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Dipendenti per le feste natalizie

PROCIDA – Nelle case le alici salate non dovevano mancare perché, come voleva la tradizione, ci volevano le alici per preparare una buona e gustosa pizza di scarola nella vigilia. Il giorno di Natale, invece, si  gustavano con un filo d’olio accompagnate  dal buon  pane fresco cotto nel forno a legna. Erano e sono squisite. Altro che caviale! Poiché le richieste aumentavano, i pescatori furono costretti a chiedere alle mogli e sorelle e, col passare del tempo, la mano d’opera divenne tutta femminile. Queste donne per giustificare un lavoro che avrebbero dovuto svolgere gli uomini solevano dire: “Gli uomini lavorano di notte per pescare le alici e noi di giorno per salarle”. Quel lavoro richiedeva tanta fatica , ma le donne erano contente di guadagnare qualche lira in più per far quadrare , in quei tempi duri, il misero bilancio famigliare. All’alba, tutte insieme, aspettavano i loro uomini con il pescato e felici si mettevano all’opera cantando e scherzando, già pensando al guadagno che sarebbe presto  arrivato,  grazie anche a quel loro assiduo impegno giornaliero. I pescatori pescavano le alici usando particolari lampadine, chiamate in dialetto solara, per accendere le quali usufruivano di un piccolo accumulatore di corrente. Queste lampade  venivano immerse  nel mare e, all’esterno, si copriva la superfice del mare con una  incerata scura per evitare che i raggi luminosi fossero intercettati  dai tedeschi , all” epoca ancora  stazionati tra Ischia e Monte di Procida.

Un episodio triste che risale proprio ai primi anni de la salata, quando la guerra non  era  ancora  finita. Tra  i pescatori di alici c’erano alcuni napoletani che si erano trasferiti sull’isola con le famiglie. Tra questi , un uomo di Mergellina dalla  pelle scura e con i capelli  riccioluti soprannominato “u Ciappellaro”. Lui abitava  in una stanza “Sott a lengua” e quel giorno, verso mezzogiorno, dopo aver salutato gli amici che stavano presso la salata  si avviò a casa . D’improvviso si udirono spari da lontano  e contemporaneamente  schegge piovvero con violenza sulla banchina: erano i tedeschi che sparavano da Monte di Procida. Una di queste schegge centrò in pieno il petto del “Ciappellaro” che  cadde a terra privo di vita. L’attività della salata durò una decina d’anni, fino a quando cominciarono ad arrivare sull’isola le alici salate chiuse ermeticamante in scatolette di stagno. Solo allora la salata fù chiusa, ma qualche pescatore conservo” L” abitudine di salare piccoli vasetti di alici solo per la sua famiglia e gli amici intimi. Tra questi c’era Carmine Parascandola, detto Meniedd  o Meniello. Anche lui veniva da Napoli ma, passata la guerra, non volle più tornare nella sua città e si sistemò a Procida con la famiglia, lavorando sempre nel campo della pesca e trasmettendo ai suoi figli la stessa passione.

 

Di Annarosaria Meglio

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