Gianluca Castagna | Lacco Ameno – Il 25 novembre è la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, appuntamento preceduto (e seguito) da tutta una serie di iniziative e da uno spot (“Non è una normale che sia normale”), con i volti e le voci di tanti protagonisti dello spettacolo, della politica e dello sport che hanno deciso di partecipare a una campagna di sensibilizzazione verso una questione che sta assumendo, anche nel nostro Paese, i caratteri dell’emergenza. Se di positivo ci sono gli ultimi dati sulle donne che hanno deciso di chiedere aiuto, rompendo così il muro di omertà e silenzio, dall’altro restano i numeri sul femminicidio. Avvilenti per un paese civile.
Il genere femminile della vittima, e il ruolo sociale che comporta, possono diventare la causa determinante di un omicidio. E’ per definire questi casi che è stata coniata una parola – “femminicidio” – che a molti, vecchissimi alfieri della subcultura maschilista suona male, dà quasi fastidio, ma resta utile a non banalizzare un fenomeno che non accenna a placarsi. Sono stati 106 nei primi 10 mesi del 2018, saliti quasi al 38% dei delitti commessi nel nostro Paese, e cosa ormai nota, il grosso delle violenze avviene in famiglia, quasi sempre all’interno della coppia. Soprusi, maltrattamenti, violenze, vessazioni, fino al gesto definitivo dell’omicidio. Gesti dovuti al sentimento di possesso che trasforma mariti, compagni, fidanzati, amanti in aguzzini. La scelta delle armi usate per colpire rende le aggressioni ancora più inquietanti: coltelli, mani nude, talvolta benzina, acido e fuoco: dettagli che attribuiscono a questi omicidi qualcosa di atavico, primitivo, qualcosa che affonda le sue radici in antichi e malati sentimenti di possesso e prevaricazione, facendo apparire ancora più paradossale la definizione più ricorrente del movente, “passionale”. Come se di passione e amore ci fosse ancora traccia in queste comportamenti.
La particolarità del progetto è rappresentata anzitutto dalla durata dello stesso. La conferenza di ieri è stato solo il primo passo verso una serie di iniziative, proposte e contributi messi in campo all’interno di un percorso culturale che vedrà coinvolte, sul territorio isolano, amministrazioni pubbliche, scuole, realtà associative, imprenditoria e società civile. Ogni mese, fino al prossimo 8 marzo, ci sarà almeno un incontro/evento aperto al pubblico per discutere e monitorare questioni spinose come la parità di genere, il contrasto alla violenza, il senso profondo dell’educazione ai sentimenti e al rispetto per l’altro, la crisi dei vecchi valori, il ripensamento dei rapporti interpersonali.
«Sono molto contenta di partecipare a questo progetto qui a Lacco Ameno» ha aggiunto la Presidente FIDAPA Nazionale Caterina Mazzella unitamente alla Presidente della sezione locale Maria Francesca Ferrandino, «perché è il comune isolano che ha avuto la prima donna sindaco, Tuta Irace, tra l’altro nostra associata, e per aver adottato la Carta. Decisione a cui spero si uniranno le altre amministrazioni». La versione originale della Carta dei Diritti della Bambina è stata presentata ed approvata durante il Congresso della BPW Europa , tenutosi a Reykjavik nel 1997, a seguito di un seminario tenuto da Janice Brancroft sul tema “Il futuro della bambina in Europa”.
E’ un documento unico nel panorama della cultura di genere, redatto dalla BPW Europa a seguito della drammatica condizione femminile denunciata a Pechino nella Conferenza mondiale sulle donne del 1995. Ispirata alla Convenzione ONU sui Diritti del fanciullo del 1989, a differenza e ad integrazione di questa, che pone sullo stesso piano i due generi, la Carta dei diritti della Bambina li distingue in termini di caratteristiche e bisogni, avuto riguardo alle diverse connotazioni fisiche ed emozionali. La Carta deve essere letta come una premessa fondamentale per l’affermazione e la tutela dei diritti delle donne fin dalla nascita. La bambina deve essere aiutata, protetta fin dalla nascita e formata in modo che possa crescere nella piena consapevolezza dei suoi diritti e dei suoi doveri contro ogni forma di discriminazione. Nella dimensione privata e nel lavoro.
