«Francesco e’ stato un profeta di pace»
Intervista al vescovo delle Diocesi di Ischia e Pozzuoli, mons. Carlo Villano, che ricorda la figura del Pontefice scomparso lunedì mattina: uomo di pace vicino con il cuore all’isola nei suoi momenti più tragici e difficili. L’eredità che lascia e il rinnovamento della Chiesa, ma anche la successione e una strada da continuare a seguire. E il ricordo più bello: «Fino alla fine ha portato sulla pelle l’odore del gregge»

Monsignor Villano, lunedì mattina siamo stati tutti colpiti, come da una lama, nell’apprendere la notizia della scomparsa di Papa Francesco. Non possiamo parlare di un fulmine a ciel sereno, perché le condizioni di salute del Pontefice erano da tempo piuttosto fragili. Tuttavia, dopo averlo visto in piazza, tra la sua gente, la domenica di Pasqua, è stato davvero un colpo durissimo al cuore per tutti.
«Sì, certamente, come lei ha giustamente sottolineato poco fa, pur essendo consapevoli della salute precaria del Santo Padre, è stato comunque, per tutti, un fulmine a ciel sereno. E credo che ciò che ci lascia in eredità Papa Francesco sia proprio la sua capacità di abitare il tempo presente. Se dovessi raccogliere un insegnamento centrale del suo magistero, direi che è proprio questo invito rivolto a tutta la Chiesa: abitare il nostro tempo. Abitare, oserei dire, un tempo attraversato da un vero cambiamento d’epoca. Papa Francesco ci ha esortato a restare dentro questo cambiamento, senza paura, con il coraggio di intraprendere strade nuove, senza timori».
Ha chiesto la pace, l’ha desiderata e invocata fino all’ultimo istante, una pace che oggi appare quasi come una chimera, un’utopia. Seguire il suo esempio, oggi, forse è il modo migliore per ricordarlo. Ma le chiedo: al di là dei messaggi di cordoglio, che in questi momenti non mancano mai, quanto siamo davvero pronti a raccogliere l’eredità del suo messaggio?
«Credo che siamo pronti a farlo nella misura in cui riconosciamo la pace come un bene comune, come lui spesso ha sottolineato. Se mettiamo questo bene al di sopra dei nostri interessi personali, allora sì, possiamo dire di raccogliere la sua eredità. Papa Francesco, in questi anni, si è proposto a livello mondiale come un autentico profeta, un profeta di pace. E credo che possiamo dirlo senza esagerazioni».
Eccellenza, lei è diventato vescovo durante il pontificato di Papa Bergoglio. Posso chiederle che ricordi conserva di quei momenti anche sul piano umano, personale, oltre al ruolo e alla figura istituzionale?
«Sì, conservo il ricordo di una persona profondamente esperta in umanità. Quando ci siamo incontrati, mi ha sempre chiesto delle nostre diocesi di Ischia e Pozzuoli. Aveva una conoscenza precisa di Ischia, e sappiamo quanto si sia fatto vicino nei momenti difficili degli ultimi anni e mi riferisco soprattutto a quanto successo in occasione delle tragiche calamità del 2017 e del 2022. Era presente con uno stile fatto di prossimità, di testimonianza nella carità. Il ricordo che porto con me è quello di un uomo dotato di una grande carica umana, sinceramente attento ai bisogni delle donne e degli uomini del nostro tempo».
Ha anche contribuito a rinnovare la Chiesa. Un’istituzione che indubbiamente ha bisogno delle sue radici, delle sue tradizioni, ma anche di evoluzione. Secondo lei, in cosa Papa Francesco è riuscito meglio a muoversi e “fluttuare” tra questi due poli?
«Credo che un’espressione sintetizzi bene tutto il suo pontificato, ed è quella che porto con me anche dalle Giornate Mondiali della Gioventù: “Todos, todos, todos”.Tutti devono essere accolti nella Chiesa. Questo è stato il cuore del suo messaggio: una Chiesa che accoglie, che annuncia il Vangelo, che dialoga con il mondo di oggi. Una Chiesa non chiusa in sé stessa, ma coraggiosa nel percorrere sentieri nuovi. Papa Francesco ha affidato davvero la Chiesa al soffio dello Spirito, affinché essa affronti, con coraggio e senza paura, il cammino di questa nuova umanità, in un tempo di vero cambiamento d’epoca».
