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Franco Iacono: la politica sull’isola? Non esiste più…

Di Francesco Ferrandino

FORIO. Da Forio all’Europa. La carriera di Franco Iacono (ma a lui non piace tale definizione: «chiamiamolo percorso politico», dice) copre praticamente tutti i ruoli, sia nella struttura del proprio partito, sia nei ruoli di pubblico amministratore. Dopo la laurea a 22 anni nel ’64, l’anno successivo è già iscritto al Partito Socialista Italiano: «Quest’anno – afferma  – la mia tessera compie 50 anni: la conservo con grande affetto». Diventa poi segretario della sezione foriana del Partito, e nel ’71 viene eletto in Consiglio comunale, dove diventa assessore allo sport e al turismo, per poi ricoprire la carica di vicesindaco nel ’73. Anche nel partito la progressione è rapida: fa parte del direttivo della Federazione socialista nel ’72, poi dell’esecutivo nel ’76. Al congresso di Palermo, nel 1981, entra nel Comitato Centrale del PSI, fino ad arrivare alla Direzione nel 1993, quando però il partito è ormai nel pieno della crisi  durante la tempesta di Tangentopoli. Ma nel frattempo viene eletto nell’amministrazione provinciale nel 1980, dove ricopre le cariche di assessore alla sanità e all’urbanistica. L’escalation continua nell’84: è Presidente della Provincia di Napoli. L’anno successivo, l’elezione nelle file del Consiglio Regionale, dove ricopre la carica di assessore ai trasporti fino al 1989 quando, nel mese di giugno, viene eletto Deputato del Parlamento Europeo.

Lei è stato anche Sindaco di Forio.

«Sì, fui eletto nel 1990. Fu un atto di amore nei confronti di Forio, visto che non avevo certo bisogno di tale carica per “lanciarmi” a livello politico, ma perché ritenevo di poter fare qualcosa di concreto per il paese, e in effetti, pur se con poco tempo a disposizione, riuscimmo comunque a  realizzare cose significative, come l’acquisizione della Colombaia o anche il bellissimo pontile di Forio, realizzato per i Mondiali del ’90 da Gigiotto Rispoli, un vero gioiello, che però stato mal gestito e peggio conservato, come anche quello di Lacco Ameno realizzato nello stesso periodo.  Dopo un anno, la mia amministrazione decadde per una serie di ricorsi sulla validità dell’elezione».

Suo figlio, continuando la vocazione di famiglia, è attualmente impegnato come consigliere comunale a Forio. Si sente di dare un giudizio sulla politica isolana di questi anni?

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«Mio figlio naturalmente ha sempre respirato in casa i valori del socialismo, non tradendoli, come invece hanno fatto altri. Ma non voglio e non sono in grado di dare un giudizio sulle recenti vicende politiche dell’isola d’Ischia.  In generale vedo che oggi i voti si guadagnano non più con la competenza politica, ma molto più facilmente (e meschinamente) con qualche favore personale. Se non fosse così, Lei crede che la gente avrebbe accettato supinamente i camion dell’immondizia posizionati sulla strada tra Cava e Citara, come poi ha fatto? Se esistesse ancora una vera e sana democrazia partitica, come minimo sarebbe scoppiata una rivolta di piazza! Invece, non c’è stato nessun albergatore né insegnante che abbia protestato pubblicamente! Nemmeno la stampa ha realizzato una seria campagna per sottolineare un tale scempio. L’attuale società isolana sembra un corpo morto, che non reagisce più nemmeno di fronte a queste assurde indecenze. Di esempi ve ne sono in ogni ambito. Il pontile di Forio va in rovina, e nessuno reagisce. La Colombaia, che noi acquisimmo al patrimonio comunale, adesso è chiusa e cadente, con la fondazione annegata tra i debiti, e anche in questo caso la società civile non dà cenni di reazione. Il Museo di Villa Arbusto, dove c’è uno dei reperti più importanti della Storia antica dell’intera umanità, viene tenuto praticamente chiuso, ma nessuno sembra dolersene. Ripeto, la società isolana è come un corpo morto. E la politica isolana è quella che viene espressa da tale società. Ischia ha i politici che si merita. Ognuno pensa esclusivamente al piccolo interesse personale, e una rete di meschini favori reciproci blocca ogni prospettiva di miglioramento sociale. Siamo all’opposto di ogni concetto di “politica”, nel senso vero del termine».

