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Marijuana nel terreno, braccio di ferro tra accusa e difesa

ISCHIA. Dopo tre mesi esatti è ripreso il processo per accertare le eventuali responsabilità di Giuseppe Di Meglio nella coltivazione di piante di marijuana e cannabis. Come si ricorderà, sul finire dell’estate 2015 i Carabinieri si portarono nei pressi dell’abitazione dell’imputato rinvenendo un paio di piante di marijuana, di altezza compresa tra i due e i due metri e mezzo. L’operazione dei militari fu indotta dalla classica “soffiata”, ottenuta da fonti confidenziali. Tuttavia non a caso abbiamo utilizzato l’espressione “nei pressi” per riferirci al luogo del ritrovamento, in quanto il processo si è giocato sin da subito sulla esatta ubicazione delle piantine e sulla titolarità effettiva del terreno su cui esse sono state ritrovate. L’area in questione, infatti, da quel che è emerso nel dibattimento dovrebbe avere più punti di accesso, tali da consentire a diverse persone di raggiungere agevolmente il punto dove erano poste le piante, riparate da una lamiera. Fra l’altro nell’udienza precedente svoltasi prima di Natale, il testimone indicato dalla difesa, Giovanni Migliaccio, aveva confermato che la proprietà al di là della lamiera appartiene a un’altra famiglia, e che a tale proprietà si accede anche da un altro varco più “importante dove altre persone possono accedere”, dichiarando inoltre che “la proprietà sita a sinistra lungo il vialetto prima di arrivare alla lamiera, delimitata dalla rete, presenta anche degli accessi sul vialetto stesso”. Ieri invece è stato ascoltato uno dei militari che eseguirono le ispezioni sul posto: il carabiniere Veccia ha spiegato che le piante erano contenute in vasi, confermando la circostanza che esse si trovavano riparate da una protezione di lamiera e che nell’abitazione dell’imputato non fu rinvenuta alcuna traccia di semi o di altri indizi riconducibili alla coltivazione di tali piante. Inoltre l’Arma all’epoca non eseguì ricerche di tipo catastale per stabilire esattamente la titolarità dell’abitazione e dei vialetti di accesso al punto in questione. D’accordo con le parti, il giudice ha fissato la prossima udienza a giugno, per la sola discussione. Intanto, la difesa dell’imputato, sostenuta dall’avvocato Lorenzo Bruno Molinaro, ha depositato una articolata memoria difensiva, nella quale in via preliminare viene eccepita la nullità della perquisizione domiciliare e del sequestro probatorio operati dalla Polizia Giudiziaria, perché fondati esclusivamente su notizie confidenziali. Inoltre, con una serie di riferimenti giurisprudenziali il penalista ha sottolineato che anche nel merito le risultanze dell’istruttoria dibattimentale confermerebbero l’assoluta estraneità dell’imputato ai fatti contestati, in quanto lo stesso teste principale del P.M., il maresciallo Bonavoglia, ha dichiarato che, contrariamente a quanto affermato nel capo di imputazione, le piante si trovavano “affianco al fondo di proprietà del Di Meglio” e, dunque, non all’interno della proprietà di quest’ultimo. Questa e altre risultanze sono state poste alla base della richiesta di mandare assolto l’imputato per non aver commesso il fatto, e in ogni caso, anche a voler ritenere che quest’ultimo avesse l’effettiva disponibilità delle due piantine, quel che conta secondo la difesa è che non solo non sono stati ritrovati semi o altro materiale che possano far presumere l’aumento di diffusione della sostanza stupefacente, ma non è stato neanche accertato se vi fosse nel caso in esame una prospettiva di “utile distribuzione in favore di terzi consumatori”.

Francesco Ferrandino

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