LE OPINIONI

IL COMMENTO Giardino di civiltà o civiltà da giardino?

A distanza di giorni, ancora gli ischitani (magari su Rai Play) si stanno consolando con la magnifica puntata de Il Provinciale di Federico Quaranta e della naturalista Mia Canestrini, che ha nobilitato Ischia oltre i suoi effettivi meriti sociologici e politici. L’ha invece onorata nella misura giusta per i suoi indiscutibili meriti naturalistici e storici. Il tutto esaltato da ottime musiche di accompagnamento. Belli i personaggi scelti, che restano individualità autentiche e virtuose ma purtroppo eccezioni (il pescatore, il capraio che si esprime in un ottimo italiano e tira fuori dalla bisaccia il libro di Erri De Luca “Mestieri all’aria aperta” e spiega il suo confinamento sulla montagna e tra le capre con la frase: “Non è bello essere un codice a barre e vivere in uno spazio confinato. Qui sulla montagna e con le capre, basta un libro per non sentirsi solo”; l’operatore turistico che spiega le tecniche di costruzione delle parracine; le figlie di Andrea D’Ambra, Marina coltivatrice e Sara enologa; Silvia D’Ambra, agronoma Slow Food che illustra le fossa dei conigli; Bigina che spiega come e quando si cucina il coniglio e come i pezzi di carne vanno distribuiti secondo un rituale di priorità familiare; Luciano Di Meglio , figlio di pescatore, creatore del Museo del Mare, costruttore di barche in miniatura che odia però il mare, di cui conosce tutte le insidie; Topolino d’Ischia che racconta l’incontro a Londra con i Beatles, che volevano capire il bum, bum, bum ovvero il battito ritmico di Topolino sulla cassa lignea della chitarra; infine Tony Esposito, non ischitano ma frequentatore dell’isola da sempre, che si rifugia sui Pizzi Bianchi di Serrara per concentrarsi sul suono di tamburi e percussioni. Tutto meravigliosamente positivo.

Ma l’isola, purtroppo, non è affatto “luogo d’incontro”, “giardino di civiltà”, “isola del dialogo”, come ci ha troppo generosamente definito Quaranta. Quelle figure che ha intercettato ed intervistato sono eccezioni, magnifiche eccezioni. E non risulta vero che “superiamo le diversità senza cancellarle” Non è vero che “il dialogo si è interrotto solo per qualche parentesi storica, come nel caso dell’abbandono dell’Osservatorio Astronomico e della vasca sismica di Giulio Grablowitz. Il “dialogo” non è il forte di quest’isola,almeno nella contemporaneità. Altro discorso è quando storicamente con il “cala cala” s’intrecciava un dialogo e un baratto tra agricoltori e pescatori. L’isola non è il “giardino di civiltà” ma più verosimilmente è luogo di “civiltà da giardino”, nel senso che obiettivo massimo per molti è avere e curare il proprio orticello, il proprio giardino. Restiamo, oggi, l’isola delle sei municipalità, delle diseguaglianze e della scarsa solidarietà, dove il padrone tiene sovente sotto scacco i dipendenti e i dipendenti non trovano la forza di ribellarsi. Siamo l’isola, oggi, dove le minoranze non vengono rispettate, ma anche dove le minoranze non hanno la costanza di restare minoranze e trasmigrano opportunisticamente nelle fila delle maggioranze o, al contrario, si rifugiano in una sterile protesta di stampo anarchico senza sbocco. Siamo l’isola dove ci sono individualità o associazioni di cultura eccellenti e sacche di ignoranza e superstizione, questa sì “provinciale” nel senso deteriore della parola e non positivo come nel titolo del programma televisivo. Siamo l’isola del consumismo a tutto tondo: amiamo scorrazzare con l’auto anche quando non ce n’è bisogno e riempiamo di contumelie i conducenti di altre auto, di cui non sopportiamo anzianità, titubanze ed incertezze.

Altro che “dialogo”! Siamo l’isola che denuncia il vicino per ogni piccolezza o, quando non lo facciamo, è perché abbiamo a nostra volta magagne da nascondere. Siamo l’isola che non va a cinema, non legge giornali, non partecipa alla vita pubblica. Siamo, dunque, senza speranza? No, proprio perché ci sono quelle individualità che lo staff de Il Provinciale, con l’aiuto sapiente di chi sul posto li ha indirizzati, ha intercettato. Sono loro gli ultimi giapponesi che resistono nella foresta ,dopo la guerra scatenata dal consumismo, dopo la dissipazione dei principali valori e patrimoni materiali o immateriali. Dunque, proiettiamo pure il filmato TV in tutto il mondo, per mostrare il meglio dell’isola, ben sapendo, però, che si tratta di un’alterazione, di un’edulcorazione della nostra effettiva realtà. Possiamo ingannare i turisti, ma non noi stessi. Ischia risorgerà, prima o poi, dalle ceneri, come la Fenice, e se ci riusciremo, dovremo dire grazie al pescatore, al capraio, a Bigina, al figlio di pescatore che costruisce barche in miniatura, ai ristoratori legati a Slow Food, agli enologi, agli ultimi “ pusteggia” della canzone napoletana. A questa resurrezione, statene certi, contribuiranno poco i politici e gli amministratori pubblici.

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luciamanna

L’isola d’Ischia ha visto un booum economico troppo velocemente.Qualsiasi mercato ha necessità di un medio-lungo termine , se improvvisato e frettoloso è destinato a fallire. Da contadino a imprenditore l’ischitano senza conoscere e mettere in pratica le linee guida dei mercati pensava di superare se stesso con un suo modello imprenditoriale del “fai da te”. Tutto é andato bene per i primi trenta anni di imprenditoria turistica fino a quando é subentrato la competizione dei mercati turistici internazionali. Il profitto veloce ha fatto si che il territorio fosse barattato. Vilipeso con l’abusivismo. . E rastrellato da speculatori della terra ferma con buona pace dei politici consenzienti.Oggi se ne paga il prezzo per la mancata pianificazione. Per l’inefficienza della programmazione turistica. E soprattutto per la poco lungimiranza degli stessi imprenditori che credendo ad un turismo sempre in voga come negli anni prolifici hanno spudoratamente costruito all’interno delle loro strutture recettive decine e decine di camere scavate talvolta a mò di bunkr. Per riempire stanze e cessi quando il turista è venuto meno, l’imprenditore-contadino ha dovuto minimizzare i costi così l’isola che una volta si rivedeva in presenza di un elites da decenni viene rivista come massa volgare. E chiassosa! . L’imprenditore e le sinergie che lo accompagnano, hanno cavalcato solo l’onda del profitto regredendo culturalmente. E ora ( pandemia a parte) tutti si piangono addosso! Quelli che si credevano più furbi assistano disperati alle aste delle loro strutture recettive pagando l’ibris della loro ingordigia.

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