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L’appello di Catello Maresca: «Il Tribunale di Ischia non si tocca»

DI GIOVANNA FERRARA

ISCHIA. Catello Maresca è il magistrato che negli ultimi dieci anni, inquadrato come inquirente nella Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha inchiodato alle loro responsabilità i capi della cupola mafiosa del clan dei Casalesi. Li ha arrestati uno ad uno, compreso il cosiddetto Capo dei Capi, Michele Zagaria. Lo tirò fuori da una casa/bunker scavata nelle viscere della terra a Casapesenna. Ha sbattuto questi criminali in carcere, ha sostenuto l’accusa nei processi, li ha fatti condannare all’ergastolo. Ha infine avviato una delle più importanti attività investigative di ricerca, sequestro e acquisizione al patrimonio dello Stato dei capitali criminali accumulati dalla cosca dei casalesi col crimine e investiti nell’economia legale, soprattutto nelle regioni del nord Italia e all’estero, in particolare in Spagna, Portogallo, Romania, Australia. E parliamo di denaro contante, beni immobili e partecipazioni societarie per un valore di centinaia di milioni di euro. Quello che pomposamente qualcuno chiama il tesoro di Gomorra “solo in parte rintracciato” spiega Maresca.

Per questo lavoro Maresca è stato minacciato più volte di morte dai camorristi. Sono stati scoperti e fermati prima dell’esecuzione più di un piano per eliminarlo fisicamente. Lui, il pm Maresca, quando un giornalista lo incensa con questi ricordi, magari per ingraziarselo prima di una intervista, risponde sempre più o meno allo stesso modo: “Sono uno dei tanti magistrati napoletani, italiani, che ogni giorno provano non a contrastare ma a sradicare il cancro mafioso da questo Paese e ad amministrare la giustizia in nome del popolo italiano”. L’abbiamo incontrato a Ischia, «l’isola che mi dà serenità, che mi fa stare bene assieme alla mia famiglia, con gli amici»,  ci racconta col sorriso stampato sulla faccia un po’ abbronzata, persino rilassata. Anche se, poi, a pochi passi dal posto in cui lo intervistiamo, un luogo bellissimo, di relax, ci sono i finanzieri della sua scorta che sorvegliano a vista tutto quello che accade. Dal 2012 è cittadino onorario di Ischia. Oltre alla cittadinanza onoraria c’è dell’altro. «Mio padre scelse quest’isola come buen ritiro prima di finire. C’è un legame affettivo che va ben oltre la bellezza di Ischia. Appena posso vengo qui».

Con il dottore Maresca, il Golfo vuole provare a a capire come viene amministrata la giustizia ad Ischia e in zone disagiate come le isole del Belpaese. Ed è ovvio che ci interessa il suo parere, tecnico, sul funzionamento della macchina della giustizia ad Ischia alla luce del recente riordino della geografia giudiziaria. La sua premessa, però, dice molto: «Sono contro la soppressione del Tribunale di Ischia. Sarebbe un errore madornale»

È stata l’assemblea generale unitaria delle associazioni forensi insulari, gli avvocati delle isole minori, a lanciare l’allarme contro la possibile soppressione, alla scadenza della proroga prevista il prossimo 31 dicembre, di alcuni Tribunali cosiddetti minori. Tra questi ci sarebbe anche quello di Ischia.  Un Tribunale, quello di Ischia, che esiste dal 1500. E i 65000 abitanti non possono essere lasciati senza giustizia. Questo è stato il grido di dolore e la richiesta dei sindaci dell’isola di Ischia.

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«Già nel 2016, prima di questa proroga mi sono espresso in modo convinto: il Tribunale di Ischia non deve essere soppresso. Vivo Ischia e sono affezionato all’isola. Da operatore della giustizia mi rendo conto delle difficoltà che ci sono o ci potrebbero essere per celebrare i processi qualora il Tribunale dovesse essere soppresso. Già allora, in tanti, ci siamo opposti alla soppressione. Da allora ad oggi si attendeva un intervento di revisione di quel provvedimento di rideterminazione della geografia giudiziaria molto atteso anche dalla magistratura. Se ne parlava da decenni. Negli anni ci sono stati dei mutamenti che la giustizia non può ignorare. È stato necessario adeguare la risposta della giustizia non solo al dato demografico, che è un dato numerico e non è detto che sia quello decisivo, ma anche al dato effettivo della litigiosità come la pendenza dei procedimenti, la durata dei processi. Sono dati tecnici che messi a sistema possono portare a diverse soluzioni. Il dato dell’esigenza per una rideterminazione della geografia c’era e per questo quel provvedimento venne accolto con favore anche da noi operatori della giustizia. Ovviamente in un provvedimento così complesso si possono commettere degli errori ed Ischia è stato un errore di quel provvedimento».

 

Può spiegarci perché è un errore?