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Ha citato i porti di Forio e Lacco, definendoli come “gioielli”. Eppure attualmente sembrano dare più grattacapi che vantaggi alla collettività.

«Spesso vengono create strutture perfette, ma esse camminano sempre sulle gambe degli uomini. Vale anche per altre strutture istituzionali, come la Pegaso. Il meccanismo può essere perfetto, ma se vi entrano uomini senza le necessarie capacità, ecco che il Comune va in perdita laddove avrebbe dovuto trarre utili. Poi subentra il privato, che ovviamente cerca il suo profitto, ma il servizio poi è quello che è, cioè molto scarso. Io mi ero battuto per fare del porto una struttura in grado di funzionare anche d’inverno. Invece, a guardarlo nello stato attuale, non si riesce nemmeno a intuire com’era all’epoca della sua realizzazione».

Da alcuni anni si parla di Comune Unico per l’isola d’Ischia.  Lei è notoriamente contrario a questa idea.

«Sono da sempre contrario, per varie ragioni. Una è quella della presunta maggiore efficienza nel risolvere i problemi comuni: prendiamo l’acquedotto e le fognature, che sono anch’essi servizi sovracomunali, e che sono stati risolti in modo soddisfacente. Lo stesso si potrebbe fare con la nettezza urbana e con i trasporti: avere sei distinte aziende per la raccolta dei rifiuti è una vera offesa al buonsenso, ma nessuno lo sottolinea. Ci sono tutti gli strumenti perché si possa arrivare a una soluzione comune e condivisa, senza dover arrivare al Comune unico. Quindi,  se tutti i problemi di gestione dei servizi si possono risolvere già adesso, non capisco l’esigenza di imporre un unico ente comunale. Ricordo che l’idea del comune unico nacque con Enzo Mazzella, che però auspicava che tutte le funzioni direzionali venissero concentrate nel suo comune: il liceo, la Pretura, il porto. Tutto a Ischia. Quando io contribuii a potenziare il servizio di aliscafi per Forio, Mazzella espresse un certo disappunto, a voler essere eufemistici, perché in tal modo facevo perdere “centralità” al porto di Ischia. Inoltre, in una realtà di sei comuni con popolazioni quantitativamente così squilibrate, non si può imporre un tale assetto per referendum, dove ovviamente prevarrebbe la volontà dei comuni più popolosi, come Ischia, a fronte di realtà molto più piccole come Serrara o Lacco. Fra l’altro, togliendo persino il quorum, cosa ancora più assurda. Se si dovesse arrivare ad attuare tale progetto, io condurrò una battaglia innanzi alla Corte Costituzionale, in base al principio di autodeterminazione: un comune non può decidere per gli altri. E mi batto anche per fermare la cancellazione delle identità locali».

Però ci sono varie località, come Panza, oppure Sant’Angelo, che pur non essendo entità amministrativamente autonome, non hanno certo perso la loro identità: Sant’Angelo è tuttora rinomata anche a livello internazionale.

«Sono esempi meritori di mantenimento della propria peculiarità, ma non mi sembrano costituire una ragione sufficiente per creare un unico Comune isolano. Al massimo, si dovrebbe ragionare in termini di Provincia Metropolitana, un discorso complesso che tanti amministratori non hanno ancora mai veramente compreso. Dovremmo ragionare in termini di Governo dell’area metropolitana, in presenza del quale l’idea di Comune unico diventa del tutto anacronistica. Se fosse davvero un problema avere sei comuni, mi dovrebbero spiegare perché a Capri non hanno unificato i due soli comuni di un’isola molto più piccola? E nella penisola amalfitana? Perché solo a Ischia si pensa a una soluzione che si realizzò soltanto al tempo del regime fascista? Il primo atto democratico dell’isola nel dopoguerra fu infatti il ritorno ai sei comuni autonomi».

