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«Essere tra i migliori 50 alberghi al mondo? Che gioia»

Maurizio Orlacchio commenta a Il Golfo lo straordinario risultato ottenuto dal Borgo Santandrea Amalfi, albergo che gestisce insieme ai De Siano, che si piazza addirittura 20esimo nella The World’s 50 Best Hotels. L’investitura a Londra nel corso della cerimonia, soltanto quattro le strutture italiane presenti nell’elenco e quella amalfitana è anche l’unica del sud Italia

Arriva un riconoscimento prestigiosissimo, essere tra i 50 alberghi al mondo col Borgo Santandrea ad Amalfi è un risultato straordinario. Che noi sentiamo un po’ nostro vista la sua ischitanità.

«E’ una grandissima soddisfazione, siamo tra le migliori 50 strutture del pianeta e di italiane ce ne sono solo quattro. Ancora, la nostra è l’unica del meridione e poi parliamo di un risultato maturato ad appena due anni dall’apertura. Alle nostre spalle abbiamo messo grandi compagnie di respiro internazionale. È una gioia immensa. Ieri (martedì per chi legge, ndr) durante la cerimonia quando guardavo i nomi in graduatoria mi è davvero venuta la pelle d’oca ed ho ricordato come ha avuto inizio l’esperienza in costiera. Davvero fatico a descrivere l’emozione».

Quali parametri hanno determinato la scelta degli alberghi migliori al mondo?

«C’è un modello con degli standard da seguire, questa è la seconda edizione per gli alberghi, prima la graduatoria veniva stilata esclusivamente per i ristoranti. Ci sono 600 addetti ai lavori divisi tra giornalisti, esperti di management alberghiero, proprietari di alberghi e anche alcuni clienti ovviamente “super selezionati”. Il risultato è il mix delle segnalazioni pervenute tra l’esperienza vissuta dagli ospiti e le visite alle strutture. Nessun algoritmo, dunque. Noi siamo stati selezionati a giugno quando abbiamo ricevuto la nomination. Poi arrivati a Londra hanno iniziato a leggere la classifica partendo dalla 50esima posizione ed abbiamo raccolto questo magnifico risultato»

«E’ una grandissima soddisfazione anche perché il risultato arriva ad appena due anni dall’apertura. Durante la cerimonia, guardando i nomi che ci siamo messi alle spalle mi è venuta la pelle d’oca: davvero è difficile descrivere»

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Rinnoviamo i complimenti e approfittiamo di questa chiacchierata per chiederle anche un bilancio della stagione estiva sull’isola. Il quadro sembra chiaro: meno presenze, ringiovanimento, più qualità, più stranieri. Condivide questa sintesi certo non approfondita?

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«Voglio partire da un presupposto. Sono un ischitano trapiantato in costiera, dove abbiamo portato un modello di ospitalità che parte dall’isola e il risultato ottenuto ha una particolare valenza, è un segnale importante perché ricalca e certifica quello che sta succedendo a Ischia negli ultimi 3-4 anni. Siamo davanti a un momento storico, bisogna avere l’intelligenza in questa fase di capire che il mercato inizia a chiedere con insistenza un’alternative a destinazione come la Costiera e Capri. Cerca qualcosa di autentico, ed Ischia ha l’identikit perfetto per poter riempire uno spazio che al momento è vuoto. E attenzione, c’è l’occasione di riposizionare l’isola in un mercato che non deve essere per forza di cose quello del cliente “alto spendente” che alloggia nei cinque stelle, perché l’effetto può spostarsi a cascata su tutte le strutture ricettive. Però…».

Però?

«Serve un cambio di passo in quella che deve essere l’offerta. Ma l’inversione di tendenza cui facevi riferimento è sicuramente un bene. Io posso portare l’esempio del San Montano, hotel che fa parte del gruppo e che conta un 50 per cento di presenze americane, una roba impensabile. Ma sono tante le strutture che hanno visto un’impennata di numeri di clientela straniera che ha portato ad un aumento dei ricavi medi».

Si può essere ottimisti in chiave futura per la nostra isola? Che cosa serve per svoltare davvero?

«Credo che per l’isola sia arrivata l’ora di organizzare una comunicazione univoca, proporsi all’esterno con una sola voce. Sono a conoscenza del fatto che gli amici di “Ischia is more” ci stanno lavorando. Poi non vanno abbandonati i vecchi mercati così come serve l’intelligenza di non fossilizzarsi sul “mono mercato” come abbiamo fatto per decenni con i tedeschi. Che poi quando sono scomparsi, trovandoci disorientati, non abbiamo trovato di meglio da fare che svendere. La parola d’ordine deve essere internazionalizzare Ischia, adesso la conoscono tutti e vi assicuro che 15 anni fa le cose non stavano così».

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