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Frana a Cartaromana, le motivazioni del Gup

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA. Lo scorso 17 maggio, il sindaco di Ischia Giosi Ferrandino e l’ex responsabile dell’ufficio tecnico Silvano Arcamone sono stati liberati dall’accusa di concorso in abuso d’ufficio per i fatti di Cartaromana del 2013. All’epoca si trattò di un episodio capace di spaccare l’armonia nella maggioranza consiliare di via Iasolino, quando l’allora vice-sindaco Luigi Boccanfuso rassegnò le dimissioni. Il forte gesto politico fu originato da un’ordinanza emanata dal sindaco Ferrandino con parere positivo dell’arch. Arcamone, provvedimento che revocava una precedente ordinanza interdittiva emanata dal vicesindaco Boccanfuso nei confronti dell’albergatore Gabriele Mazzella. Quest’ultimo, proprietario dell’Hotel Giardino delle Ninfe, si era infatti visto vietare l’accesso a un tratto di litorale, che in parte era di pertinenza delle strutture alberghiere, con la motivazione dello stato di pericolo derivante da una frana verificatasi il 23 giugno del 2013. Dunque due provvedimenti, del sindaco e del suo vice, in rotta di collisione, e capaci come detto di mettere fine al rapporto politico-fiduciario tra i due, col secondo che se ne andò sbattendo la porta, lanciando anche parole forti verso il sindaco e il dirigente dell’utc e costituendosi parte civile nel procedimento. Dal piano politico a quello giudiziario il passo fu breve: l’ordinanza di revoca emanata da Giosi e Silvano fu oggetto di una denunzia/querela da parte dell’avvocato Carmine Bernardo, irriducibile componente della minoranza consiliare a Ischia. Il pubblico ministero, sulla base della denunzia e di un’informativa della polizia, dapprima chiese l’archiviazione del caso, ma la forte opposizione dell’avv. Bernardo indusse il Gip a ritenerla immotivata. Nel maggio del 2015 a seguito di imputazione coatta ecco la richiesta di rinvio a giudizio non soltanto del sindaco e del tecnico, ma anche dell’albergatore, con l’imputazione di concorso in abuso d’ufficio perché già in precedenza, secondo l’accusa, Giosi e Silvano avrebbero favorito il titolare dell’hotel “non adottando i provvedimenti di legge, in conseguenza dell’esecuzione da parte del Mazzella di opere abusive, anche insistenti sul demanio”. Inoltre, e questa è l’accusa centrale, l’ordinanza di revoca sarebbe stata da considerare illegittima, “non risultando corretta la procedura adottata dal Mazzella per eseguire i lavori di manutenzione della roccia (sulla cui esecuzione si fondava la revoca dell’interdizione dell’area)”, perché non si sarebbe trattato di lavori di manutenzione ordinaria, bensì straordinaria, che avrebbero richiesto il parere dell’Autorità di Bacino. In tal modo, Giosi e Silvano avrebbero agito intenzionalmente per far conseguire a Gabriele Mazzella un ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dalla possibilità di utilizzare, a servizio dell’Hotel, l’area oggetto della frana. La richiesta del pubblico ministero finì dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare Vincenzo Alabiso: dopo alcune sedute differite, come molti ricorderanno, un mese e mezzo fa è arrivato il responso di non doversi procedere perché il fatto non sussiste.

