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Elisabeth: la vicinanza della gente lenisce le mie sofferenze

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA. È il momento dell’attesa per Elisabeth Ayala, la vedova che vive in una minuscola casa di nemmeno trenta metri quadri sull’isola di Procida, da tredici anni sotto la costante minaccia della demolizione. «La legge va applicata, ma sempre con umanità – dice Elisabeth, con voce dolce ed emozionata – altrimenti diventa una crudeltà. Per ora non mi resta che aspettare. Ma ci tengo moltissimo a ringraziare tutti coloro che hanno tenuto desta l’attenzione sul mio caso, e che mi hanno espresso la loro solidarietà. Io spero tanto che, anche al di là della mia situazione, vi sia un cambiamento  a livello legislativo. Non si può andare avanti così». L’avvocato Molinaro cerca di veder riconosciuta l’acquisizione della sua casa al patrimonio comunale: «A me va benissimo che la casetta divenga di proprietà del Comune – continua la signora Ayala – L’unica cosa che chiedo che è che non venga distrutta: essa rappresenta tutta la mia vita, è tutto ciò che mi resta. Se l’abbattessero, non saprei proprio cosa fare, dove e come continuare a vivere. Per fortuna, la solidarietà della gente mi sta donando davvero tanta forza, sento che mi vogliono bene e questo mi è davvero di grandissimo aiuto». La vicenda di Elisabeth, molto seguita non solo per le evidenti implicazioni umane, ha ricevuto grande attenzione mediatica anche grazie all’incessante impegno di gente come il consigliere comunale di Forio Domenico Savio, e di attivi cittadini come Michele D’Antonio e Gennaro Savio, sempre attenti alla realtà sociale e pronti a denunciarne le relative problematiche.  Depositato l’incidente d’esecuzione da parte dell’avvocato Bruno Molinaro, ora si attende che la Corte d’Appello fissi la data dell’udienza, mentre il fascicolo verrà contestualmente portato all’attenzione del Procuratore Generale per il relativo parere, non vincolante.  Anche se a rigore l’incidente di esecuzione non implica la necessaria sospensione dell’ordine di demolizione, tuttavia la prassi, per evidenti ragioni di opportunità, prevede che in caso di deposito del ricorso il pubblico ministero attenda fino alla definizione dello stesso: un principio di civiltà, quasi necessario e diretto a evitare paradossi che potrebbero aggravare la situazione, in casi delicati come quello che vede protagonista la vedova procidana. L’avvocato Molinaro nell’udienza dinanzi alla Corte d’Appello illustrerà i motivi,  fondati anche su ben tre autorevoli precedenti giurisprudenziali di cui uno della stessa Corte partenopea, secondo cui l’immobile di fatto è da considerarsi già acquisito al patrimonio comunale e che di conseguenza, come prevede la legge, esso possa essere utilizzato, riconoscendone la precedenza, da chi lo occupava al tempo dell’acquisizione: è il cosiddetto “housing sociale” previsto dalla legge regionale n. 5/2013 (art. 1, comma 65). La sua applicabilità è stata finora colpevolmente ignorata dagli amministratori locali, a lungo gravemente inadempienti perché, nonostante il tempo trascorso dall’entrata in vigore della normativa regionale, hanno pesantemente tardato ad approvare il regolamento relativo alla fissazione dei criteri (di “housing sociale” appunto) in base ai quali le case abusive acquisite al patrimonio comunale dovranno essere assegnate a coloro i quali le occupavano “al tempo dell’acquisizione” (anche se condannati).  Secondo la Cassazione, in caso di inottemperanza nel termine di 90 giorni a far data dalla notifica della ingiunzione a demolire adottata dal tecnico comunale, la costruzione abusiva, in una alla relativa area di sedime, è da ritenere acquisita gratuitamente al patrimonio comunale.  Prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 5/2013, si riteneva che in zona vincolata all’acquisizione dovesse pur sempre far seguito la demolizione. Oggi non è più così perché, essendo stato codificato il principio dell’housing sociale, laddove il Comune decida, previa approvazione del citato regolamento, la dismissione o la locazione del bene (ed è il caso del Comune di Procida) questo può essere assegnato anche a colui che, al tempo della acquisizione, lo occupava con il proprio nucleo familiare. La demolizione giudiziale in tal caso va sospesa e successivamente revocata, come anche riconosciuto dalla recentissima sentenza del TAR (causa Elena Leopardi contro il Comune di Cardito) dove l’avv. Molinaro ha visto accolte le proprie istanze difensive, ma anche da due ordinanze emesse rispettivamente dalla Corte di Appello Penale di Napoli e del Tribunale Penale di Salerno. In questi ultimi due casi, i comuni di Giugliano e di Cava dei Tirreni avevano approvato il regolamento ed hanno ottenuto di conseguenza anche il “nulla osta” dell’autorità giudiziaria. Tra i motivi articolati nel ricorso, anche quello fondato sulla recente sentenza “Franzo Grande Stevens Contro Italia” emessa dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, che ha riconosciuto il sostanziale carattere penale della sanzione costituita dall’ordine di demolizione (formalmente amministrativa per l’ordinamento italiano), che quindi sarebbe soggetta a prescrizione.

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