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Eppur si muore

La settimana scorsa si chiudeva, ahinoi, con due terribili lutti. Due donne, accomunate da un terribile destino, sono morte giovanissime. Una, poco più che bimba (16), morta nel sonno nell’epilogo di una sofferenza crudele e l’altra (28) nell’ospedale di Lacco Ameno in cui era corsa, poi ricorsa, invocando cure. Il medico legale ci dirà se la giustizia si dovrà interessare del caso oppure no. I miei ricordi col presidio lacchese, trascinano più di qualche apprensione (diciamo così) e quindi, desiderando soffermare l’attenzione sulla tragedia della signora Diotallevi, spero di non dover faticare troppo per essere obiettivo.

L’ischitano che ha la mia età è stato abituato, dall’ adolescenza, ad ascoltar di quest’isola solo cose belle. Un poeta (De Curtis) la descriveva come “paravis e giuventù”, un altro (Colella) come “il paradiso ove, dopo esserci andati, il resto viene da se e pe tutta a vita te faccio godè”. Oggi, ahinoi, questa scena è terribilmente cambiata. Morti per incidenti stradali a non finire, per incidenti a mare pure, per frane seppellenti, addirittura per un alluvione e, purtroppo, anche di ospedale. L’assuefazione all’evento è giunta anche da noi. Mutuando i comportamenti televisivi con manifestazioni e frasi ad effetto, tutto ritorna come prima senza che nessuno ricordi il trascorso del giorno precedente. Dice il proverbio: “mal a chi mor. Pe chi resta primm’ o poi è fest”. Nell’anno che sta per terminare le morti che non dovevano esserci sono troppe. Da incidenti stradali o altro, abbiamo perso il conto. Dalla cattiva sanità gli eventi stanno assumendo contorni non certamente lusinghieri. Cosa si potrebbe fare? Ci vorrebbe la bacchetta magica che purtroppo non c’è. Non penso, sicuramente, che si possa continuare a restare inermi ad ascoltare il refrain “stavamo meglio quando si stava peggio”. E’ necessario mettere insieme i tanti momenti tragici vissuti, da tanti di noi, per rimuovere la scorza che si è formata e che ci fa fermare alle frasi ad effetto. “Resterai sempre con noi” “Il nostro cuore sarà  sempre conte”, “si è aggiunta una stella al firmamento”.  Belle chiacchiere. Tanti lettori ricorderanno: il “disonore” della cronaca per gli eventi legati a quella bimba morta a seguito di un ritardo diagnostico (ne parlarono tutti i giornali d’Italia ed i talk show); le vicende poco lusinghiere legate allo scoop della trasmissione “Le Iene” e altre vicende di casi più o meno eclatanti. Ne potrei raccontare diverse. Mi astengo dal dettaglio per non infrangere il vincolo professionale ed il rispetto per i patimenti altrui. Va comunque analizzato il fenomeno relativo ad un presidio sanitario che mal risponde alle esigenze della comunità isolana che, come ipnotizzata, non riesce a suonare la campanella. Per provarci, invito i lettori a mandarmi, via mail, le proprie esperienze per poter organizzare un dossier operativo. Si comprende, già da quanto detto, che lo scrivente non ha particolare feeling con l’ambiente ospedaliero. In un mio pezzo del 31 ottobre scorso dal titolo “ E faccio O show” così descrivevo l’ambiente ospedaliero “Chi si sofferma a guardare i camici bianchi ciondolanti nei corridoi dei nosocomi ha l’impressione che, più che impegnati a soccorrere un malato, stiano andando a scrivere un manoscritto. Ognuno di loro ha nel taschino del camice immacolato, due o tre penne, un doppio decimetro di carta e appeso al collo lo stetoscopio. Il loro deambulare pacato con i piedi che strofinano il pavimento è inversamente proporzionato al desiderio di celerità del malato opportunamente definito paziente..”