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Il Riesame e le motivazioni sul caso Ferrandino-D’Abundo

DI GAETANO FERRANDINO

ISCHIA – Sono state depositate le motivazioni con cui i giudici del Tribunale del Riesame hanno disposto l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari che venne emessa a carico di Vanni Ferrandino, sottufficiale in servizio presso la guardia costiera di Ischia, e l’agente di viaggi Antonello D’Abundo, che vennero arrestati su disposizione della Procura della Repubblica lo scorso  11 aprile al termine di un’indagine caratterizzata anche da una serie di riscontri telefonici. Motivazioni che, lette tutte d’un fiato, manifestano come i giudici non soltanto sono categorici nel sostenere che non vi fossero i presupposti per adottare i predetti provvedimenti cautelari, ma addirittura mettono in serio dubbio l’attendibilità del denunciante e dunque della cosiddetta parte offesa, e cioè l’albergatore Ciro Castiglione. Che è messa in dubbio da una testimonianza resa da Vito D’Abundo. Che fa un passaggio significativo relativamente ai soggiorni che l’imprenditore foriano avrebbe pagato al Ferrandino per entrare nelle sue grazie ed evitare ulteriori controlli e dunque problemi alle sue strutture ricettive. Il nipote di Antonello è davvero nella circostanza un testimone chiave, ma prima di capire il perchè è opportuno riavvolgere il nastro e resettare.

I giudici del Riesame rimarcano che in sede di interrogatorio di garanzia Antonello D’Abundo (rappresentato dall’avv. Stefano Pettorino)  “negava che il Castiglione avesse mai pagato una vacanza al Ferrandino, specificando di aver ricevuto i soldi contanti per il pagamento dei soggiorni di cui all’imputazione – modalità pretesa dal Castiglione – al quale si era rivolto, all’insaputa del pubblico ufficiale, per ottenere trattamenti economici più vantaggiosi, visti i suoi rapporti con tour operators pugliesi – poichè quest’ultimo necessitava di liquidità per pagare ‘fuori busta’ ai suoi dipendenti. Versato il denaro, il Castiglione gli aveva consegnato i voucher, poi recapitati al Ferrandino, senza che mai avesse riferito allo stesso dell’intermediazione del primo”. Si arriva poi al nocciolo della questione quando lo stesso ex assicuratore precisava che nel maggio 2014 suo zio, Vito D’Abundo, aveva assistito sia alla consegna del denaro ad opera del Ferrandino presso un bar ristorante e successivamente anche al recapito del contante a Ciro Castiglione, che avvenne presso l’albergo Punta del Sole. Una circostanza, questa, riferita anche nel suo interrogatorio da Vanni Ferrandino (difeso dall’avv. Bruno Molinaro) che sottolineò la presenza di Vito D’Abundo quando avvenne la somma di euro 2.440, importo indicato in un fax pervenuto presso il suo computer. Lo stesso Ferrandino aveva ribadito che anche il pagamento della seconda vacanza era avvenuto per contanti.

Sempre il sottufficiale, ricorda il Riesame, aveva precisato che dai contenuti digitali del suo Iphone era possibile rilevare una corrispondenza si SMS per la prenotazione e di email di conferma della conclusione dell’accordo sulla sua casella di posta sulla quale il D’Abundo aveva inviato il voucher. Tra l’altro Vanni Ferrandino aveva anche chiesto di poter pagare mediante bonifico, ma Antonello D’Abundo gli rappresentò che per ottenere uno sconto maggiore avrebbe dovuto farlo in contanti. Il sottufficiale, ricorda il Riesame, acconsentù, ma “trattandosi di somma di significativa rilevanza, aveva fotografato le banconote prelevate in banca il giorno stesso della consegna a D’Abundo (questo per l’anno 2014), anche queste immagini ancora contenute nel telefono cellulare.

La testimonianza di Vito D’Abundo, i riscontri a sua discolpa forniti da Vanni Ferrandino ed ulteriori elementi probatori emersi nel contraddittorio tra le parti, fanno in modo che i giudici nelle sue motivazioni facciano una serie di considerazioni talmente eloquente che non bisogna essere insigni giuristi per comprenderle: “Ritiene il tribunale – si legge in un passaggio – che gli stessi si profilano sicuramente incidenti sulla attendibilità del Castiglione, le cui dichiarazioni, in ragione della veste di coindagato che lo stesso assume, sembrano essere gravemente inficiate, in particolare dalla testimonianza resa da Vito D’Abundo”.

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Come avete letto, il Riesame non ha alcun dubbio nel parlare di Ciro Castiglione come di “coindagato” a tutti gli effetti, per quanto – ed è opportuno precisarlo – lo stesso non risulti allo stato attuale rivestire questo status. I giudici non hanno dubbi che a seguito delle dichiarazioni rese dal Castiglione nell’ottobre 2015 con tutti gli annessi e i connessi, si debba arrivare a una conclusione: “Tale essendo la prospettazione della vicenda, così come fornita dal denunciante, ritiene il collegio che vada rivista la qualificazione giuridica alla medesima attribuita, in quanto più correttamente inquadrabile nell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 319 quater c.p”. Insomma, nelle motivazioni viene lasciato intendere che la vicenda in questione non può assolutamente veder configurata l’ipotesi di concussione, quanto piuttosto quella di induzione indebita. Il che, naturalmente, finirebbe con lo spogliare dei “panni” di parte offesa Ciro Castiglione, che si ritroverebbe – o almeno secondo il Riesame dovrebbe trovarsi – nella condizione di indagato. Ora non resta che attendere le decisioni della Procura della Repubblica e capire se di fronte ad un’ordinanza così chiara, a tratti devastante per la sua inequivocabilità, si percorrerà o meno la strada del ricorso per Cassazione. Ma certo è che il quadro, così come “disegnato” in prima battuta, si trova oggi ad essere letteralmente stravolto.

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