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Nell’estate di tre secoli fa il celebre filosofo e vescovo Giorgio Berkeley sull’isola

Giorgio Berkeley (1685 – 1753) nacque a Kilkenny in Irlanda, studiò a Dublino e quivi rimase alcuni anni anche come insegnante. Comincia giovane a scrivere il suo pensiero filosofico e nel 1713 si reca a Londra e lotta con molti altri scritti sui giornali contro i “liberi pensatori”: partendo dall’empirismo lockiano, il suo pensiero tende a soddisfare preoccupazioni religiose in polemica coi “liberi pensatori”. Dimostrare che  la vera, anzi l’unica realtà e l’unica fonte di attività è quella spirituale e che al culmine di essa v’è Dio: questo fu dapprima il movente segreto e poi lo scopo espresso della speculazione del Berkeley. Fu poi  due volte in Italia, la seconda volta per quattro anni (dal 1716 al 1720) come precettore d’un nobile inglese. Il 13 giugno 1717 Berkeley -a 32 anni- scrive da Napoli a Percival (dal vol. “Viaggio in Italia” a cura di Thomas E. Jessop e Mariapaola Fimiani, Bibliopolis Napoli 1979) raccontando di aver visitato “Lecce la più bella città italiana che si trova in un lontano angolo del tacco: è per i suoi ornamenti architettonici la città più fastosa che abbia mai visto ove predomina il corinzio…Antichità viste a Brindisi, Taranto, Venosa (dove è nato Orazio), Canne (famosa per la vittoria di Annibale), Calabria. Non visitare questi paesi interessanti per paura dei banditi è solo una cosa da vigliacchi. Tornando a Napoli ho trovato il Vesuvio in eruzione e non accenna a cessare”. Quindi prosegue col soggiorno a Ischia descritto nel suo diario ricco di fascino e notizie: “Tiranneggiavano spietatamente l’isola d’Ischia 150 sbirri…Gli Ischitani si possono anche scannare tra loro senza rischiare la pena; li ricercano solo per la morte di uno sbirro. Una notte fummo malmenati da 35 sbirri e dovemmo saltare giù dal letto.

Per altri versi -scrive Berkeley- la gente di quest’isola è abbastanza buona, ma assetata di sangue e vendicativa. Quelli di Forìo e di Buonopane hanno più degli altri cattiva fama di assassini. Tutto il resto dell’isola dice di loro che non hanno alcun timore di Dio e degli uomini…Il costume degli Ischitani consiste in una berretta di lana, una camicia e un paio di mutande lunghe – quando fa freddo giubba e calzoni al ginocchio di lana. Portano su un fianco un pugnale decorativo, a lama larga e con la punta ricurva, col quale spesso si feriscono e si ammazzano tra loro”. Accenni alla fertile pianura di Pieio, l’anfiteatro del Vataliera, villaggio di Cumana, monte di Borano, Vezzi, il Cremate, panorama di monte San Nicola e le colline ricche di vigneti, frutteti, e spaccature profonde sovrastate talvolta da ponti; Ischia, Campagnano, Testaccio e il sudatorio, Borano, Moropane, Panza, Forìo, Casamicciola, Cufa, Olmitello, fumarole, Castello di S. Angelo, Fontana (hanno greggi di pecore e capre): “Gli scorci dell’isola sono diversissimi, dove sono sparse, qua e là, case bianche. Borano, con la sua torre campanaria, situata su un’altura, crea un piacevole sfondo…Il clero ischitano -120 parroci e un convento di Domenicani- prende una carolina a messa…caccia (quaglie grasse), pesca, fichi secchi e uva passita. Una confraternita di cento anime a Testaccio…Gli ornamenti femminili sono dei grandi cerchi d’oro alle orecchie e, per le sposate, larghi anelli d’oro con pietre false alle dita; ma il principale segno di eleganza è un grembiule coloratissimo e ricamato in lamé. Memorabile la celebrazione del giorno di S.Giorgio (patrono di Testaccio) e di altre festività…Tre o quattrocento ducati la normale dote per una donna ischitana”.