. Quello che balza all’attenzione frequentando l’ospedale di Lacco Ameno è la ridottissima presenza di personale ischitano sia tra i medici che tra i paramedici. Con la complicità sindacale ed in chiara violazione di legge, il personale continentale ha organizzato i propri turni di lavoro mettendo insieme più turni (8/16-16.8) al fine di ridurre gli spostamenti da e per il continente, che sono sempre stancanti ed onerosi. L’ambiente di lavoro presenta approssimazioni visibili anche ai distratti. E’ agevole considerare che un non indigeno, applicato al nosocomio di Lacco Ameno, ha come primo obiettivo del proprio essere dipendente pubblico, quello di anelare ad un trasferimento “più vicino a casa”. E’altresì agevole ipotizzare certe lucidità fisiche alla fine del primo turno e, soprattutto, nel secondo di seguito al primo. In tale contesto,  considerando che su oltre trecento dipendenti assegnati al presidio di Lacco Ameno gli ischitani sono al più una cinquantina in tutto (dalle corsie alle cucine), è comprensibile come, in un settore così delicato, i concetti della professionalità, dell’approfondimento, della dedizione e della pietas verso il malato, diventano particolarmente approssimati e dilatati. Con la conseguenza che spesso ci scappa il morto. Sono individuabili delle colpe?. Certamente sì. Quelle del caso in se, le accerta di volta in volta il medico legale e le punisce il giudice. Quelle relative alla precaria condizione generale, conseguenza di decenni di non governo della sanità pubblica, occupata dalla politica, nella quale ognuno ha pensato di poterne approfittare, possono essere affrontati solo dalla politica. Noi sull’isola d’Ischia, purtroppo, siamo stati alla finestra “facendoci piovere in testa”. Quando contavamo politicamente, avevamo una USL tutta per noi. La n. 21 e il presidio di Lacco Ameno diventò un piccolo punto di eccellenza sanitaria. Con la scomparsa dei partiti tradizionali e la mancanza di politici attenti, fu consentita l’approvazione di una legge che, nel riordino (??), determinò l’assorbimento della nostra USL nella ASL Napoli 2 e da lì sono cominciati i dolori. Un tempo le isole, come le comunità montane, erano considerate “territori disagiati” nei quali chi ci andava, per scelta lavorativa, riceveva dei benefit con l’obbligo di viverci con la famiglia. In tale contesto, gli isolani e gli abitanti delle comunità montane (ad eccezione del comparto giustizia e polizia giudiziaria), avevano la precedenza, nell’impiego, su chi non lo era. La precedenza era giustificata sia dalla necessità di dover rendere un servizio migliore all’utente e sia dal risparmio economico. Per la disattenzione della politica e del sindacato –attento più al numero delle tessere che alle esigenze del cittadino – le norme di tutela dei luoghi cosiddetti “disagiati” sono andate  farsi friggere e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Da dove partire per ricucire il vestito?  Bisogna innanzitutto trovare “il sarto” o meglio “i sarti” altrimenti si continuano a mettere inutili toppe. Personalmente, come ho già scritto, più volte, li individuo in quella eccellente comunità culturale esistente nella nostra isola che da troppo tempo vive lontano dall’impegno pubblico. E’ necessario costituire una task force di uomini e donne pensanti che, mettendo insieme le proprie competenze professionali e conoscenze culturali, formino un gruppo di persone idonee che in un programma ben definito si adoperino per  la gestione del paese. Impegnandosi nel contempo ad impedire che i soliti facinorosi elettorali approfittino della cosa pubblica. Il problema, come sempre, è chi deve fare il primo passo. Chi ha seguito le sorti della politica italiana converrà che dalle “sagrestie” sono partiti gli uomini che hanno fatto grande l’Italia. Don Sturzo prima e Paolo VI poi hanno contribuito a formare il pensiero e a individuare gli uomini di governo. Perché non sperare che l’attuale vescovo di Ischia che appare come “uomo del fare”, ben attrezzato culturalmente e provvisto di una sensibilità umana e sociale non comune, possa avvertire la necessità di organizzare un cenacolo di pensatori isolani, dai quali far uscire le idee e gli uomini, per ridare a questa nostra isola una rotta da seguire. In uno ad esso e per le incombenze logistiche necessarie, aggiungerei il direttore di questo foglio. Diversamente continueremo a morire sotto frane non segnalate, per strada mentre si cammina o nei luoghi ove andiamo a curarci.  acuntovi@libero.it

 

 

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