LE OPINIONI

IL COMMENTO Ischia e le verità scomode

DI LUIGI DELLA MONICA

Una antica virtù italica è stata quella di esiliare i grandi geni. Nel celebrare i 700 anni dalla morte di Dante (14 settembre 1321, Ravenna) ci si ricorda che il Sommo Poeta, colui che venne cacciato da Firenze per le sue idee guelfe bianche (teorizzava la suddivisione del potere temporale e secolare del papa)… direbbe Totò, al secolo principe Antonio De Curtis…”e che sono ghibellino io”? Chiedo scusa ai lettori per la introduzione alquanto illogica. Arrivo al punto. L’isola tanto è sconvolta dalla devastazione morale provocata dall’esperienza COVID19, che avrebbe bisogno di un terremoto culturale ed un alto profilo dottrinale del pari della Divina Commedia, per poter rinnovare la coscienza collettiva della sua popolazione. Franco Borgogna ha discusso di perdita dell’abitudine al bello, l’altro nostro opinionista Graziano Petrucci della virtù ischitana di essere sepolti da una cronica indifferenza al bene comune. Forse proprio fuori dall’isola e non al suo interno devono essere affermate verità scomode, come scomodo era a Firenze il pensiero del Sommo Poeta.

La bocca dell’Inferno è stata individuata nel lago d’Averno; potremmo anche paragonare Ischia al purgatorio dantesco, perché le terme, l’attività flegrea sono purificatrici delle colpe. Danti Alighieri ci ha donato una fotografia indelebile della geopolitica del suo tempo, ma se volessimo trasfigurare la Divina Commedia su Ischia, se volessimo ad esempio adottare lo scenario naturale isolano alla location di rappresentazioni teatrali permanenti della Poema Dantesco, saremmo in cerca di personaggi omologhi da riprodurre pedissequamente, oppure ci sarebbe l’imbarazzo della scelta ad inserirvi pari, pari individui della Ischia odierna? come al tempo di Dante? Io dico che si potrebbero scrivere dieci Divine Commedie. Ma no, suvvia avvocato non sia critico, perché di dantesco a Ischia vi è soltanto il Paradiso. Nel post covid l’isola ha soltanto messo la pancia al caldo, nel senso che ormai il sold out di presenze è stato notorio ed epocale, ma non ha compreso che la coscienza civile deve risorgere. Il terrorismo islamico, barbarie delle menti umane, al pari dell’olocausto, di cui si può simbolicamente indicare come data di nascita l’11 settembre 2001, – “the ground zero” – , è un modo sbagliato di combattere i valori dell’uomo occidentale secondo l’equazione ricco uguale felice. Ad oggi la felicità di un uomo ischitano, quale tipico imprenditore di una potenza industrializzata, è avere un cospicuo conto in banca e pagare poche tasse e questo bagaglio di valori viene trasmesso di generazione, in generazione. Gli adolescenti, che dovrebbero conoscere almeno il primo canto dell’inferno della “Divina Commedia” a memoria o conoscerne integralmente il contenuto, sono abilissimi nel chattare su whatsapp, su instagram…e vivono una distanza siderale con i loro genitori, oppure nonni. Ridono al pensiero che i padri dei loro nonni mangiavano carrube, bevevano surrogato di caffè: sono visioni surreali.

Nelle mie orgogliose origini ischitane vi è una lontana affinità con il Cav. Peppino Conte (p.tta San Girolamo, Ischia, elenco dei caduti in guerra), ragazzo di 26 anni che, neolaureato in Economia e Commercio dirigeva la filiale del Banco di Napoli di Ischia, partiva per il fronte russo e non faceva mai più ritorno in Italia, morendo fra mille stenti e sofferenze. Oggi a 26 anni un ragazzo\a è ancora perso nelle sue incertezze dell’avvenire, pretenzioso di essere riconosciuto adulto per motivi anagrafici, ma rispetto alle coerenze che questo appellativo comporta talvolta è sfuggente ed inaffidabile. Con queste tediose premesse voglio significare che è arrivato il momento di accompagnare il brand Ischia alla cultura in modo permanente e non per un solo anno come la cugina Procida. Il turista deve sapere che non deve sbarcare sull’isola per il termalismo e per la buona cucina, ma per le sue mete culturali al pari di Pompei ed Ercolano e si deve attendere di confrontarsi con abitanti dell’isola consapevoli della propria identità culturale elitaria. Si deve smetterla con quel rapporto stizzoso ed opportunista con la terraferma: frasi del tipo “Ischia è un’altra cosa, a Napoli è la concentrazione di tutta la melma umana”…

