CRONACAPRIMO PIANO

Bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale, arrestato Nicola D’Abundo

Stessa sorte anche per Alessandro Gelormini, tuttora presidente del CO.TRA.SIR e consulente di fiducia di grossi imprenditori isolani. Sequestrati beni per circa 40 milioni di euro tra cui il Maschio del Castello Aragonese (off limits da tempo): la struttura, in ogni caso, resta aperta al pubblico

Un vero e proprio terremoto giudiziario, con ripercussioni che inevitabilmente finiscono col fare rumore. Ma anche una vicenda che all’improvviso irrompe sui media e ovviamente anche sui social. Con la gente che legge e sembra non credere ai propri occhi. E c’è pure chi pensa a una fake news, ed in effetti in pochi minuti gli scettici capiranno che non si erano sbagliati. Almeno in parte: potenza di una comunicazione che, provenendo da fonti ufficiali e di conseguenze ritenute attendibili, non ha considerato che in alcune circostanze (come questa, ad esempio), il dettaglio fa o può fare la differenza. E così correre ai ripari, bisogna riconoscerlo, è servito ma fino a un certo punto.

TRE IMPRENDITORI AGLI ARRESTI, C’E’ ANCHE D’ABUNDO

Succede tutto nella prima mattinata di ieri quando nell’ambito di un’operazione della Guardia di Finanza di Napoli – e successiva ad una lunga attività investigativa della Procura della Repubblica di Napoli Nord – finiscono agli arresti domiciliari con la pesante accusa di bancarotta ed evasione fiscale. Si tratta di tre imprenditori: Nicola D’Abundo (armatore), Alfonso Petrillo (titolare di un’azienda di impianti elettrici, già arrestato nel 2017, ne parliamo in altra parte del giornale) e Francesco Truba. Il primo, ovviamente, è un personaggio conosciutissimo sulla nostra isola ed ecco perché quando la notizia si diffonde suscita un certo scalpore e clamore. C’è anche un aneddoto legato all’esecuzione dei provvedimenti cautelari: Truba, che risiede in via Petrarca ed era stato derubato in casa non molto tempo fa, non voleva aprire ai finanzieri per timore che si trattasse di un tranello di qualche malintenzionato per introdursi nella sua abitazione. Purtroppo per lui, avrebbe capito di lì a breve che non c’erano né trucco né inganno.Le manette sono scattate anche ai polsi di due finanzieri indagati di corruzione. Non è tutto, perché le Fiamme Gialle sequestrano complessivamente 40 milioni di beni tra cui una piccola porzione del Castello Aragonese di Ischia. Si tratta del “Maschio”, area peraltro interdetta al pubblico già da diversi anni. Erroneamente si diffonde la notizia dell’apposizione dei sigilli all’intera struttura simbolo di Ischia nel mondo e visitata ogni anno da decine di migliaia di turisti. La famiglia Mattera dovrà così correre ai ripari con una nota ufficiale nella quale preciserà che il Castello resta normalmente aperto al pubblico.

IL RUOLO DEL CONSULENTE GELORMINI CON LE SOCIETA’ INSOLVENTI

Insieme ai tre imprenditori finisce agli arresti anche Alessandro Gelormini, commercialista e consulente ancora sulla breccia nonostante l’età non più verde. Già uomo di fiducia dell’allora ministro Cirino Pomicino, sarebbe la mente del piano messo in atto e che ha poi portato Procura e Finanza a imbastire un’indagine che tra l’altro ha consentito di porre i sigilli anche ad una villa in quel di Capri ed a vari stabili ubicati tra Napoli e Roma. Il ruolo chiave di Gelormini, per la cronaca, sarebbe consistito nello svuotare il patrimonio di società insolventi prima della dichiarazione di fallimento, commettendo così nel contempo anche reati di natura tributaria. I finanzieri arrestati – entrambi in servizio a Napoli – entrano nella vicenda perché il professionista avrebbe elargito loro la somma di 4.000 euro per modificare un verbale ed evitare così di far incorrere un suo cliente in un illecito penale. Gelormini, però, a sua volta avrebbe comunque frodato quest’ultimo “trattenendo per sé una parte dell’illecito compenso”, come spiega una nota della Procura della Repubblica.

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Complessivamente sono sette le società individuate dalla Guardia di Finanza detentrici del patrimonio illegale. E ovviamente gli immobili sottoposti a sequestro erano riconducibili alle stesse. L’inchiesta che è culminata con gli arresti di ieri è di fatto una costola di quella (approdata poi per competenza alla Procura della Repubblica di Roma) che riguardò il giudice della sezione fallimentare del tribunale di Napoli Nord e di quella di Santa Maria Capua Vetere, Enrico Caria, che finì ai domiciliari con l’accusa di aver elargito nomine di consulenze in cambio di favori. I pm indagarono su un giro di fallimenti societari e quando spuntò il nome di Caria le carte finirono nella capitale mentre ad Aversa la Procura di Napoli Nord continuò a indagare sul filone locale, scoprendo così la centralità del ruolo ricoperto da Alessandro Gelormini.

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COSA C’ENTRA IL CASTELLO ARAGONESE CON L’INDAGINE

Non tutti, appare ovvio, hanno la sufficiente memoria storica per capire cosa c’entri il Castello Aragonese con l’indagine culminata negli arresti di ieri. Bisogna tornare indietro davvero nei decenni, a quando uno degli eredi Mattera vendette a una società di professionisti il Maschio, che fu oggetto di un intervento della Sovrintendenza che approvò la costruzione di un determinato numero di appartamenti. La società Castello spa, però, rimase poi coinvolta in un vortice legato proprio all’impossibilità di poter operare con determinati margini visto che ci si trovava in presenza di una zona eccessivamente (e comprensibilmente) vincolata. Poi l’acquisizione da parte di una società vicina o riconducibile a Nicola D’Abundo e un tentativo di ristrutturazione del cespite che però non sarebbe mai riuscito, forse a causa delle predette prescrizioni che rendevano anche l’investimento eccessivamente oneroso.

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