«Perchè la sede di Ischia non può e non deve essere soppressa per dato numerico e per dato territoriale. Ne ero convinto allora e lo sono ancor di più oggi. Bisogna però sottolineare un aspetto. Le isole vivono delle situazioni particolari. Non si può sospendere la giustizia in un territorio. Mai. Nemmeno per una settimana. La risposta di giustizia in un territorio deve essere costante, effettiva e deve essere percepita come tale. Pensate, ad esempio, ai periodi di cattivo tempo, di mare grosso, quando non sono assicurati i collegamenti con la terraferma e non si può navigare. Che cosa si fa quando i testimoni o le parti non possono raggiungere Napoli per chiedere che venga reso anche a loro il servizio giustizia? A qualcuno  può sembrare una sciocchezza! E invece questa è un’assenza di giustizia, una denegata giustizia che non ci possiamo permettere. La rideterminazione della geografia giudiziaria ha senso se proiettata ad assicurare una giustizia migliore. Il rischio di non celebrare processi o di rallentarli e quindi di non raggiungere l’obiettivo della riforma elimina il senso stesso del ridisegno dei Tribunali. Per questo sostengo che la rideterminazione della geografia giudiziaria a Ischia non ha senso. È illogica»

Gli uffici giudiziari di Capri e de La Maddalena sono stati soppressi in base ai numeri e non alle specificità territoriali. Eppure queste isole come Ischia rappresentano dei Poli turistici internazionali.

«Il dato numerico comunque non può essere trascurato. Mantenere un carrozzone che comporta costi,necessità organizzative e burocratiche per poche cause non ne vale la pena. La situazione di Ischia è sensibilmente diversa. Come numeri, bacino di utenza, anche come grandezza del territorio è diversa da Capri e da La Maddalena. Capisco che ognuno vorrebbe un Tribunale sul proprio territorio, ma bisogna trovare una mediazione che concilii le varie esigenze. Proprio questa mediazione può prevedere il sacrificio di alcuni posti, qualora i costi dovessero superare i benefici. Ma queste sono scelte di natura politica. E chissà, non è detto che non si possa tornare indietro. Guardando il programma politico del nuovo Governo, ho letto una visione di disegno opposto rispetto a quanto fatto fino ad oggi. Se si prende atto che un esperimento non è andato bene, si potrebbe anche tornare indietro. Ma queste, ripeto, sono scelte di natura politica. E quando il legislatore decide, poi occorre tutti rispettare le sue decisioni».

 

Le sedi distaccate non vivono da sole. Per funzionare hanno bisogno di uomini e mezzi.

«Un punto deve essere chiaro ed imprescindibile e su un dato dobbiamo essere fermi: la struttura distaccata deve funzionare bene. Cioè deve assicurare processi tempestivi e dare risposte di giustizia adeguate. Mantenerle solo per un valore simbolico o ideologico non va bene. Il Tribunale deve funzionare con la dotazione organica adeguata, il personale amministrativo e giudiziario adeguato rispetto alla richiesta di giustizia. Un Tribunale è il luogo di celebrazione di processi e di risposta giudiziaria alle esigenze del territorio. Ho esperienze da giovanissimo magistrato in altri posti, come ad Orvieto, e lì ti rendevi conto che effettivamente la presenza del Tribunale poteva anche essere sacrificata rispetto a delle esigenze di riorganizzazione e di rispetto di altri parametri quali costi, dotazioni ed esigenze ministeriali. Mantenere aperto un Tribunale costa allo Stato, ma se la scelta è quella di mantenerlo aperto deve essere fatto con consapevolezza. Bisogna tener presente che questi posti di “frontiera” sono visti come un problema perché nessuno vuole lavorarci. E chi ci lavora vuole scappare il prima possibile. Anche questo tipo di esigenze devono essere considerate. Il Tribunale intanto ha senso in un posto se lo fai funzionare davvero».

La proposta di sostituire le sedi distaccate dei Tribunali con gli sportelli di prossimità, come le sembra?

«Guardi, provo a essere schietto e con questo non voglio assolutamente mancare di rispetto a nessuno. Come le ho detto la scelta deve chiara e netta. Non so in cosa si possa tradurre questo sportello di prossimità. Sono parole che significano tutto e niente. Se penso ad un luogo dove si celebra la giustizia, quello è il Tribunale. Lo chiamiamo così in Italia da 2mila anni»

Dottore, se dico che lei scende in campo al fianco degli avvocati di Ischia, scrivo una sciocchezza?

«Faccia lei. Io sono un magistrato come tanto e credo nella giustizia. È una ragione di vita per me come per gli avvocati e, mi permetto di dire, soprattutto per i cittadini italiani. In campo scendo per giocare a calcio».

 

A proposito di calcio. Lei è tifoso del Napoli?

«Sbagliato. Io sono innamorato del Napoli. È una bella dolce malattia da sempre per me tifare Napoli».

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