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Eliporto, dietro lo “spettacolo” un meccanismo complesso

Di Francesco Ferrandino

CASAMICCIOLA TERME. Siamo abituati, noi isolani, allo “spettacolo” costituito dall’atterraggio e dal decollo degli elicotteri sul lungomare tra Lacco e Casamicciola. Ma pochissimi sanno cosa c’è dietro a quello che in realtà è un servizio tanto fondamentale (pensiamo ai trasporti sanitari d’urgenza dei feriti verso gli ospedali della terraferma) quanto complesso. Per tentare di saperne di più ci siamo recati sul posto, presso l’importante infrastruttura gestita dal Maresciallo Rino Elia. L’Eliporto “Giovanni Paolo II”, intitolato all’amato Pontefice che il 5 maggio 2002 giunse sull’isola in visita pastorale, è una struttura costruita intorno alla metà degli anni ‘50 su quello che era un enorme contenitore di materiale di risulta, in gran parte derivante dai lavori di costruzione del vicino Ospedale voluto da Angelo Rizzoli. L’imprenditore milanese stava potentemente contribuendo all’espansione turistica dell’isola d’Ischia nel panorama internazionale: un accordo con l’amministrazione di Casamicciola portò alla realizzazione di una soglia di calcestruzzo che ricoprì l’insieme di terra e materiali scartati dando vita alla superficie d’atterraggio. «Molti Vip – ci racconta il Maresciallo  –  giungevano a Ischia proprio in elicottero, compresi gli attori dei tanti film girati a Ischia e prodotti dalla Cineriz, la casa di produzione cinematografica dello stesso Rizzoli». La società “Elivie”, facente parte del gruppo Alitalia, assicurò a partire dal 1959 un servizio di trasporto elicotteristico tra Capodichino, il molo Beverello e Ischia, oltre a una seconda linea che collegava anche Sorrento e Capri. Nel 1970 il servizio predisposto dall’Elivie venne interrotto, perché ritenuto antieconomico. «Nei primi anni ’70 – ricorda il gestore della struttura – si verificò anche un incidente durante una manovra di atterraggio in cui morì il pilota». I voli di linea quindi cessarono, mentre l’edificio della biglietteria andò in rovina e in tale stato rimase anche per tutti gli anni ‘80. «Per una nuova svolta – riprende Elia –  si dovettero attendere gli anni ’90 quando l’amministrazione di Casamicciola decise di destinare l’uso della superficie alla Croce Rossa, che ripristinò la struttura precedentemente adibita alla bigliettazione, svolgendo assistenza per i voli di emergenza sanitaria, che però all’epoca, non esistendo il 118, venivano effettuati grazie agli elicotteri delle Forze Armate, provenienti dalle varie basi della Campania ma anche del Lazio». Tuttavia ancora non esistevano disposizioni molto precise che regolamentassero i voli da e per l’eliporto. Una svolta, purtroppo drammatica, fu costituita da un incidente che accadde nel 1995 a Procida, quando un ispettore elicotterista di polizia e un’infermiera rimasero uccisi dalle pale di un elicottero. Una tragedia a cui fece seguito qualche anno dopo quella di una bambina ricoverata al Rizzoli, che si trovò nella necessità di dover essere trasferita d’urgenza a Napoli. Purtroppo, per una serie di ritardi e contrattempi la bambina arrivò in condizioni disperate al Santobono, ove morì. Tali episodi sottolineavano l’ormai indifferibile esigenza di dotare l’isola di una vera eli-superficie completa di personale e pronta a operare in modo permanente. La Regione stabilì di dotare l’area di un  impianto d’illuminazione, sebbene non ancora rispondente alle norme dell’Enac (Ente nazionale aviazione civile): venne predisposta una serie di fari con lampade alogene,che però non erano perfettamente in grado di resistere alle turbolenze generate dagli elicotteri. Anche l’Aeronautica cominciò a pretendere che venisse creata una struttura permanente in grado di rispondere a ogni emergenza in qualsiasi momento. Il Maresciallo Rino Elia e l’architetto Maurizio Pirolli cominciarono a effettuare alcune verifiche tecniche per trasformare quella che era una piazzola in una vera elisuperficie. «Fu molto d’aiuto – precisa il Maresciallo Elia– anche il Generale Pugliese, grande esperto nella gestione di eliporti e del traffico aereo, che