LA MOTIVAZIONE. Nella motivazione, il giudice Alabiso inizialmente afferma che l’accenno fatto dalla pubblica accusa secondo cui il sindaco già in precedenza avrebbe favorito l’albergatore non adottando i provvedimenti di legge per presunte opere abusive eseguite dal Mazzella anche su zone demaniali, costituisce una contestazione che “per la sua vaghezza e per la sua genericità” risulta irricevibile. Dopo questo rilievo, il magistrato ricostruisce la sequenza e il botta e risposta tra i provvedimenti: prima l’ordinanza n. 116/2013 emanata da Boccanfuso tre giorni dopo l’evento franoso, poi il 13 agosto il parere di Silvano Arcamone, nella sua qualità di Dirigente dell’Ufficio Tecnico, favorevole alla revoca della precedente ordinanza, dando atto all’albergatore Gabriele Mazzella di avere svolto i necessari lavori di manutenzione al costone interessato, e di aver presentato un certificato di agibilità statica giurato e firmato dall’ing. Aristodemo Giovanzante, una perizia geologica giurata firmata dalla dott.ssa Filomena Miragliuolo che attesta che le opere di sistemazione eseguite (sistema di reti-funi e pulizia periodica) proteggono gli utenti dalla caduta massi e da eventuale crollo, e infine un certificato della ditta Dolomiti Rocce srl, che dichiara che “sono state rimosse in questa maniera le condizioni di pericolo di distacchi di materiale per cui possiamo dichiarare di aver eliminato il pericolo di crolli”. Un insieme di attestazioni che, unite a un adeguato piano di manutenzione e gestione, indusse l’arch. Arcamone a rilasciare parere favorevole alla revoca dell’interdizione, parere poi recepito dal sindaco Ferrandino che nell’ordinanza aggiunge ulteriori vincoli a cui subordinare la revoca, consistenti nel delimitare la zona originariamente interdetta. Una condizione che, fin quando non realizzata, avrebbe continuato a comportare il divieto di transito e sosta di persone fino a nuove disposizione dell’autorità giudiziaria. Dal canto suo, Gabriele Mazzella tramite il suo difensore avv. Mena Giglio aveva prodotto in giudizio i provvedimenti cautelari del Tar della Campania in cui veniva dato atto della messa in sicurezza della scarpata, in modo tale da consentire la sospensione dell’ordinanza interdittiva emanata dal vicesindaco Boccanfuso e dei successivi provvedimenti, tra cui l’ordinanza “incriminata”. Il giudice Alabiso annota che “non può rilevare nel presente giudizio la presenza di bagnanti nella zona interdetta, peraltro in epoca antecedente all’ordinanza del Ferrandino, che non può certo essere imputata al sindaco”. Proprio sulla scorta di tali considerazioni il magistrato ha ritenuto assolutamente inconsistente la ricostruzione dell’accusa. È infatto lo stesso tribunale amministrativo regionale ad attestare la messa in sicurezza del costone, avvenuta grazie all’intervento di personale specializzato della società bellunese Dolomite Rocce. Il direttore tecnico della società, Stefano Paganin, aveva infatti attestato che l’intervento è consistito nella rimozione manuale  di detriti giacenti in condizioni di sicurezza precaria (roccia friabile, piccole rocce staccate, terriccio instabile) oltre alla rimozione di vegetazione (piante secche, piccoli arbusti) potenzialmente instabili. Rimosse in tal modo le condizioni imminenti di pericolo di distacchi di materiale, la società ha potuto ragionevolmente dichiarare di aver eliminato il pericolo di crolli nell’immediato, mentre la situazione delle rocce più grosse non presentava soverchie criticità. Secondo il giudice, e qui ci inoltriamo nel cuore dell’accusa, la necessità del coinvolgimento dell’Autorità di Bacino è soltanto il frutto di una congettura dell’avv. Bernardo, denunciante, e oltre a non trovare alcun sostegno normativo, risulta smentita dal fatto che non risulta affatto che l’avv. Boccanfuso avesse informato l’Autorità di Bacino in sede di emissione del provvedimento interdittivo. Infine, il magistrato afferma di condividere la tesi difensiva dell’avv. Genny Tortora circa il fatto che l’ordinanza incriminata non era affatto idonea ad attribuire vantaggi patrimoniali, visto che il provvedimento non è mai stato efficace, proprio per via della condizione sospensiva illustrata, che non si è mai verificata. Ne consegue, secondo il giudice Vincenzo Alabiso, che i tre imputati devono essere prosciolti perché il fatto non sussiste.

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