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Frenata nel processo a Capuano: la difesa aspetta le intercettazioni

I legali di fiducia del magistrato hanno eccepito la mancata consegna, da parte del pm, dei testi delle conversazioni captate durante le indagini. Il collegio giudicante ha concesso quindici giorni di tempo, a partire dal momento in cui la documentazione sarà consegnata. Prossima udienza a fine gennaio

Si è aperto ieri mattina il giudizio immediato nei confronti del giudice Alberto Capuano, coinvolto nell’inchiesta anticorruzione condotta dalla Procura di Roma. L’udienza si è caratterizzata da subito per le eccezioni sollevate dalla difesa, sostenuta dagli avvocati Maurizio Lojacono e Alfonso Furgiuele, quest’ultimo rappresentato in aula dal collega Fusco. Il collegio giudicante ha formalmente riconosciuto la lesione dei diritti della difesa, in relazione appunto all’eccezione degli avvocati del giudice che contestavano la mancata consegna delle copie delle trascrizioni delle intercettazioni. Formalmente, perché seppure sia stato ammesso il vulnus al diritto della difesa, che avrebbe potuto scegliere il rito abbreviato, i giudici hanno deciso di rimettere nei termini i difensori concedendo quindici giorni per poter fare tale scelta. Tuttavia la difesa, tramite l’avvocato Lojacono, ha fatto notare che le copie delle intercettazioni tuttora non sono mai state consegnate ai legali del dottor Capuano. Dunque il termine dei quindici giorni, pur concesso, sarebbe di fatto inutile, visto che gli avvocati non sono ancora nella condizioni di poter visionare tali intercettazioni. Un’obiezione che il collegio non ha potuto fare a meno di esaminare, apportando un correttivo: i quindici giorni decorreranno da quando il pubblico ministero consegnerà le copie ai difensori. Una soluzione che ha lasciato a dir poco perplessi questi ultimi, secondo cui, una volta che si è rilevata la lesione del diritto di difesa, gli atti sarebbero dovuti tornare al pubblico ministero: il procedimento doveva cioè riprendere dalla fase in cui si era verificata tale lesione. Solo in quel modo gli avvocati della difesa, dopo aver ricevuto e visionato i documenti, di fronte alla disposizione del giudizio immediato avrebbero potuto scegliere il rito abbreviato. Invece quella adottata ieri dei giudici è stata avvertita come una soluzione “ibrida”, contro la quale l’avvocato Lojacono ha comunque eccepito la nullità.

Sei mesi di intercettazioni, con qualche migliaio di telefonate, costituiscono una massa difficile, se non impossibile, da dipanare nel breve termine di quindici giorni. Un’impresa alla quale non potrà in ogni caso contribuire l’imputato, visto che il dottor Capuano è tuttora ristretto nella casa circondariale di Poggioreale, e non potrebbe aiutare i propri difensori a venire a capo della matassa di intercettazioni, interlocutori, nomi, fatti, racchiuse in quelle trascrizioni.

L’avvocato Fusco ha invece avanzato una nuova istanza di scarcerazione, anche se lo stesso Tribunale aveva rigettato poche settimane fa analoga richiesta. Diventa dunque difficile immaginare una risposta diversa da parte dei magistrati, senza nessuna sostanziale evoluzione della situazione.

Nonostante la concessione dei limiti temporali per poter scegliere eventualmente il rito abbreviato, l’avvocato Lojacono ha comunque eccepito la nullità della decisione del Tribunale, in quanto il riconoscimento della lesione del diritto di difesa avrebbe dovuto comportare il ritorno degli atti al PM

L’udienza è stata rinviata a fine gennaio: se non altro, tramite l’eccezione sollevata dall’avvocato Lojacono, la difesa ha guadagnato un mese e mezzo, che potrà essere messo a frutto per meglio coordinare la propria azione.

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Resta il fatto che, nonostante l’esito positivo in Cassazione che aveva bocciato l’ordinanza del Riesame che a sua volta aveva confermato la misura cautelare per Capuano, quest’ultimo resta ancora adesso in carcere: oltre cinque mesi che, francamente, alla luce della recente evoluzione del quadro accusatorio, in gran parte ridimensionato rispetto alle iniziali accuse, sembrano davvero troppi, anche perché le presunte esigenze cautelari da tempo non sembrano ravvisabili.

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Degli iniziali capi di imputazione, il più grave era costituito dall’ipotesi di corruzione in atti giudiziari. Accusa che ha perso molta della sua consistenza: essenzialmente il processo dovrà affrontare la questione di certi discorsi e conversazioni (quelli oggetto delle intercettazioni prima citate) che riguardavano una vicenda processuale in atto, sulla quale difesa è certa di aver già dimostrato che non vi fu alcun intervento illecito del giudice Capuano presso i suoi colleghi, dunque un’accusa basata solo su parole e conversazioni prive di fondamento, in quanto la presunta opera di intercessione presso un magistrato per influenzare l’esito di un processo non avrebbe potuto aver luogo, in quanto il magistrato in questione era già andato in pensione. Dunque, il dottor Capuano avrebbe lasciato intendere di interessarsi alla cosa soltanto per prendere tempo e sottrarsi alla pressione dell’interlocutore, cosa discutibile, ma non al punto di assumere rilievo penale.