Quali tra i politici isolani stima maggiormente oppure ricorda con più rispetto?

«Ricordo l’avvocato Francesco Regine, socialista storico, assessore provinciale scomparso nel ’65: mi battei per intestargli il corso principale di Forio. Poi c’è una figura a cui devo moltissimo, e da cui ho avuto grande sostegno: l’avvocato Michele Regine (nonno dell’attuale omonimo Presidente del Consiglio comunale foriano, ndr), che fu per poco tempo anche sindaco del paese: io fui suo vice. Mi insegnò due cose: il rispetto verso il denaro pubblico, che deve essere più forte di quello verso il denaro privato, e di non usare mai posizioni e ruoli pubblici per fini personali o familiari. Ricordo anche Arturo Trofa, più volte sindaco di Serrara Fontana, e Peppino Iacono, presidente della Provincia».

Questi sono tutti socialisti, come Lei. E tra gli “avversari”?

«Beh, ricordo sempre molto volentieri Vincenzo Mennella, che mi “scelsi” come “rivale”: il nostro antagonismo emergeva nelle prime riunioni tra le amministrazioni isolane, oltre che sul “Giornale d’Ischia”, di cui fui uno dei fondatori. Anche Vincenzo Romolo, sindaco di Ischia, fu un politico davvero rispettabile. Un’altra figura importante è quella di Antonio Castagna, storico avversario, alla Provincia eravamo entrambi assessori: non abbiamo mai “litigato”, proprio per la grande stima reciproca. All’epoca c’era anche  Luca Scotti, assessore come me. E poi come non citare il grande Enzo Mazzella? Avevamo un bel rapporto umano, nonostante le diverse concezioni politiche. Egli mi raggiunse alla Regione nell’87, siamo stati due anni insieme in Giunta, mai un diverbio. Sempre uniti per portare risorse all’isola d’Ischia. Ad esempio, la ristrutturazione dell’Ospedale e della pianta organica porta i nostri due nomi».

Veniamo alla sua avventura “europea”. E’ vera quella storia che narra di un forte “diverbio” tra Lei e il segretario del Partito Socialista, Bettino Craxi, all’indomani della sua elezione al Parlamento Europeo? Sembra che Craxi avesse voluto “piazzare” un altro al suo posto…

«Assolutamente no, la smentisco. È vero che io, insieme a Di Donato, appartenevamo a un’altra corrente, non eravamo “craxiani”,  perché facevamo riferimento all’area di Riccardo Lombardi e Claudio Signorile, ma non vi fu alcun diverbio con Craxi. Parliamo di una candidatura al Parlamento Europeo: se non ci fosse il consenso del Partito, essa non sarebbe nemmeno ipotizzabile. Una delle cose più belle della mia vita politica, ma anche personale, è la lunga e vera amicizia con Pietro Nenni (storico segretario del PSI, ndr), e Craxi, che era il suo “delfino”, ne era perfettamente a conoscenza».

Negli anni ’80, si parlava comunque della segreteria Craxi come quella che aveva impresso una forte “mutazione” al partito, in senso personalistico.

«Questo è ciò che diceva Eugenio Scalfari su “Repubblica”. Il paradosso è che egli era diventato Deputato del partito socialista proprio con l’appoggio di Craxi a Milano, che gli procurò i necessari voti di preferenza in quella circoscrizione. Eppure, nonostante ciò, Scalfari ha poi successivamente dato inizio a una lunga campagna stampa contro Craxi, dipingendolo come un novello Mussolini, come faceva anche Forattini nelle sue celebri vignette. Il punto focale era costituito dal fatto che Craxi era un fiero anti-comunista, e all’epoca, sembrava un po’ un delitto rompere l’asse  tra democristiani e comunisti…».

