dal Tar ha ottenuto indietro il terreno dove sorge l’opera. Le richieste dei Di Meglio potrebbero far saltare il banco e così la partita si chiuderebbe al Consiglio di Stato, cui la Regione si è già appellata

E’ uno snodo fondamentale, una partita importantissima quella che si giocherà tra pochi giorni e che potrebbe essere decisiva per la realizzazione del depuratore sulla collina di San Pietro, quello che nei piani dovrebbe servire una volta ultimato (sempre che la cosa riesca, il che non è affatto scontato) i Comuni di Ischia e Barano. La sentenza del Tar che qualche tempo fa ha restituito il terreno dove sorge l’opera erigenda alla società Limparo – che fa riferimento alla famiglia Di Meglio, proprietaria dell’area – ha complicato maledettamente le cose, non soltanto perché segna un evidente punto a favore del privato in questo delicato contenzioso, ma anche perché il dispositivo stesso ordina anche il ripristino dello stato dei luoghi. Che, tradotto in parole semplici, significa “smontare” anche tutto quanto fin qui realizzato. Una prospettiva ovviamente che nessuno vorrebbe nemmeno lontanamente prendere in considerazione, e il condizionale è d’obbligo visto che c’è una decisione dell’autorità giudiziaria alla quale non ci si può non attenere. Ma è ancora possibile trovare una mediazione tra le parti? Difficile dare una risposta, quel che è certo è che non bisognerà attendere molto per trovarla.

Lunedì mattina c’è uno snodo importante. Dinanzi ad un pc – in tempi di covid non ci si può che affidare alle videoconferenze, che in casi del genere in ogni caso tornano utili perché annullano le distanze geografiche – si ritroveranno il sindaco Enzo Ferrandino, i legali rappresentanti della Limparo e dunque dei Di Meglio e il commissario per la depurazione prof. Ing. Maurizio Giugni o un suo delegato. Ma su che cosa si tratta? Secondo alcune voci di corridoio, la Limparo – in grado della rinuncia a mettere in esecuzione la sentenza favorevole – avrebbe in animo di chiedere all’ente di via Iasolino la possibilità di poter edificare una porzione ulteriore di terreno nel momento in cui prenderà finalmente piede il progetto di costruzione di un albergo laddove un tempo sorgeva il “San Pietro”. Ma l’idea in primis non sembra allettare più di tanto la controparte ed in secondo luogo avrebbe bisogno in ogni caso di un nulla osta della Sovrintendenza, che non sembra essere particolarmente sensibile in materia, come peraltro dalle nostre parti è abbastanza noto. Insomma, si tratta di una richiesta che prevederebbe il coinvolgimento di un terzo soggetto istituzionale e dunque si finirebbe con il rimanere “sotto al cielo”, per usare un motto che rende l’idea.

Ci sarebbe anche una soluzione alternativa, quella cioè di liberare a beneficio della Limparo lo spazio dove sorge un vecchio depuratore che potrebbe trasformarsi in superficie edificabile. Questo potrebbe essere tutto sommato un compromesso raggiungibile in maniera presumibilmente più semplice. Di fatto però non va dimenticato un dettaglio: il Comune di Ischia parteciperà nella persona del suo sindaco pro tempore alla videoconferenza di lunedì, ma di fatto non è “attore” in questa vicenda che – lo ricordiamo – anche dal punto di vista squisitamente giudiziario vede in campo la società Limparo, la Regione Campania e l’Arcadis. Al punto tale che lo stesso ente di Palazzo Santa Lucia non ha perso tempo e dopo la sentenza sfavorevole del Tar ha già proposto ricorso al Consiglio di Stato. Nel quale, soluzione estrema, potrebbe inserirsi ad adiuvandum anche lo stesso Comune di Ischia. Ricorso che – se non interverrà la “pace” tra le parti in causa – sarà discusso nel mese di febbraio. Ma è chiaro che si lavorerà nella direzione di evitare un nuovo ultimo scontro frontale che a quel punto potrebbe avere conseguenze devastanti anche per il completamento dell’opera, soprattutto se l’ultimo grado di giudizio dovesse sorridere nuovamente alla Limparo, così come accaduto dinanzi alla magistratura amministrativa.

Le cui conclusioni erano state decisamente perentorie con i giudici che avevano deciso di “accogliere le domande proposte dalla ricorrente nei termini di cui in motivazione, e per l’effetto: accerta l’illegittimità dell’occupazione del fondo di proprietà della ricorrente dal 30 giugno 2016 fino all’attualità; condanna l’Arcadis alla restituzione, previo ripristino dello status quo ante, dei cespiti occupati, liberi da persone o cose, entro il termine di tre mesi dalla comunicazione ovvero notificazione della presente sentenza; condanna l’Arcadis al pagamento dell’indennità di occupazione in favore della ricorrente, da quantificarsi, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., secondo i criteri indicati in motivazione; condanna l’Amministrazione soccombente a rimborsare alla parte ricorrente le spese di giudizio, liquidate complessivamente in € 2.000,00 (duemila/00), oltre ad oneri accessori, come per legge, ed oltre alla refusione del contributo unificato; Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa”. Insomma, una mazzata pesante e perentoria, ecco perché non resta che confidare nel buonsenso di tutte le parti in causa. Il timore, che resta tale, è quello che non convenga a nessuno tirare questa storia fino ai titoli di coda. Intelligenti pauca.

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