Ancora dettagli sul rito del matrimonio, i funerali, il Castello d’Ischia fortezza inespugnabile: “Tra il lago e Ischia una strada tra residui di eruzioni”. Il 22 ottobre 1717 Berkeley da Napoli scrive a Pope riassumendogli di essere “tornato da poco dall’isola di Inarime, dove ho trascorso tre o quattro mesi; un luogo che, se dispiegasse i suoi veri colori, potrebbe, credo, deliziarla almeno per un po’. Eppure col solo accorgimento di badare ai fatti nostri, siamo riusciti a vivere tranquillamente fra gente così pericolosa”. Notizie su Procida, Vivara e altro ancora. Verso la fine di ottobre andò a visitare la Sicilia e da Messina (vi avvertì un terremoto) il 25 febbraio 1718 scrisse una lettera a Tommaso Campanella, unico documento del nuovo diario e documenti smarriti nel viaggio. Tornato in patria fu ordinato presbitero nel 1721: missionario e apostolo nelle isole Bermude nel 1728 presso gli indigeni. Tornato in Inghilterra fu nominato vescovo anglicano di Cloyne nel 1734 dedicandosi interamente al nuovo ministero sino alla morte a Oxford. Sarebbe opportuno dedicargli una memoria!

 

DIES  DOMINICA – 26ESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

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“Ma Gesù rispose loro: – Il Padre mio opera sempre e anch’io opero -. Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”.

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L’Eucaristia, culmine dei sette Sacramenti, è il “memoriale della passione del Figlio di Dio”. Non andiamo ad assistervi, ma a prendervi parte. Vi troviamo anzitutto la misericordia e il perdono, nei quali soprattutto si manifesta l’onnipotenza di Dio. Nella prima Lettura dal libro del profeta Ezechiele l’uomo di Dio insiste sulla responsabilità personale nelle azioni. E’ con la propria libertà che l’uomo compie azioni malvagie o azioni buone, e in base a questa libertà egli viene o condannato o fatto vivere. Nella seconda Lettura dalla lettera di San Paolo ai Filippesi l’Apostolo è preoccupato che nella sua comunità non serpeggi l’orgoglio, la rivalità, la ricerca di se stessi, ma che si distingua per l’”unione degli spiriti”. Il modello di tutto questo è Gesù Cristo, il quale, pur essendo Dio “pur essendo di natura divina”(testo falsificato dalla spa tdg di Brooklyn per negare la divinità di Cristo), si è umiliato, è diventato come un servo, esaltato poi nella risurrezione e costituito Signore. Nel Vangelo di San Matteo (21, 28-32) le buone intenzioni non contano, se non sono seguite dai fatti. Non basta dire di sì all’esterno alla volontà di Dio, e poi non compierla. Gesù giunge a dire che i peccatori “pentiti” con la loro fede e conversione, precedono nel regno di Dio quelli che si ritengono giusti: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”.

 

FIESTA

Soavità sfocata mi coglie

piccino alla scesa migrante a Mar del Plata

in processione alla festa di San Salvador,

icona solenne portata sulle fulve lance

a solcare protezione ondosa ai pescatori

e religiosa ansia alle mamme in veglia,

quando l’avverso Oceano spuma,

madido erario della città.

E poi l’incognita del palo insaponato

abile gioco a prora tuffi tra sbuffi d’otarie,

là estiva fiesta tra gennaio-febbraio

sulla lancia ‘Subprefecto’ ardita:

qui mio padre prendeva il largo

per il salato pane.

Or son qui incolume passeggero:

non dimentico le barche al S. Salvatore:

nessuno è dispensato dal soffrire.

La pena e il Presagio.

 

A cura del professor Pasquale Baldino, responsabile diocesano Cenacoli Mariani, docente Liceo, poeta (e-mail: prof.pasqualebaldino@libero.it)

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