ARCHIVIOARCHIVIO 4ARCHIVIO 5

Gabriele Muccino, ritorno alle origini: «A Ischia il Big Bang della mia vita»

Gianluca Castagna | Forio – «Sì, mia madre è nata proprio qui, a Ischia. E qualche giorno fa, quando mio padre ha saputo che stavo girando a Forio, mi ha confessato che forse sono stato concepito sull’isola. Evidentemente era scritto che dovessi tornarci, qui c’è stato il Big Bang della mia esistenza».
Lo dice, quasi divertito, il regista Gabriele Muccino nell’incontro con la stampa sul set del suo ultimo film “A casa tutti bene”. «Da bambino ci venivo anch’io, ma c’era sempre qualcosa che non andava: una volta il morso di un cane, poi un attacco di febbre, ora il cerchio si è chiuso e il legame rinsaldato. Sono tornato come Ulisse alla sua Itaca».
L’isola d’Ischia è da metà settembre la location dell’ultima pellicola del cineasta romano. Una commedia del disincanto con al centro, ancora una volta, un gruppo di famiglia in un inferno (parafrasando il titolone viscontiano). Le nozze d’oro dei genitori, ex ristoratori in pensione (nel film sono Stefania Sandrelli e Ivano Marescotti), diventano l’occasione, tutt’altro che placabile, per una resa dei conti tra familiari fin troppo esperti nella sublime arte piccolo-borghese di nascondere la spazzatura sotto il tappeto.
Dalla famiglia si vuole fuggire e alla famiglia si fa ritorno. ‘Isola’ conosciuta, in realtà sempre più oscura e imperscrutabile.

Al lettore non riveliamo alcun Verbo quando ricordiamo che il cinema di Gabriele Muccino o si ama o si odia. Nemico giurato del minimalismo (concettuale e pratico), il regista romano ha saputo fare dell’eccesso il suo cavallo di battaglia: sequenze costruite con ritmo, energia, concitazione e frenesia; contrapposizioni forti ed estreme; movimenti di macchina veloci; sospiri e crisi di mezza età; personaggi perennemente sull’orlo di una crisi di nervi; scene madri da fanfare&martirio. In questo senso, Muccino occupa una insolita dimensione aliena nel panorama tricolore, per certi versi fuori tempo massimo anche per il melò contemporaneo, ma che rende il suo cinema decisamente vivo, mai disposto a farsi risucchiare dal gorgo in cui girano le acque morte della drammaturgia da grande schermo. Nemmeno quando è l’isterica complicità generazionale a sembrare, per lo spettatore, una vetta troppo faticosa da scalare. Stanco, ma entusiasta del nuovo progetto, Muccino ne ha parlato ai media in un press tour sul set di Villa Gancia, a Forio, dal magnifico belvedere di Zaro.

Il primo titolo del film era “L’isola che non c’è”.
Bellissimo, anche metaforicamente. Ma non volevo troppe identificazioni con Peter Pan o con Bennato. Così abbiamo optato per “A casa tutti bene”, perfetto per esprimere la perversa ironia di chi si cela dietro una grande maschera. Quella di una famiglia costretta dal maltempo a rimanere bloccata su un isolotto senza poter tornare a casa. La convivenza forzata lascia emergere i demoni di ciascuno: felicità sopite, gelosie, frustrazioni, desideri di riscatto o di rivincita. Soprattutto la tragedia di chi non ha avuto ciò che desiderava e forse meritava.
Un film girato interamente a Ischia, anche negli interni.
All’inizio pensavo a un’ambientazione completamente diversa. Le montagne, la neve, un isolamento alla Shining. Poi l’isola mi è sembrata più adatta. Questo contrasto tra la natura, il sole la bellezza e una furibonda tempesta riflette fedelmente ciò che avviene in questa famiglia: tanti sorrisi, la voglia di ritrovarsi e la fatica di essere felici. Ischia è una location ottima anche da un punto di vista logistico, ho girato in luoghi inediti che magari nemmeno gli ischitani conoscono. Di fatto sarà un’isola senza nome. Volevo una destinazione terza, un piccolo microcosmo. La dimensione è fondamentale perché limita la fuga. Anche da se stessi.
Sandrelli, Accorsi, Favino, Milo, Morelli, Gerini, Crescentini. Cast all star.
Eccezionale, non solo perché famosi. Ho avuto la fortuna di dare a ciascuno il personaggio giusto, e ognuno lo ha arricchito con la propria storia. Venti attori che interagiscono tra di loro, animati da uno spasmo febbrile a essere più felici. Una temperatura emotiva altissima in una storia piena di pathos su cui c’è stata una convergenza magica che mi ha molto stupito. Nicola Piovani, che non voleva più comporre per il cinema, dopo aver letto la sceneggiatura ci ha ripensato e ha scritto le musiche del film.

