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Un tuffo nel passato, così il Cisi sperperava centinaia di milioni

DI GAETANO FERRANDINO

ISCHIA – Quello che vi mostriamo è un documento che certamente non ci sogniamo di definire inedito, dal momento che sta girando tra addetti ai lavori e non da qualche tempo. Ma senza alcun dubbio parliamo di un atto che testimonia in maniera eloquente il clientelismo che è stato perpetrato a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio al Cisi a proposito della mala gestio che è stata perpetrata in una maniera che definire vergognosa e oscena è poco, e ci prendiamo tutte le responsabilità di quanto affermiamo. Non è tutto, nel momento in cui poi si è cercato di mettere un freno ad una situazione devastante ed indecorosa, sono partiti anche attacchi strumentali, insomma quasi pareva che si volesse rigirare la frittata.

E’ il 24 gennaio 2000, sono passati cioè oltre sedici anni. La Cassa Depositi e Prestiti, quella che come è noto ha erogato l’anticipazione per il cosiddetto fondo rotativo (che avrebbe dovuto essere adoperato per progetti e che invece è stato letteralmente sperperato, e ci piace sottolineare “sperperato”) scrive al CISI e per conoscenza ad uno studio legale ischitano. Il testo della missiva è tanto telegrafico quanto eloquente: “Con riferimento all’istanza notificata all’istituto in data 10 gennaio 2000 all’avvocato Vittorio Di Meglio, al fine di consentire alla scrivente un’opportuna conoscenza dei fatti illustrati, si invita codesto Consorzio a trasmettere copia delle deliberazioni del consiglio di amministrazione n. 5 del 29 gennaio 1999 e n. 159 del 23 dicembre 1999, nonché l’ulteriore documentazione in merito a quanto esposto dai tecnici interni del Consorzio”. Ma attenzione al passaggio finale che è tutto un programma: “Si comunica inoltre che per disporre l’erogazione di lire 385.560.000 per il compenso professionale spettante all’ing. Eduardo Capobianco, è necessario trasmettere la relativa parcella analitica firmata dal professionista, nonché la suddetta documentazione”.

Insomma, da questo documento viene fuori che l’ing. Capobianco ha incassato, o quantomeno ha presentato il conto di quasi quattrocento milioni per un progetto che rientrava nell’ambito di questi fondi rotativi. Cioè in quel momento il consorzio affogava nei debiti e venivano conferiti incarichi del genere, a meno che addirittura qualcuno non se li conferisse da solo. Sono passati tre lustri, capirete che forse è tardi per porsi un interrogativo, e cioè con quale criterio venissero eventualmente scelti i progettisti. Ma attenzione, c’è un aspetto ancor più inquietante: sembrerebbe, e qui il condizionale è d’obbligo, che di questo benedetto progetto negli uffici di via Leonardo Mazzella non ci sia alcuna traccia. C’è il legittimo sospetto che sia stato pagato, ma per la verità è impossibile anche soltanto capire di cosa si trattasse. Come diceva il buon Giulio Andreotti a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina, ed allora mai come nel caso di specie viene da pensare che all’epoca fu messa in atto e pianificata una attività finalizzata a fare arricchire qualche dipendente del consorzio o lanciare prebende a destra ed a manca, rigorosamente ad amici ed amici degli amici. Che poi spunti il nome dell’ing. Capobianco, è ancora più emblematico, visto che parliamo di un professionista che quando ha lasciato l’azienda ha intentato ben tre cause contro la stessa, vincendone due ed ottenendo così una liquidazione di centinaia di migliaia di euro. Ecco perché c’è bisogno che l’azione di responsabilità intentata presso la Corte dei Conti segua il suo corso: il vaso di Pandora va scoperchiato per intero e chi ha sbagliato, stavolta, deve pagare di tasca propria. Solo così non ci andranno di mezzo figli e nipoti…

 

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