Doping, il Tribunale assolve Michele Scotto d’Abusco
Il giudice monocratico di Lucca ha chiuso un lungo e tortuoso processo a carico dello sportivo isolano con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. La gara incriminata era “Il Diavolo della Versilia” che si svolse a Lido di Camaiore il 20 marzo 2016 e al termine della quale lo Scotto fu sottoposto a controllo con esito positivo
Un incubo che finalmente finisce. Michele Scotto D’Abusco è stato assolto dal Tribunale di Lucca dall’accusa di aver utilizzato sostanze dopanti perché il fatto non costituisce reato. Il ciclista isolano – difeso dall’avvocato Antonio De Girolamo – era accusato di aver assunto idrossistazonolo (stazonolo metabolita) al fine di alterare le proprie prestazioni sportive durante una gara ciclistica denominata “Il Diavolo in Versilia”. Il rinvio a giudizio nei confronti dell’atleta si era consumato nell’agosto 2017, anno nel quale si svolse anche la prima udienza dibattimentale di questo lungo e complesso procedimento giudiziario. Un processo che nel tempo ha infatti visto cambiare giudice monocratico ed anche subire una serie interminabile di rinvii fino a quando l’imputato ha reso esame ed è stato sentito il solo residuo teste della difesa, Pierangelo Pesce. La gara di granfondo di cui sopra, svoltasi a Lido di Camaiore il 20 marzo 2016, era stata vinta proprio dallo Scotto d’Abusco che successivamente era stato sottoposto a controllo antidoping con il campione di urina che aveva poi dato esito positivo alle analisi.
L’imputato si è sempre difeso dall’accusa di doping ricordando “di avere assunto con regolarità, prima di prendere parte alla competizione Granfondo Il Diavolo in Versilia degli integratori alimentari in libera vendita. Nello specifico, ha riferito il prevenuto di avere ritirato tali integratori per porli in vendita nel proprio negozio e di avere poi deciso di assumerli personalmente. In particolare lo Scotto d’Abusco ha asserito che si trattava di un prodotto denominato Ecdysterone distribuito dalla ditta Nutrend per stimolare – in modo naturale (o almeno così reputava l’imputato, sulla base delle informazioni fornite dall’azienda distributrice) – la produzione di testosterone. Peraltro, poiché il costo del prodotto non era affatto modico, il prevenuto aveva diviso la confezione con un abituale cliente: ha quindi precisato di averne assunto 3 o 4 capsule al giorno per almeno dieci giorno”. Appresa la positività, si ricorda nel dispositivo della sentenza, Michele Scotto d’Abusco forniva l’integratore di cui sopra alla Federazione Antidoping e a un laboratorio per le opportune analisi, venendo così a conoscenza del fatto “che il predetto agiva chimicamente sull’organismo e non in modo naturale”. Poi si legge ancora che lo stesso “ha altresì dichiarato di aver assunto prima della gara sia barrette energetiche di varie marche che Sali minerali. Ha infine riconosciuto che già in passato, in occasione di un’altra competizione, gli era capitato di essere risultato positivo all’esito dei controlli antidoping con valori alti di ematocrito, determinati – a suo dire – dalla circostanza che gli era stata asportata la milza”.
L’imputato, difeso dall’avvocato Antonio De Girolamo, spiegò di avere ritirato una marca di integratori per porli in vendita nel proprio negozio prima di decidere di assumerli personalmente. In particolare riferì che si trattava di un prodotto utile a stimolare in modo naturale (sulla base delle informazioni fornite dall’azienda distributrice) la produzione di testosterone
Le dichiarazioni fornite da Scotto d’Abusco sono state confermate anche dal teste Pierangelo Pesce che ha ricordato di avere diviso una confezione di Ecdysterone con l’imputato e di averne fatto uso anch’egli per un certo periodo. “Infatti – si legge nella sentenza – il teste ha dichiarato di avere adoperato il citato prodotto quale sostitutivo naturale di una terapia medica che gli era stata prescritta dall’andrologo proprio per evitare l’assunzione di farmaci”. Una serie di fatti e circostanze che di fatto non mettono in condizione il Tribunale “di ritenere provato l’elemento soggettivo del delitto contestato al prevenuto, donde ne consegue la sua assoluzione con la formula indicata in dispositivo”. Lo stesso giudice scrive facendo una distinzione che “l’illecito sportivo sussiste infatti anche in ipotesi di omesso diligente controllo da parte dell’atleta, tanto che il pervenuto è stato sanzionato in tal senso avendo omesso di considerare e valutare la possibile interazione del prodotto da egli assunto sulle prestazioni agonistiche. Altra cosa è invece l’illecito penale per il quale, come si è visto, è richiesto un particolare atteggiamento volitivo. E’ quindi esclusa in radice la possibilità che la mera prevedibilità – a titolo di dolo eventuale – di tali eventi (l’alterazione della prestazione o dell’esito dei controlli) possa essere sufficiente per ritenere integrato l’elemento soggettivo de qui”. Poi il giudice ribadisce ancora che una serie di considerazioni “portano quindi a ingenerare un serio dubbio che la riscontrata presenza di sostanze dopanti nelle urine dello Scotto d’Abusco, più che la diretta conseguenza di un’assunzione volontaria di sostanze al fine di alterare la prestazione agonistica sia invece il frutto di un’assunzione inconsapevole e comunque non finalizzata all’alterazione delle prestazioni agonistiche”. Da qui l’assoluzione che per il nostro concittadino rappresenta anche una significativa riabilitazione, sia pure tardiva.