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GIOSI FERRANDINO «Attenti, la Lega resta anti-meridionalista»

«La Lega è un partito dalla doppia identità e già questo dovrebbe far comprendere tante cose. Nel settentrione resta la Lega Nord, quella secessionista, antimeridionalista e xenofoba. Al Sud si sono  limitati ad un restyling del nome e ad un cambio di strategia: il nemico non è più il napoletano, il calabrese o il siciliano. Il nemico è il migrante, indipendentemente dalle ragioni che lo hanno spinto a migrare. Credo sia proprio questa la cifra distintiva del partito di Salvini: individuare un bersaglio e catalizzare su di esso i sentimenti più pericolosi e nocivi dell’animo umano. Frasi spot, propaganda continua e intensiva, distorsione della percezione attraverso la diffusione di notizie verosimili se non addirittura false.  Da questa strategia deriva il successo di Salvini e la sua penetrazione anche nel bacino elettorale del Sud. Questo tuttavia non cambia l’essenza del salvinismo. L’antimeridionalismo c’è ancora, del tutto intatto. Oggi viene attenuato per esigenze elettorali, ma quelli della Lega resteranno per sempre quelli del “prima il Nord”, del “via i terroni”, del “il meridione non è Italia”.  Ne abbiamo avuto l’ennesima prova nell’ultima Pontida.  Credo però che il leghismo sia un fenomeno di costume, anche se non da sottovalutare, ed è figlio di errori che sono stati commessi negli anni, soprattutto a livello europeo. Qui c’è la vera sfida che il Partito Democratico e più in generale tutte le forze progressiste europee devono saper cogliere. Salvini, al pari di Orban, Kurz e degli altre leader del gruppo di Visegard, stanno provando ad indebolire il progetto europeo approfittando della scarsa lungimiranza di quanti hanno governato l’Europa negli ultimi 10 anni senza cogliere la centralità che rivestiva e riveste tutt’ora il compimento del Manifesto di Ventotene.  C’è ancora tempo e spazio per porvi rimedio, ma possiamo farlo solo se mettiamo da parte gli indugi definendo un percorso che porti a politiche comuni in materia economica, fiscale, militare, diplomatica, sociale.  Una Europa che parla con una voce sola è forte, un interlocutore del cui parere tutti devono tener conto. L’alternativa è un ritorno agli Stati-nazione per come li abbiamo conosciuti nel ‘900. Credo siano in pochi ad auspicarlo».

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