Le vie del mare di Ischia sono garantite dagli scali di Napoli e Pozzuoli, rispetto a cui, nell’ottica della città metropolitana che non deve solo essere più formale e figurativa, gli imprenditori isolani e gli enti locali devono ipotizzare una progettualità di ampliamento ed integrazione. Devono essere gli isolani a porsi il problema che il forestiero proveniente da Capodichino e da Piazza Garibaldi, oppure il crocierista del Molo Angioino, non debba patire le intemperie atmosferiche nell’attesa agli imbarchi e quindi proporre e promuovere soluzioni innovative di siti architettonici ed infrastrutture destinate al ricovero, ma anche alle “agility” degli ospiti nazionali ed extranazionali. Non si illudano taluni gretti isolani che per liberarsi dal problema su menzionato si producono in frasi fatte, trite e ritrite, all’indirizzo dei turisti, ribadendo le presunte distanze socio-culturali dalla terraferma. Nella mente del forestiero non si creda che la differenza fra Ischia o Napoli sia concepita come netta e distinta; lo straniero di media cultura ha nella mente “Gomorra”. Proprio per questo la cultura, gli eventi congressuali, le riflessioni ideologiche devono essere orgogliosamente propugnate sull’isola, che per la sua forte capienza di strutture alberghiere, che non patiranno mai carenze, dovrebbe essere capitale permanente della cultura italiana. Non mi sembra una eresia, visto che l’isola per abitanti è terza soltanto alle Regioni Sicilia e Sardegna.

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La stessa isola deve porsi il sogno folle di scrollare di dosso alla città capoluogo, attraverso una convention che inviti la Signora giornalista di “Le Figarò”, il terribile fardello della presunta capitale del Terzo Mondo. In proposito posso affermare con serenità che Napoli, come Ischia e le altre isole cugine ed ancora Sorrento, Pompei, per citarne le maggiori perle, suscitano profonda invidia Oltralpe. Soprattutto ora che la mirabile opera vaccinale, del Governo e dei suoi cittadini, ha espulso il terrore del contagio nella Nazione che ospita l’80% del patrimonio archeologico ed architettonico del Mondo. Con Napoli i francesi credo che abbiano un conto in sospeso che risale almeno all’epoca angioina avendo sempre avuto una ideologia di conquistatori e non di rinnovatori come il precedente Federico II di Svevia. Non vi è dubbio che gli stessi abbiano lasciato in eredità storica imperitura alla città di Napoli il Castel Nuovo (Maschio Angioino), edificato Castel Capuano e rinnovato Castel dell’Ovo, ma la loro tracotanza era tanto nota, per le imposizioni fiscali sul popolo che la rivolta dei Vespri Siciliani aprì la strada proprio all’avvento degli Aragonesi che di Ischia sono stati incontrovertibilmente i propulsori. Certamente nel 1806 Gioacchino Murat nel vedere il Cilento esclamò “qui non si muore”. Vi è un pensiero perverso che anima gli avari di complimenti cugini francesi. Non si spiegano come mai un beniamino del calcio come Maradona diventa una persona di famiglia, al pari di San Gennaro, e non digeriscono che a Napoli, come a Ischia ed altra parte della Campania, vi sia una perfetta integrazione culturale e razziale. Sì è così, Napoli è una città europea dall’influsso francese, spagnolo, tedesco, austriaco, inglese, arabo, iraniano, egiziano, senegalese, ivoriano ed anche cinese e giapponese.

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Mi dispiace signora giornalista di “Le Figarò”, a dispetto di chi scrive, Ella per il puro dio denaro della celebrità, si è armata della forza espressiva dell’arte teatrale della serie TV Sky “Gomorra” per dipingere di tinte fosche una città che è composta da persone straordinarie, che la sua Nazione non riesce a comprendere e ciò che non si conosce si disprezza. Non giova mai salire in cattedra, perché se non si è degni presto o tardi si rischia di essere buttati giù. Attenzione, anche l’Italia stessa è matrigna con Napoli, ma il vittimismo dei suoi abitanti deve anche finire una volta e per sempre. Come il vittimismo degli ischitani che si lamentano spesso delle calamità naturali, ma non fanno nulla per riqualificare il territorio. Gli ischitani devono divenire i portatori della cultura della Coppa di Nestore, come capitale mondiale della cultura greco-romana nel Mondo, perché essa è la prima testimonianza fisica storica della scrittura in Europa nel 900 avanti Cristo, mentre i Druidi, nella Gallia Cisalpina, come ci narra Caio Giulio Cesare, nel “De Bello Gallico” praticavano i sacrifici umani ancora nel 50 avanti Cristo.

In ultimo, ma non per ultimo, cari Signori francesi Vi ricordo che l’esempio del disadattamento sociale ed istituzionale sono le “Banlieue” e non Napoli, che con le sue difficoltà mantiene ancora il senso di umanità ed integrazione; negli anni 60’ il clan dei marsigliesi ci ha portato con le braccia “amorevoli” di Lucky Luciano la droga. Finiamola con le frasi fatte e facciamo le persone serie. La cultura deve essere il motivo determinante per lo sbarco del forestiero ad Ischia, il tutto supportato da ottima cucina, terme rigeneratrici e spiagge da sogno, che devono essere gestite nell’ottica del raggiungimento delle bandiere blu, di modo che Ischia possa diventare la sede del Paradiso dantesco.

* AVVOCATO

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