contribuì al completamento delle operazioni. L’infrastruttura venne inaugurata durante l’amministrazione di Giosi Ferrandino, e nell’occasione per la prima volta sull’isola venne organizzata un’esibizione della pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori: una grande giornata che segnò l’ingresso dell’eliporto isolano tra le elisuperfici riconosciute a livello nazionale e internazionale, riconoscimento che venne definitivamente conferito in forma ufficiale nel 2003, con l’adozione di tutte le misure prescritte dalla legge: recinzioni, apparecchi radio, impianti d’illuminazione per decollo e atterraggio, sistemi antincendio, pannelli per evitare che le turbolenze colpiscano il traffico delle automobili sul lungomare, e ovviamente il completo ripristino del piccolo edificio che è da allora la sede del personale e delle apparecchiature di controllo. Nel 2002 la struttura venne “benedetta” dalla visita del nostro Papa Giovanni Paolo II, e da allora l’elisuperficie porta il nome del Santo Padre». Maresciallo, da quale anno Lei è responsabile della gestione dell’Eliporto? «Il responsabile operativo, individuato dal Comune di Casamicciola con l’approvazione della Prefettura e il nullaosta della Questura, fu dapprima Enzo Ferrara, poi dal 2005 l’incarico fu conferito a me. Quando fui nominato gestore, cercammo di predisporre tutto affinché la struttura fosse abilitata non soltanto per i voli di emergenza sanitaria, ma anche per quelli turistici. E infatti siamo riusciti ad avere la doppia abilitazione». E il personale della struttura?  «Il personale viene gestito dalla società “Marina di Casamicciola”, dalla quale viene assunto con contratto. La disciplina normativa di lavoro per il personale è stabilita dall’Enac, oltre che dal Ministero dell’Intero (Dipartimento Infrastrutture aeroportuali), che  conferisce le abilitazioni per poter operare: gli addetti devono frequentare corsi specializzati, da ripetere ogni cinque anni, al termine dei quali vengono esaminati per saggiarne la preparazione. Devono inoltre  mantenersi costantemente in forma con specifici allenamenti. Sono dotati di speciali tute di alluminio, ignifughe all’interno, complete di caschi e bombole, per essere pronti in qualsiasi momento a salvare vite umane, nella malaugurata ipotesi di un incidente. Anche se essi possono rimanere inattivi per alcuni giorni, hanno comunque la grandissima responsabilità di attivarsi al minimo allarme: stiamo parlando di una elisuperficie della categoria H2, significa che accoglie non solo i voli annunciati, ma anche le emergenze di atterraggio senza preavviso». Di quante unità è composto l’organico? «Il personale in servizio, ogni giorno, deve essere composto da almeno due persone. Esistono delle turnazioni, con turni mediamente di sei ore, che in tal modo assicurano il funzionamento della struttura ventiquattr’ore su ventiquattro. Nei turni notturni gli addetti dormono nel piccolo edificio, in attesa dell’eventuale chiamata». Qual è la frequenza degli atterraggi nella struttura? «Il maggior volume di traffico si raggiunge naturalmente nel periodo estivo. In media avvengono circa trecento atterraggi all’anno. Quasi una al giorno. Poi, in alcune giornate può capitare che il personale sia chiamato a operare anche tre volte nel giro di poche ore. Ogni operazione di atterraggio e decollo deve essere documentato in un apposito registro ufficiale, da me tenuto e sottoscritto, che deve essere conservato per sempre». Quanto tempo impiega mediamente un elicottero per arrivare a Napoli?  «In casi di emergenza sanitaria, e con condizioni meteo abbastanza tranquille, un elicottero per coprire la distanza da qui all’Ospedale Cardarelli impiega 18-20 minuti, un tempo davvero molto contenuto. Spesso però le condizioni meteo sono inclementi, con vento e pioggia a ostacolare l’atterraggio: in tal caso il pilota è sottoposto a notevoli rischi nel valutare la corretta manovra da effettuare. Anche il mare talvolta può causare problemi: è accaduto che il paziente è stato giocoforza imbarcato dal portello lato-strada perché dal lato che dà sul mare i violenti spruzzi d’acqua arrivavano a lambire l’apparecchio colpendo il paziente stesso. Si pensi che il personale a terra, in tali casi deve rimanere esposto alle intemperie soltanto con la tuta, ma senza giacche impermeabili, copricapi né tantomeno ombrelli: tutti oggetti che potrebbero essere risucchiati dalle turbolenze provocate dalle eliche, con i pericoli facilmente immaginabili». Quali sono i sistemi attivi di sicurezza? «Esiste un sofisticato sistema antincendio. Sulla superficie di atterraggio sono visibili i “monitori”, che dirigono il getto del liquido estinguente, ma che costituiscono solo la parte finale di un complesso meccanismo. Esistono due serbatoi, uno contenente acqua, l’altro un liquido che “soffoca” le fiamme. Tramite un macchinario i due fluidi vengono miscelati, e poi inviati a pressione verso i monitori che “sparano” il liquido, il quale a contatto con l’aria assume la consistenza di una densa e duratura schiuma che estingue le fiamme. Tale miscela è necessaria, perché il carburante usato dagli elicotteri è molto volatile, quindi non facile da domare con normali schiumogeni». Maresciallo, ci potrebbe illustrare qual è la “catena” che si attiva in caso di emergenza? «Formuliamo l’ipotesi di un intervento: un paziente sull’isola si sente male, arriva la telefonata al centro operativo che a sua volta chiede l’intervento dell’ambulanza al 118. In contemporanea si attiva l’Ospedale Rizzoli:  in caso di codice rosso il caso viene segnalato al CORE (Centrale Operativa Regionale d’Emergenza), che viene quindi già allertato e avverte noi qui all’eliporto. Già a partire dal prelevamento in ambulanza, viene elaborata progressivamente la condizione del paziente. All’Ospedale, ancor prima dell’arrivo del mezzo, viene valutata l’emergenza, per capire se esiste la necessità di un pronto trasferimento in terraferma. In caso affermativo, la Prefettura fornisce l’autorizzazione per l’operazione, e contemporaneamente il CORE individua l’elicottero e il pilota, secondo una perfetta catena a largo raggio a partire dall’elicottero della base più vicina, per poi indirizzarlo qui, dove noi siamo già pronti per le operazioni di atterraggio, con un preavviso minimo di venti minuti, soglia al di sotto della quale sorgono alcune difficoltà. Bisogna assicurarsi che la “manica a vento”, cioè quel cono di tessuto che indica la direzione del vento, sia illuminata. Si devono immediatamente attivare i fari di avvicinamento, chiamati “p.a.p.i.”, in tre colorazioni, bianco, rosso e verde. Poi il faro di individuazione, che tramite  fasci di luce aiuta il pilota a individuare esattamente la superficie d’atterraggio. Se uno solo di questi elementi non funziona, dobbiamo immediatamente comunicarlo al pilota, che è sempre colui che deve prendere l’ultima decisione».  Il titolare della struttura “fisica” è il Comune di Casamicciola, ma chi è che sostiene in ultima istanza  i costi per mantenere in funzione il servizio? «I costi, molto elevati, sono sostenuti dall’Asl. In caso di ritardo nei pagamenti, è il Sindaco di Casamicciola a farsi garante. La maggior parte degli oneri ricadono dunque sul Comune di Casamicciola, per un servizio che però, ricordiamolo, riguarda l’intera isola. Se per ipotesi la Regione riducesse il budget dell’Asl, la struttura potrebbe anche essere costretta a chiudere, perché non sarebbero garantiti gli standard richiesti dalle normative. Questi sono ovviamente problemi politici, che esulano dalle questioni tecniche di gestione dell’elisuperficie, ma comunque vorrei che le persone dell’isola comprendessero le tante problematiche che si celano dietro a un servizio che viene spesso considerato solo dal punto di vista folkloristico e “coreografico”, o che comunque viene dato per scontato. Eppure, nonostante le complessità e i rischi che si affrontano, a volte siamo stati bersagliati da aspre accuse, magari per pochi minuti di ritardo nell’arrivo dell’elicottero». Insomma, dietro la spettacolare e fugace apparizione di un elicottero, che spesso salva delle vite, c’è un meccanismo articolato, che deve funzionare senza intoppi, a costo di fatiche e pericoli spesso ignoti al grande pubblico.

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