Al centro, come in molti suoi film, l’universo familiare e le sue dinamiche. Cos’è cambiato rispetto ai tempi de “L’ultimo bacio” e “Ricordati di me”?
La famiglia è il villaggio primordiale da dove si parte e dove fatalmente si ritorna. Da adolescenti si fugge per non assomigliare ai propri genitori. Proprio l’opposto di quello che accade, visto che anche i nostri figli ci assomiglieranno. Una ciclicità ineluttabile. “A casa tutti bene” è un crocevia di vite che si incontrano, una commedia umana di grande respiro con la quale racconto la mia visione del mondo e delle relazioni umane. Gli altri film erano pezzi di una grande opera. Questo abbraccia un po’ tutte le generazioni: adolescenti, trentenni, quarantenni, settantenni. Di classi sociali differenti: ci sono ristoratori di successo e chi non se la passa bene, chi ha vinto nella vita e chi ha bisogno di aiuto.
Quanto c’è di autobiografico in queste dinamiche familiari cariche di tensione?
La famiglia è un punto di riferimento. Non so se sono riappacificato, certo ho elaborato quello che è accaduto anche nella mia. Il grado di pacificazione tra me e l’esistenza è il frutto di un percorso che ho dovuto fare con me stesso e maturato dopo molti anni. Il cinema è la mia terapia. Invece di andare dall’analista, mi chiudo in casa per tre mesi e scrivo un copione. Non solo su cose mie, ma su quello che osservo, che mi circonda e che vivo in qualche modo.
Una consapevolezza che influenza anche il suo modo di girare oggi?
Non saprei. In questo film la macchina da presa segue i personaggi, li afferra, li lascia e li rincontra. La tensione favorisce i colpi di scena, i twist cinematografici. Direi che il mio modo di girare è qui potenziato al massimo.

Torna in Italia dopo una lunga esperienza negli Usa.
Ho lavorato in America per circa dieci anni, vivendo un’altra vita. Una doppia vita. Esperienza unica, probabilmente irripetibile. Lì ho imparato che tutto è relativo e tutto può accadere. Ho viaggiato e ho conosciuto me stesso in maniera imprevedibile ma volevo tornare a girare nel mio paese, raccontare una storia autentica e personale di cui avevo bisogno come artista e come uomo. E’ complicato in America, dove è il produttore la figura centrale al contrario di quanto avviene in Europa, dove il film appartiene molto al regista. Il questo senso il rapporto con Marco Belardi e la Lotus produzione è stato fondamentale.
Altre differenze?
Noi verbalizziamo tanto le nostre emozioni, lì di meno. Con qualche eccezione. Se dovessi farne un remake americano, sceglierei una famiglia ebrea.
Il caso Weinstein l’ha sorpresa?
No, anche se le modalità sono state violentissime. Ci sono Weinstein ovunque. Non bisogna certo andare fino a Hollywood per trovarne.
Che Italia verrà fuori da “A casa tutti bene”?
Non credo di raccontare un tempo specifico, non ci sono riferimenti precisi al mondo esterno o alla società. Quest’isola azzera tutte le connessioni che i personaggi hanno con il tempo in cui vivono. Il ritorno in terraferma sarà un ritorno nella nevrosi e nel caos quotidiano.
Lo stato di salute del cinema italiano? Grave, come sembrano indicare gli incassi?
E’ da quando ho iniziato che sento intonare i de profundis. La vera novità è l’ingresso di nuove piattaforme produttive come Netflix e di una serialità televisiva di qualità. Anch’io ci sto pensando. Il cinema in sala resterà sempre un’altra cosa, per la sua carica di potenza ed emotività, ma guardo con estremo interesse alla nuove aperture del mercato.

Ads

A margine dell’incontro, l’intervento di Valerio Caprara, critico cinematografico e presidente della Film Commission Regione Campania. «Siamo estremamente orgogliosi di aver contribuito a questo progetto, a dimostrazione della vitalità e della credibilità anche organizzativa del nostro territorio». Caprara ha ricordato l’exploit campano all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e ringraziato Michelangelo Messina, presidente di Ischia Film Commission, per il supporto in loco e per aver lottato nel voler portare sull’isola verde l’ultimo film di Muccino.
La lavorazione, ancora in corso, durerà fino al prossimo 2 novembre. Qualche ripresa a Napoli, poi ultimo giorno a Parigi per una telefonata fatale. Appuntamento al cinema il 14 febbraio.

Ads

 

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex