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Il futuro dell’Isola? È nel suo territorio

Carismatico come pochi, con un curriculum lungo oltre 30 anni, Ian D’Agata è uno degli scrittori sul vino più conosciuti al mondo, tra libri, guide e riviste del settore. Sono innumerevoli e tutte importanti le sue collaborazioni giornalistiche: dall’International Wine Cellar di Stephen Tanzer alla rivista inglese Decanter, corrispondente italiano per le riviste cinesi Wine Press e TasteSpirit nonché membro del team della rivista enologica francese sul web Le Figaro Vin. Nominato nel 2012 Miglior Giornalista del Vino in Italia da parte del Comitato Grandi Crus d’Italia, Ian D’Agata ha scritto numerose guide e libri, tra questi, l’importantissimo Native Wine Grapes of Italy (2014), top 10 best wine books per il Financial Times, il NY Times  e il LA Times e Libro dell’Anno al Louis Roederer International Wines Award 2015. Fondatore della Wine Educational Board (W.E.B) che nasce dall’esigenza di dare maggior rilievo alla cultura e alla diffusione di tutti i grandi vini italiani, Ian D’Agata è attualmente Consulente Scientifico di Vinitaly International e Direttore Scientifico di Vinitaly International Academy. Sual’idea della manifestazione 5Star Wines, la “grandselection” dei vini internazionali che ha visto il nostro Nicola Mazzella e il suo Vigna del Lume fregiarsi del titolo Miglior Vino Bianco 2018, entrando di diritto nella guida 5StarWines – The Book dove sono segnalati “solo” il 20% dei vini inviati dalle aziende partecipanti (quest’anno circa 4000).Ovvero solo quelli che esperti di tutto il mondo ritengono meritevoli di un punteggio di almeno 90 centesimi, una guida insomma che raccoglie una selezione di vini di grande valore, dato che in pochi vi accedono. E Ischia è tra questi. A detta dei General Chairmen Ian D’Agata, Bernard Burtschy, Pedro Ballesteros Torres e Robert Joseph, tutti esperti di vino di fama internazionale, la cantina Antonio Mazzella si è segnalata con il migliore vino bianco d’Italia: «Una splendida Biancolella che porta il nome di Ischia sulle tavole, gli scaffali e le carte dei vini di tutto il mondo.  Il giovane titolare dell’azienda, Nicola Mazzella, può essere davvero felice del successo della sua Biancolella, che in una degustazione finale ha battuto due vini austriaci ed altri due italiani di grande valore. Una grande affermazione per i bianchi ischitani, soprattutto per i vitigni autoctoni dell’Isola che dimostra ancora una volta di poter dare vini che sono alla pari dei migliori di tutta la produzione italiana e mondiale e che hanno il vantaggio di raccontare le bellezze di questa bellissima isola e di mantenere vive le tradizioni ma anche la sua biodiversità».Ian D’Agata, infatti, non è un nome nuovo sull’Isola: il celebre wine writer, infatti, collabora da più di 10 anni con la squadra del Regina Isabella nell’organizzazione di Ischia Vintage, la famosa rassegna enologica dell’Hotel Regina Isabella volta alla riscoperta delle eccellenze enologiche italiane, attraverso seminari e studi di altissimo livello e che vede al suo interno uno spazio apposito dedicato alla celebrazione dei vini dell’Isola. Un territorio che Ian conosce bene, che ha da sempre nel cuore: sua è l’idea del progetto Le Vigne dell’Indaco, in collaborazione con lo stesso Giancarlo Carriero patron del Regina Isabella e il prof Luigi Moio; progetto che vide la microvinificazione (fuori da ogni logica commerciale) di vitigni sconosciuti e dimenticati del territorio ischitano. «Il successo della Biancolella fa bene sperare per il futuro di altri magnifici vitigni autoctoni dell’isola, che andrebbero studiati di più e valorizzati al meglio: penso alla Arilla, la Coglionara, la San Lunardo, la Cannamela, e tante altre ancora. E il progetto va proprio in questa direzione, ovvero la salvaguardia di un patrimonio viticolo che tutto il mondo ci invidia». L’affermazione di Vigna del Lume delle Cantine Mazzella può essere quindi un ulteriore sprono a che l’Isola si impegni di più nella comunicazione della propria identità “autoctona” e più vera? «Assolutamente sì» risponde Ian D’Agata «vincere premi del genere se non altro fanno capire ai produttori isolani di avere coraggio e fiducia nei loro vitigni che solo loro hanno, con qualcosa di diverso da offrire». Parola d’ordine, dunque, lavorare sulla propria identità, come suggerisce l’ideatore di 5Star Wines, affinché gli autoctoni diventino una consapevolezza e la valorizzazione di un patrimonio culturale tutto ischitano: «Intanto occorre pensare di salvarli, buttando giù piccoli vigneti monovarietali di Arilla, San Lunardo, Guarnaccia, Cannamela e Coglionara. Vanno poi studiati, microvinificati per capirne il potenziale enologico. Questi sono biotipi tutti ischitani e proprio per questo i produttori devono selezionare le vecchie piante, salvaguardarle. Sono vitigni che esistono solo qui, il cui potenziale non va unicamente inteso come “vino”. Le vigne proteggono dall’erosione e dai disastri ecologici, portando ricchezza nei territori, penso all’enoturismo, ad esempio».A questo punto, ci si chiede se produttori autoctoni si nasca o si diventi o, piuttosto, se non sia una scelta di campo dovuta ad una nuova moda dettata dalla richiesta dei consumatori.«Sicuramente si nasce»risponde Ian D’Agata«gli autoctoni parlano di noi e delle nostre tradizioni, dei nostri antenati e dei nostri ricordi. Sono parte di noi e ci parlano delle nostre radici, di chi siamo e da dove proveniamo. Siamo italiani, abbiamo Il Colosseo, l’Ultima Cena e il David ma anche i nostri piatti altamente specifici: i pugliesi con le orecchiette alle cime di rapa, i campani hanno il sartù e i piemontesi la carne cruda all’Albese. Stesso discorso per il vino, dove un ischitano si riconosce nella sua Biancolella o Forastera».Ma come dev’essere oggi un vino da vitigno autoctono per poter piacere al consumatore odierno? Vale veramente la pena di recuperare tutte le vecchie varietà, correndo il rischio che alcune di queste possano avere un gusto anomalo, difficile da far apprezzare e imporre sul mercato di oggi? Il pensiero di Ian D’Agata è molto chiaro in merito:«Questo è un discorso importantissimo e ti ringrazio per avermelo chiesto. L’ho sempre detto a chiare lettere che nessuno ad oggi ha veramente studiato questi autoctoni: di Arilla, Coglionara o San Lunardo non sappiamo praticamente nulla. Non sappiamo quali siano i suoli migliori né le esposizioni e le altimetrie, tantomeno i portainnesti e le giaciture. Pensare, quindi, che non siano vitigni buoni è ridicolo: se tutti avessero pensato in questa maniera non avremmo avuto grandi Timorasso o Uva di Troia, Pecorino o Carricante».E aggiunge:«Ricordiamoci che il Fiano è tornato a vivere come tale solo nel 1945 e che la Falanghina (in generale, visto che ce ne sono molte e tutte diverse) e il suo vino sono rinati alla fine degli anni ’70. Poi, è chiaro che alcuni vitigni si dimostreranno non validi ma bisogna prima studiarli per poterlo dire. Molti vitigni non sono spariti in quanto scarsi ma solo perché avevano caratteristiche tali da renderli meno attraenti. Erano tempi poveri e i contadini non volevano piante poco produttive o malaticce o difficili da coltivare. Oggi, invece il vino ha una funzione sociale molto diversa e questo ha fatto sì che vecchi vitigni tornassero in auge, rendendo il nostro vino uno degli ambasciatori del Made in Italy nel mondo».Ma quale sia la varietà ischitana preferita da uno degli scrittori del vino più famosi al mondo è presto detto, la Biancolella: «Profumata, verticale, fresca, deliziosa, parla davvero del mare d’Ischia. E tra l’altro, con vini come il Frassitelli D’Ambra e il Vigna del Lume di Mazzella dimostra di essere anche un vitigno che traduce molto bene i diversi terroir in bicchiere, proprio come fanno grandi varietà come il Riesling o il Nebbiolo o il Pinot Nero».

Melinda Sassu

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