CULTURA & SOCIETA'

Gaetano Maschio “scova” vecchi scritti di Mons. Onofrio Buonocore sul suo rapporto con l’Arcivescovo Regine – cronaca di una morte eccellente –

Giovanni Regine è stato Vescovo di Nicastro, di Trani e Barletta – Spiegava ai suoi fedeli il Vangelo in tre lingue: in latino, in italiano e nel dialetto foriano

In questi giorni così particolari, abbiamo chiesto proprio a Gaetano Maschio, un ricordo di Mons. Giovanni Regine. “ La dura realtà, che stiamo vivendo “ – ci ha sottolineato Gaetano – “proprio perché va ben oltre l’immaginazione, induce più alla riflessione che alle parole. Mi sembra opportuno affidare il ricordo ad un illustre personaggio della storia di Ischia, Mons. Onofrio Buonocore, tratta dal libro “Fior da fiore nel bel giardino isclano” – Ricordi personali di Mons. Onofrio Buonocore, edito da “Rispoli Editore in Napoli” sotto l’egida del “Centro di studi su l’Isola d’Ischia”. In questo scritto, l’illustre studioso e presule ischitano descrive gli ultimi giorni di vita di Mons. Regine, il commiato dalla sua terra ed il supremo gesto del Pastore , che muore per assistere le sue pecorelle. Buonocore così scriveva di Mons. Regine: “A sessantadue anni appena, il laborioso operaio della vigna del Signore andò a pigliare la mercede della dura giornata. L’ agosto del 1918, fece ritorno, come era uso, in Ischia, per passare qualche mese di meritato riposo nella ospitale casa sua di Forio, dove amava accogliere tutti quelli che l’avevano in venerazione. Quell’ ultimo anno appena qualche giorno ci indugiammo in compagnia; di tanto calore parlava delle opere fiorenti dell’Archidiocesi, della bontà degli abitanti, dello zelo dei sacerdoti. Anche quella volta non mancò di spendersi a bene d’anima della gente semplice della contrada nativa. Soleva da sacerdote, ed anche da Vescovo, adoperarsi, in· qualche modo, a ristoro d’anima dei contadini dispers i per la campagna. Nella chiesetta, di fronte l’abitazione, celebrava la mattina, ascoltava le confessioni, si porgeva a quelli che convenivano da ogni parte. La domenica, con parola facile, avvivava l’ Evangelo. Il popolo che gli voleva bene. usava dire, nella ingenua bonarietà: – Mons. Regine spiega il Vangelo in tre lingue: in latino, in italiano e nel dialetto di Forio. Innanzi che la vendemmia pigliasse cominciamento, la quale tirava a sé tutto il contado, era uso, durante otto giorni, dare un corso di spitiruali esercizi: catechismi di fanciulli; istruzioni e richiamo ai novissimi per adulti. Più volte ci trovammo a queste divagazioni d’anima, fin da quando eravamo seminaristi; lo disgravavamo dal catechismo. “Tra questi giovincelli della dottrina”- fece una volta – “ve n’ è uno garbato garbato: Francesco Genovino, reca stoffa sacerdotale; invoglialo a venire in Seminario!”. Gli ci attaccammo attorno; alla riapertura del religioso ateneo vi si condusse e fu prete di vocazione: colto, disciplinato, di maniere soavi; insegnò nel Seminario, riuscì facile banditore della divina parola, nell’isola e fuori: finì giovanissimo Canonico della Collegiata dello Spirito Santo e Parroco di Moropane d’Ischia. Caro figlio dell’anima nostra, come ti rechiamo nella mente e nel cuore! Quei ritrovi autunnali in quella signorile casa solitaria, posta nel bel mezzo dei vigneti festanti, al cospetto dell’Epomeo, innanzi al mare largo ebbero tanta parte del nostro costume sacerdotale. Ogni volta che capiti passare davanti un’onda di ricordi si affaccia alla mente; e, senza sforzo, la serena figura balza al cospetto nella giovalità paterna. La sera si scendeva in Forio; ci s’incontrava ora con Mons. Don Filippo Monte, squisito signore del tratto; ora con Don Saverio De Luca, la personificazione della carità; più spesso don Don Giovanni Mazzella, l’uomo sereno, dalla varia cultura; viene tanto diletto a ripensare quagli uomini degnissimi. Lo salutammo l’ultima volta la vigilia della partenza che non ebbe ritorno. Si condusse in Ischia a prendere commiato dalle “Piccole ancelle”; celebrò in quella cappellina della quale soleva dire: “Come si spande l’anima in questa chiesina!”. Parlò all’Evangelo con parole, che salivano dall’anima; porse a baciare la mano coll’ abituale sorriso. Era di aspetto florido, avvampato nel volto; venimmo in pensiero per qualche travaso di sangue: e , forse, ardeva la febbre che doveva dischiudere la tomba. Quando montava in carrozza: “Eccellenza, perché non v’indugiate ancora un poco: quindi a otto giorni celebreremo il venticinquesimo del sovvenimento delle chiese povere; la presenza del fondatore metterebbe accrescimento di decoro”. “L’abbiamo fatta oggi la celebrazione: resta con Dio!”. E il vetturino schioccò la frusta; furono le ultime parole che ci vennero da quel dilettissimo nostro. Menava strage per l’Italia quell’influenza malefica, che fu detta spagnola; la città di Trani andò fortemente colpita. Il Pastore solerte, al sapere che in Trani si moriva, accorciò le vacanze. Come il cuore dettava si tuffò senza calcolo: amministrava cresime, ascoltava le confessioni; si adoperava per ogni dove. E il male l’attaccò di virulenza: in due giorni lo condusse alla tomba. Eppure menava vanto di non essere stato ma infermo! Quando il Capitolo della Cattedrale ed il Clero della città di Trani affollarono la camera, nel solenne corteo del Viatico, dinanzi a tanto spettacolo, il Pastore buono, sereno nel volto, dell’abituale parola soave, dispiegando le bracca in quel gesto che gli era tanto in uso: “Questo è Paradiso!” e s’addormentò soavissimamente in Dio. Correva il 4 ottobre 1918. E chiuse la giornata laboriosa nel silenzio. A causa dell’epidemia infuriante, il rito esequiale si svolse privo del convenevole decoro; l’entrata e l’uscita dall’Archidiocesi Tranese s’incontrarono in armonica intesa. Trovò compimento un’intima convinzione, che sovente amava ripetere: Ama nesciri. (Desidera di essere ignorato n.d.r.)

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