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BARANOPOLI e la Di Scala, i perchè di un obbligo di dimora

DI FRANCESCO FERRANDINO

BARANO. Tra le persone coinvolte nell’indagine dei Carabinieri c’è anche l’avvocato Maria Grazia Di Scala, colpita da un’ordinanza di misura cautelare con obbligo di dimora nel comune di residenza. L’attuale consigliere regionale, all’epoca dei fatti consigliere di minoranza nel civico consesso di Barano, è accusata tra l’altro di falso ideologico  e di tentata concussione in concorso con un suo assistito, Raffaele Piro, e con l’ex dirigente dell’ufficio tecnico di Barano, Nicola Antonio Stanziola, ai danni di Maddalena Migliaccio, proprietaria di un immobile, l’Hotel “Casa Bianca” sito in località Maronti, e gestito dal Piro a partire dal 1985. Sulla struttura gravava un contenzioso sin dal 2007, quando la Migliaccio cercò di rientrare in possesso dell’immobile per inadempienze contrattuali da parte di Raffaele Piro, che negli anni aveva realizzato una serie di opere edili abusive senza l’autorizzazione della legittima proprietaria. Dopo due gradi di giudizio, entrambi favorevoli, la signora Migliaccio cominciò a considerare di porre in vendita l’immobile a un prezzo variabile tra gli ottocentomila euro e un milione e duecentomila euro, dopo l’esecuzione dello sfratto ai danni del soccombente Piro. Lo Stanziola e il Piro, in momenti diversi, manifestavano l’uno l’intenzione di acquistare l’albergo, e l’altro quella di continuare a condurlo tramite contratto di locazione. Tuttavia, per indurre la signora Migliaccio a vendere la struttura alberghiera (o comunque a continuare a cederne l’uso in locazione) per una cifra sensibilmente inferiore a quella indicata, lo Stanziola, nella sua qualità di dirigente dell’Ufficio Tecnico, avrebbe emesso un’ordinanza di demolizione (la n.70 del 20.12.2013) con conseguente dichiarazione d’inagibilità che colpiva l’intero edificio, proprio per poi trattarne l’acquisto per una cifra molto basso, stante il comprensibile deprezzamento causato dal provvedimento. Proprio allo scopo di accertare se tra Raffaele Piro e Antonio Stanziola vi fosse stato un accordo per l’emissione dell’ordinanza di demolizione, venivano intercettate alcune utenze dell’allora responsabile dell’Ufficio Tecnico nel dicembre 2013. Da tali intercettazioni emergeva una serie di contatti tra lo Stanziola e l’avvocato Di Scala nel corso dei quali, come si legge nell’ordinanza del Giudice, i due si scambiavano in tono amichevole e confidenziale alcune informazioni sull’immobile in questione. In particolare, secondo l’accusa, lo Stanziola comunicava all’avvocato Di Scala di aver firmato l’ordinanza di demolizione dell’immobile, un atto che sarebbe stato emanato in accordo con Raffaele Piro (colui che fino alla richiesta di sfratto deteneva l’immobile in locazione), con l’intento illecito di far calare il prezzo di mercato dell’immobile e di speculare sull’eventuale fitto o vendita dello stesso. Di Scala avrebbe quindi avuto il ruolo di “tramite” tra Stanziola e Piro nell’arco della “questione ad arte realizzata – si legge nelle valutazioni del giudice – e volta ad ottenere un deprezzamento del valore” del bene in oggetto. Fra l’altro, agli occhi della Polizia Giudiziaria, il comportamento dell’UTC di Barano appariva letteralmente “schizofrenico”, nel momento in cui consentiva alla struttura turistico-ricettiva di continuare a funzionare regolarmente dopo la relazione dei tecnici che ne indicano l’inagibilità, e addirittura, nell’ottobre 2013, concedendo l’autorizzazione paesaggistica a una parte dell’immobile, nonostante fosse stato dichiarato “totalmente abusivo”: tutto ciò due mesi prima dell’emissione dell’ordinanza di demolizione. Un comportamento assolutamente contraddittorio, che nell’ordinanza del GIP, “non può avere altra spiegazione logica se non quella della ostinata intenzione di favorire Raffaele Piro” da parte dello Stanziola, che dapprima emetteva un provvedimento per sanare gli abusi (l’autorizzazione paesaggistica è appunto presupposto indispensabile  per l’eventuale sanatoria), e poi, a distanza ravvicinata, emanava un’ordinanza di demolizione. Inoltre, la documentazione relativa all’autorizzazione paesaggistica risultava illegittima oltre che contraffatta, prefigurando il reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico: illegittima perché emanata dal responsabile dell’UTC anziché dal responsabile del procedimento paesaggistico e mancante del parere della Soprintendenza, a cui non era mai giunta realmente la documentazione; contraffatta perché, come successivamente accertato, la firma apposta era falsificata, non essendo quella del responsabile Luigi Di Costanzo, mentre i sigilli e i timbri della sovrintendenza risultavano contraffatti. Tale falsa autorizzazione era stata prodotta dall’avv. Di Scala nel secondo grado di giudizio riguardante lo sfratto di Raffaele Piro dall’Hotel Casa Bianca. Per il GIP, avendo la Corte d’Appello dichiarato inammissibile il ricorso contro lo sfratto, lo Stanziola avrebbe, d’accordo con la Di Scala, emanato la famigerata ordinanza di demolizione n.70, per mezzo della quale dapprima il Piro avrebbe tentato di trattare, con esito negativo, un fitto al di sotto del prezzo di mercato, e successivamente lo Stanziola si sarebbe interessato all’acquisto dell’albergo, speculando sul prezzo dell’immobile, colpito dall’ordinanza di abbattimento che lui stesso aveva emanato. Per il giudice, la falsità ideologica del privato in atti pubblici, volta a ottenere l’autorizzazione paesaggistica depone “a favore del certo coinvolgimento della Di Scala“, insieme alla circostanza che la stessa, come patrocinatore del Piro nel corso delle udienze dinanzi la Corte d’Appello di Napoli, “dapprima dichiarava più volte che gli abusi edilizi erano in via di definizione,  in quanto era in corso il procedimento di sanatoria” e successivamente “depositava l’autorizzazione paesaggistica n. 24, materialmente e ideologicamente falsa, in quanto non proveniente dal responsabile del procedimento paesaggistico Luigi Di Costanzo, ed attestante fatti non conformi a verità“. Nelle sue valutazioni, il GIP conclude che i “delitti di falso erano dunque finalizzati a un tentativo di concussione, realizzati in concorso col pubblico ufficiale Stanziola e ciò emerge dalla circostanza che il Piro e la Di Scala si fossero recati dall’Avvocato Nonno (che curava gli interessi della proprietaria dell’immobile, n.d.c.) per contrattare il prezzo di locazione della struttura esibendo l’ordine di demolizione“. In sostanza, una minaccia implicita, con l’ordinanza di abbattimento usata come “spada di damocle”.

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