Lei riconoscerà che fu proprio il fallimento del “compromesso storico”tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista alla fine degli anni ’70 a costituire una sorta di salvezza per i socialisti. Non a caso, da quel momento il PSI ha conosciuto il suo massimo sviluppo, che negli anni ’80 porteranno Craxi addirittura a capo del Governo…

«Certo! Volevano stringere il Psi in una tenaglia. Ma questa è la storia di sempre. I comunisti, che ritenevano Craxi il massimo pericolo per la democrazia, riservarono a Nenni un trattamento, se possibile, anche peggiore, fomentando la formazione del PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, ndr), per disperdere i voti dell’area socialista, e dimezzarne la rappresentanza parlamentare. La storia era quella: chi usciva dalla “chiesa” (i socialisti si erano dissociati dall’invasione sovietica dell’Ungheria nel ’56) diventava il nemico pubblico numero uno: così fu per i socialisti, che da quel momento vennero visti come “nemici” dal PCI. Ecco perché Scalfari accusava il Psi di Craxi, invero pretestuosamente, di aver subìto una “mutazione genetica”. Ma allora, a livello europeo, cosa dovremmo dire dei socialisti francesi, col Presidente Hollande che invia i gendarmi a sparare sui migranti al confine con l’Italia, o del fatto che egli ha appoggiato la Merkel sulla note vicende greche? Sono contento che il PD abbia aderito al Partito Socialista Europeo, ma in realtà, oggi manca una vera casa socialista, quella che era sempre stata la “mia” casa».

Tuttavia, Lei converrà che con Craxi comincia una certa “personalizzazione” della politica che continuerà fino ad oggi.

«Sì, è vero che successivamente sono nati partiti “personali”, prima con Berlusconi, poi nell’ambito della stessa area “democratica” (chiamiamola così) si sono consolidati taluni “feudi” personali come ad esempio Bassolino a Napoli, e tanti altri, fino ad arrivare alla deriva renziana attuale. Ma va anche riconosciuto che all’epoca di Craxi il partito aveva ancora una sua struttura complessa, una Direzione, un Comitato centrale, e c’era anche un’opposizione interna, ben rispettata. Durante l’era di Craxi, il partito “resse” in ogni sua parte. Non ci fu un annullamento del partito, come invece si vede oggi, dove il movimento si “diluisce” nella persona del leader. Io facevo parte della minoranza del partito, eppure potei essere eletto al Parlamento Europeo, prova lampante di una forte democrazia interna, che oggi non esiste più».

Confrontando quell’epoca con l’attuale situazione, non sente di dover riconoscere che una parte di responsabilità dell’odierno declino in cui la nazione si dibatte sia anche da addossare alla classe politica di quegli anni? Proprio allora cominciò la politica fondata sul debito pubblico, che adesso è diventato praticamente ingovernabile. Oggi stiamo pagando le conseguenze degli errori e degli eccessi di quella stagione. È d’accordo?

«Guardi, ma cosa vi può essere al posto della politica fondata sul debito? C’è l’austerità, che tra l’altro era propugnata proprio dai Comunisti. Io ricordo che la principale impennata del debito vi fu quando Cirino Pomicino, agli inizi degli anni ’90, concesse il 10% di aumento nei contratti del pubblico impiego. All’epoca, però, dobbiamo considerare che col debito pubblico veniva mantenuto il Mezzogiorno, anche se con diversi eccessi, come le piante organiche esagerate nei vari enti pubblici. Il problema del debito pubblico era anche (e non solo) quello di mantenere un enorme apparato improduttivo».

Quindi esiste una responsabilità della classe politica dell’epoca, nell’attuale declino…

«Ma guardi che tutto ciò era fatto per mantenere la pace sociale! Pensiamo alla cassa integrazione: senza di essa, ad esempio, all’epoca dei licenziamenti della Fiat sarebbe avvenuta una catastrofe: la politica economica non era, come si crede, una scienza esatta. Oppure pensiamo alla cassa per il Mezzogiorno: fu spesso accusata di enormi sprechi, ma l’80% delle opere pubbliche sono state compiute per mezzo di essa. Il problema è che nessun Governo attacca la concentrazione di ricchezza in mano a pochi individui. Si sa, ad esempio che il 10% degli italiani possiede il 50% della ricchezza nazionale. Eppure, nessun esecutivo osa mai colpire tale ricchezza. Della famigerata “patrimoniale” non ne vuol parlare nessuno, nemmeno i comunistio i loro eredi. In Italia, oggi e da sempre, le tasse invariabilmente colpiscono per la massima parte i redditi fissi. Se si rimane a tale livello, non c’è certo grande spazio di manovra per aspettarsi un cambiamento migliorativo…»