La domanda che sto per farle potrà sembrare banale, ma la pongo lo stesso. Qual è, oggi, lo stato d’animo del clero, delle diocesi di Ischia e Pozzuoli, e dei fedeli? Al dolore si unisce anche un senso di smarrimento, vista la figura di riferimento che il Pontefice rappresentava su molte tematiche?
«Papa Francesco, credo, è entrato nel cuore di tutti. C’è sicuramente un grande dolore, ma non credo ci sia smarrimento. Non c’è perché crediamo sinceramente che lo Spirito Santo continui a soffiare sulla Chiesa, e che saprà accompagnarne il cammino futuro. È un tempo di dolore, certo. Ma è anche il tempo del silenzio e della preghiera. Vogliamo affidare l’anima di Papa Francesco all’amore e alla misericordia di Dio. Fino al giorno del suo funerale, vivremo questi giorni come un tempo raccolto, silenzioso, di preghiera, in cui affidiamo il nostro padre al Padre di tutti, che è il Signore».
È vero che Papa Francesco aveva espresso il desiderio di visitare la nostra isola, come fece in passato Giovanni Paolo II?
«Sì, da alcune immagini circolate anche sui social sembra che Papa Francesco avesse manifestato questo desiderio.
Tuttavia, dobbiamo essere onesti: negli ultimi tempi, le sue condizioni fisiche non gli permettevano di fare ciò che avrebbe voluto. Però credo fosse davvero così, e lo dico anche pensando ai tragici eventi recenti, come la frana che ci ha colpito. Papa Francesco ha espresso più volte la sua vicinanza, e col cuore era davvero con noi. Materialmente ha voluto esserci fino all’ultimo. Sappiamo che i medici gli avevano raccomandato un isolamento totale, eppure lui ha scelto di essere tra la gente».
Molti – e mi ci metto anch’io – hanno letto nella sua presenza in Piazza San Pietro a Pasqua una sorta di consapevolezza, come se volesse incontrare per l’ultima volta il suo popolo. È una forzatura secondo lei, o un gesto che va letto in profondità?
«Credo che quella sia stata proprio la sintesi della sua vita e del suo ministero. Fino alla fine ha portato sulla pelle l’odore del gregge. Credo che quello sia stato il suo ultimo gesto per dire a tutti noi: vi porto addosso, vi voglio bene. Ci ha voluto bene fino alla fine, come il Signore ci ha voluto bene fino alla croce. Quello è stato il suo testamento: vi ho voluto bene, fino in fondo».
La scelta di essere sepolto semplicemente con la scritta Franciscus e nelle modalità ormai note, cosa rappresenta a suo avviso?
«È lo stile della sua semplicità. Papa Francesco ha riportato la vita della Chiesa a un’essenzialità radicale, che è quella del Vangelo. Quel nome, “Franciscus”, richiama San Francesco d’Assisi e il suo invito a vivere il Vangelo con radicalità, fino in fondo, come Francesco chiedeva ai suoi frati».
Prima le ho fatto una domanda banale, ora gliene faccio una forse più difficile. Raccogliere il testimone di Papa Bergoglio sarà una sfida complessa. Senza voler fare “toto Papa”, secondo lei quale dovrebbe essere oggi il profilo adatto per guidare la Chiesa nel futuro?
«Credo che debba essere una persona che viva profondamente il Vangelo, e che abbia la capacità di dialogare con questa società. È un’eredità imprescindibile, quella lasciata da Papa Francesco: il dialogo con tutti. E sono certo che lo Spirito Santo saprà guidare e sostenere colui che sarà chiamato a raccogliere il suo testimone».
Eccellenza, lei è il pastore delle diocesi di Ischia e Pozzuoli. Prima di congedarci, vuole rivolgere un pensiero intimo, personale, alle sue comunità addolorate?
«Vorrei dire a tutti di vivere questo momento di dolore con serenità. La serenità di chi affida Papa Francesco alla misericordia del Padre. Siamo nella settimana di Pasqua, la settimana della risurrezione. Come amava ricordare Papa Francesco, ora per lui inizia la vita vera, quella eterna, che non ha fine. Ecco, con questa fede lo affidiamo al Signore, e con la stessa fede chiediamo al Signore di accompagnare il cammino della sua Chiesa e delle nostre Chiese».