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A Ischia da New York sulle tracce del dialetto ischitano

Una ricerca interessante dell’antropologa Talia Cigliano Gonzales, sua mamma emigrò da Ischia nel 1954, ma in America si parla ancora ischitano

A Ischia da New York sulle tracce del dialetto ischitano. E’ questa la storia di Talia Gonzales dal secondo cognome, “Cigliano” perché sua mamma è nata a Ischia per poi emigrare, con tutta la sua famiglia a San Pedro nel 1954. «Mia mamma aveva cinque anni quando è arrivata in America, è grazie a lei se ho un po’ di sangue italiano, ma papà è di famiglia spagnola e io sono cresciuta tra gli Stati Uniti e la Spagna per questo parlo più spagnolo che italiano».

Talia abita a New York dove insegna spagnolo in una scuola media, ma il suo studio non si ferma mai ed è per questo che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso l’Università della Columbia in antropologia linguistica. «Mi sono sempre piaciute le lingue – ci racconta – sono cresciuta in una famiglia multilingue: in quella di mia mamma si parla più ischitano che italiano. Per me è sempre stato un codice, mamma lo parlava con la nonna lì a San Pedro, ma eraun ischitano degli anni ’50 rimasto nella memoria nonostante la distanza di tempo e di luogo». Entrambi i genitori di Talia sono insegnanti di spagnolo ed è anche per questo che per lei è fondamentale che nelle scuole che s’ insegnino più lingue.

«Ho deciso di dedicare quest’estate alla ricerca, un lavoro del cuore per me. Ero qua a Ischia e ho chiesto al capo dipartimento di poter fare questo piccolo studio che gli èsembrato interessantissimo. Negli Stati Uniti non c’è quasi nulla di scritto sul dialetto ischitano. Sono venuta qui sull’isola tante volte per qualche giorno, per il mare, ma è la prima volta che sono rimasta qua tanto tempo e sento di aver conosciuto molto meglio l’isola, ma soprattutto la sua gente che trovo incredibile». Da antropologa, Talia, si è sentita davvero benvoluta dagli ischitani che, con estrema generosità, hanno risposto a tutte le sue domande, «tutti volevano parlare della lingua con me dicendo la propria opinione sul dialetto. La mia ricerca si basa su tre domande circa le ideologie linguistiche, la percezione dell’ischitano verso l’italiano e la professione svolta. Per cercare le risposte non devo solo fare interviste, ma anche osservare. Allora andavo al bar Cocò e restavo un’ora al tavolino, ascoltando se una famiglia parla ischitano o italiano.

Li a Ischia Ponte c’è sempre una tavola politica, spesso composta da anziani, quasi sempre uomini, che parlano quasi sempre ischitano. E poi ho svolto osservazioni in chiesa, durante eventi culturali come la festa della Madonna del Carmine per vedere gli adolescenti come parlano».Tra i primi risultati della sua ricerca c’è che l’ischitano è vivo, e ancora oggi si usa molto,«la gente – ha detto ancora la prof. Gonzales – è orgogliosa della propria lingua e tutti la sentono come una parte della propria identità culturale. Per tutti è una lingua e non un dialetto. Questo significa che l’ischitano ha un potere politico culturale, qualcosa che mi dà la speranza che questa lingua continuerà a essere usata».Ora Talia è rientrata a New York dove metterà a punto le interviste fatte tra la spiaggia dei pescatori e Ischia Ponte e gli studi effettuati all’interno della Biblioteca Comunale Antoniana dove ha potuto trascorrere i suoi pomeriggi a studiare e fare ricerca. «D’ischitano scritto, però,- conclude la prof. Gonzales – ci sono pochissime tracce. Al museo del mare c’è una preghiera, oppure ci sono le fiabe di Ugo Vuoso, storie orali che ha raccolto e trascritto. Parlando con un mio cugino mi ha detto che oggi ci si scrive in ischitano su whatsapp, un esempio interessante e moderno che segna che, forse, l’ischitano scritto sta rinascendo proprio con questa generazione».

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