Si sa che a livello ischitano la politica, anche all’epoca dei grandi partiti di massa, è sempre stata legata ai gruppi familiari o di “clientele”, eppure almeno c’erano le strutture locali, le sedi di partito, dove comunque si imparava anche una certa “cultura” della politica.

«Era la democrazia dei Partiti, che aveva il suo spazio anche a Ischia. Le sezioni di partito erano una “palestra” per i futuri operatori della cosa pubblica. Invece, negli ultimi 25 anni, con la fine dei partiti, dopo tangentopoli, nella politica si è inserito il mercato, e hanno prevalso gli uomini-mercato, come Berlusconi come referente per le aziende private e Prodi per il settore dell’economia pubblica. Ma la prospettiva si è invertita: soprattutto con Berlusconi, non si è più pensato a una vera proposta politica, ma si è offerto agli italiani quello che loro gradivano, cioè quello di fare ciascuno gli affari propri, col conseguente logoramento del tessuto sociale oltre che statuale».

Cioè tutto il contrario della vera politica, intesa come bene di tutti..

«Certo! La mia tesi è che la fine della democrazia dei partiti, anche a causa delle sue indubbie distorsioni (cosa che va pienamente riconosciuta), ha creato uno scenario dove si fa letteralmente mercato della politica. Dal ’94 in poi, con la sola eccezione della breve e miserevole parentesi del Governo D’Alema (1999-2000), nessun esponente dei partiti che avevano dato vita alla Repubblica e alla Costituzione ha mai più governato il Paese».

Forse anche i socialisti, una volta allontanato il PCI dall’area di governo dopo l’uccisione di Aldo Moro (1978), hanno compiuti degli errori proprio nel momento della loro massima espansione, cosa che ha poi preparato il campo all’implosione di Tangentopoli degli anni ’90…

«Sicuramente anche Craxi ha compiuto degli errori. Una jattura fu anche l’antipatia personale tra Craxi e Berlinguer, pur se la maggior parte degli errori politici li ha commessi Berlinguer..»

Ma Berlinguer cos’altro poteva fare, una volta estromesso da un possibile approdo al governo? Credo che anche per un fatto geopolitico (guerra fredda USA-URSS), il PCI “non poteva” arrivare al governo, pur se Berlinguer disse di sentirsi più al sicuro nella NATO che non coi sovietici…

«Sì, ma Berlinguer non si staccò mai dall’Unione Sovietica in maniera definitiva. L’Eurocomunismo di Berlinguer secondo me era una “fictio”, un espediente, teso a dimostrare che il PCI aveva preso le distanze da Mosca, ma in realtà c’era ancora un legame alquanto solido. A mio parere, un errore che fece Craxi fu proprio all’indomani del crollo del muro di Berlino nel 1989: la caduta del comunismo sovietico indusse Craxi a un’interpretazione erroneamente “statica” della Storia, contrapponendo vincitori e vinti. Bettino avrebbe dovuto invece capire che si stavano mettendo in moto diverse forze, che poi si sono rivoltate contro la stessa area democratica. I comunisti, pur cavalcando Tangentopoli, hanno poi dovuto fare appello a Prodi per ottenere una legittimazione atta a governare».

Dopo tanti decenni dedicati alla politica, a cosa si dedica oggi?

«Ho speso quasi cinquant’anni della mia vita in questo tessuto sociale, cercando di incidere per migliorarlo, ovviamente per quelle che sono state le mie possibilità. Ora tocca ai giovani. Ma anche dopo l’abbandono della politica attiva ho continuato a cercare di apportare un fattivo contributo all’isola: lo testimoniano le numerosissime iniziative che ho organizzato negli anni, portando a Ischia grandi personalità del mondo politico e della cultura».

 

 

 

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