Fra le accuse minori, una riguarda i rapporti con il titolare di un’impresa di costruzioni che avrebbe compiuto lavori gratis per il magistrato, anche se la difesa ha già acquisito elementi per spiegare la completa liceità di tali attività, che comunque sarebbero poi state pagate. L’altra vicenda riguarda un soggetto che avrebbe confidato in un intervento di Capuano presso i giudici per favorire la sospensione di un abbattimento. Intervento che non ci sarebbe stato, e addirittura il giorno dopo la conversazione incriminata l’abbattimento è poi effettivamente avvenuto: dunque, secondo la difesa, non ci sarebbe da registrare nessuna illecita ingerenza del magistrato nella vicenda.

Nell’inchiesta, insieme a Capuano, sono rimasti coinvolti Valentino Cassini, Antonio Di Dio e Giuseppe Liccardo, finiti anch’essi inizialmente in carcere, mentre l’avvocato Elio Bonaiuto da subito beneficiò dei domiciliari. Per i cinque il Gip ipotizzò a vario titolo i reati di traffico di influenze illecite, millantato credito, favoreggiamento, tentata estorsione, corruzione in atti giudiziari e corruzione per esercizio della funzione. Al momento, però, solo Capuano e Di Dio sono ancora ristretti in carcere.

Dinanzi al Riesame, i legali di fiducia del dottor Capuano tennero a manifestare l’assoluta estraneità ai fatti del loro, in particolare ponendo l’accento con particolare e reiterata attenzione verso le eventuali pressioni che l’indagato avrebbe dovuto esercitare nei confronti di un magistrato della Corte di Appello. Gli avvocati sottolinearono come nel momento in cui al giudice in servizio a Ischia fu chiesta questa intercessione, il suo papabile interlocutore aveva già ottenuto il pensionamento, dunque senza alcun ruolo nel processo in questione. Insomma, Capuano lo sapeva, e a chi gli chiedeva un “favore” aveva finto di manifestare un possibile interessamento solo per porre un freno alle pressioni a suo carico. Per quanto riguarda il caso Liccardi, anche il periodo delle intercettazioni telefoniche risale cronologicamente a un momento in cui il giudice di Corte d’Appello non era più in servizio: insomma, un “avvicinamento” a questo presidente sarebbe stato materialmente impossibile. Di fatto, non avrebbe nemmeno partecipato all’udienza in programma successivamente.

Tuttavia, dopo la positiva decisione della Cassazione, e la successiva nuova istanza di revoca della misura cautelare, era arrivata l’inattesa doccia fredda del Tribunale di Roma. Quest’ultimo, respingendo la richiesta di revoca della misura cautelare che dallo scorso luglio tiene ristretto il dottor Capuano in carcere, ha ritenuto che potessero esistere ancora adesso esigenze di natura probatoria per mantenere l’applicazione della custodia cautelare. Circostanza difficile da spiegare, soprattutto agli occhi della difesa, che si è trovata a dover affrontare in una posizione difficile il giudizio immediato. L’unico margine che restava per sperare in una revoca o quantomeno in un alleviamento della misura cautelare era dato dalla nuova udienza che dovrà celebrarsi dinanzi il Tribunale del Riesame. La circostanza sembrava dischiudere nuove possibilità sull’ipotesi di ottenere la rimessione in libertà, o almeno un alleviamento della misura, anche perché l’annullamento di tale decisione, insieme a un altro evento di rilievo, costituito dalla concessione dei domiciliari a uno degli imputati, l’imprenditore Valentino Cassini, avevano indotto la difesa a chiedere al Tribunale la revoca o quantomeno l’alleggerimento del provvedimento cautelare, prima ancora che si celebrasse la nuova udienza dinanzi il Riesame. Invece si è arrivati alla data fissata per il dibattimento senza che la difesa potesse ottenere almeno i domiciliari. Il Cassini, fra l’altro, era stato definito come intermediario di fiducia che, secondo il gip De Robbio, avrebbe «svolto con costanza e senza alcuna remora morale il compito di mantenere i rapporti di natura illecita tra il Capuano e il Di Dio e prima ancora tra il magistrato e il Federico allo scopo di guadagnare denaro derivanti dalla spartizione con i sodali del prezzo delle corruzioni. La sua presenza costante accanto al Di Dio, la piena compartecipazione a tutti gli accordi corruttivi gestiti dal Capuano nel corso delle indagini ne fanno un altro perno fondamentale del sistema corruttivo, ciò che impone anche nel suo caso di ritenere sussistente un serio e concreto pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quella per i quali si procede».

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