«Vogliamo essere lavoratrici e madri», ha puntualizzato la Mazzella. «Possiamo fare tutto. Non dobbiamo più essere costrette a scegliere. Per questo chiediamo, nel concreto, politiche adatte per accedere a tutte le professioni. Nessun lavoro è impossibile per una donna. Vi ricordo che qui a Lacco Ameno, giusto 100 anni fa, è arrivata una donna, Marie Curie, a studiare gli effetti della radioattività. Una scienziata che è diventata un esempio per tante donne che si sono affermate in campi tradizionalmente riservati agli uomini».
Durante la presentazione sono poi intervenuti, tra gli altri, rappresentanti delle Forze dell’Ordine (per testimoniare vicinanza e disponibilità del Commissariato PS Ischia), la Consigliera comunale di Casamicciola Nunzia Piro (che ha ricordato i suoi primi passi nell’Avvocatura, ambiente all’epoca assai maschilista, e la necessità – per le donne – di conquistare l’autonomia), l’Assessore alle Politiche sociali Irene Iacono (con progetti di sostegno alle donne e alle famiglie in difficoltà o che vivono in una condizione di disagio), Marianna Lamonica dello spazio sociale “La stanza” (con iniziative in aiuto di chi, oltre alla disparità di genere, patisce altre forme di discriminazione).
In conclusione, l’inaugurazione di una panchina rossa, proprio sotto la Torre del Comune, grazie anche all’impegno del vicesindaco Giovanni Zavota, come simbolo del percorso di sensibilizzazione verso il femminicidio e la violenza maschile sulle donne. Testimonianza di tante, anzi troppe, donne ancora vittime di uomini violenti e spia di una cultura tuttora legata a canoni ancestrali che rischia di diventare sempre più un fenomeno sociale incontrollabile.
106 femminicidi in 10 mesi, uno ogni 72 ore
In Italia, nei primi dieci mesi di quest’anno, le vittime di femminicidio sono state 106, una ogni 72 ore: il 7% in meno dello stesso periodo dell’anno scorso, quando erano state 114 . È quanto emerge dall’aggiornamento statistico sul fenomeno curato da Eures – Ricerche economiche e sociali, in vista della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre. I dati però restano allarmanti. Dal primo gennaio al 31 ottobre 2018 i femminicidi sono saliti al 37,6% del totale degli omicidi commessi nel nostro Paese (erano il 34,8% l’anno prima), con un 79,2% di femminicidi familiari (l’80,7% nei primi dieci mesi del 2017) e un 70,2% di femminicidi di coppia (il 65,2% nel gennaio-ottobre 2017). Colpisce il progressivo aumento dell’età media delle vittime, che raggiunge il suo valore più elevato proprio quest’anno: 52,6 anni per il totale delle donne uccise e 54 anni per le vittime di femminicidio familiare.
Perché il 25 novembre
Come mai proprio il 25 novembre? L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite non ha fatto altro che ufficializzare una data che è stata scelta nel 1981 a Bogotà da un gruppo di donne attiviste. E’ una data simbolo poiché istituita in memoria di un brutale assassinio avvenuto proprio quel giorno, nel 1960. Le vittime furono tre donne, le sorelle Mirabal, considerate delle rivoluzionarie a seguito del loro impegno nel contrastare il regime di Rafael Leonidas Trujillo, il dittatore che afflisse per oltre 30 anni la Repubblica Dominicana. Le tre sorelle, appunto nella giornata del 25 novembre 1960, stavano andando a trovare i propri mariti in prigione, quando furono fermate lungo la strada da alcuni agenti del Servizio di informazione militare e in seguito condotte in un luogo isolato. E’ lì che furono torturate, massacrate ed uccise – tramite strangolamento – dagli stessi militari, per poi essere gettate con la propria macchina in un precipizio al fine di simulare un incidente.