CRONACAPRIMO PIANO

Messa in sicurezza, anche l’isola si spacca

Il nuovo DPCM esclude il ritorno a celebrare le celebrazioni liturgiche in Chiesa, la CEI non ci sta e il dibattito impazza pure a Ischia, dove nessuno ha dimenticato le conseguenze del 5 marzo. Ma gli “umori” della piazza (ed anche di chi è vicino al clero) sembrano approvare le scelte del governo

Niente messe nella Fase 2, almeno questo è lo stato dell’arte nel momento in cui scriviamo. Nel nuovo DPCM firmato dal premier Giuseppe Conte, come è noto ai più attenti, non è prevista la possibilità di celebrare cerimonie religiose e la cosa – in un paese battente “bandiera cattolica” come il nostro – ha subito surriscaldato animi, anime e dibattito. La reazione della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) non si è fatta attendere ed è stata chiara e netta: “E’ stato compromesso l’esercizio della libertà di culto”. Critici sono stati anche diversi partiti, con la politica che nel predetto dibattito si è tuffata a pesce come se (con tutto il rispetto per le celebrazioni liturgiche e chi proprio intende essere presente alle stesse “live”) in questo momento non ci fossero altre priorità in Italia. L’argomento è oggetto di discussione anche sulla nostra isola: non nelle piazze, desolatamente vuote, e neppure nei bar (ancora chiusi al pubblico) ma virtualmente e attraverso i social guelfi e ghibellini hanno già iniziato a scontrarsi senza esclusione di colpi. E non possono non partire anche da un presupposto, dal fatto che i festeggiamenti in onore di San Giovan Giuseppe della Croce dello scorso 5 marzo, e nello specifico le funzioni religiose che si svolsero nell’arco di quella giornata, appare chiaro che abbiano avuto un ruolo tutt’altro che marginale nella creazione di un significativo focolaio di contagio da coronavirus che imperversò sul territorio ischitano ed isolano. Partiamo dalla politica. E più telegrafico del solito il sindaco d’Ischia, Enzo Ferrandino, che liquida la questione con un commento esaustivo: “Si tratta di una misura finalizzata a contenere il contagio, dunque va assolutamente rispettata”. Per la serie, in questo momento bisogna attenersi rigorosamente a quello che impongono dai piani alti, che sono ovviamente ancora quelli terreni.

Da segnalare poi l’interessante posizione del sacerdote don Cristian Solmonese, che si lascia andare ad alcune riflessioni accompagnate anche da un pizzico di ironia e qualche punzecchiatura. “I Vescovi invocano la libertà di culto – spiega – bene, il virus covid19 ha studiato la libertà di culto prima di mettersi in movimento e cominciare a contagiare; per questo il virus ha deciso di non contagiare chi andrà a messa e soprattutto sarà il virus a scegliere al posto del parroco (povero) le dieci persone che potranno entrare senza contagiarsi. La chiesa dopo che ha svilito i riti liturgici pasquali, la liturgia in mille modi è stata ridotta ad azioni umane, adesso la grida come cosa necessaria. Perché non alza la voce sulle slot machine che verranno riaperte e intossicheranno quei molti che stavano disintossicandosi? Poi se una comunità può essere rappresentata da dieci persone (e qui mi chiedo che qualità di persone), perché la stessa non può essere rappresentata da due?

E chi avrà il coraggio di scegliere 10/15 e gli altri metterli fuori? La messa la stiamo rendendo come uno degli esercizi commerciali noi. Invece di approfittare di questa grande opportunità per crescere e maturare siamo alla ricerca delle cipolle d’Egitto”. E l’impressione è che negli ambienti ecclesiastici questo “avviso ai naviganti” certo non sia passato inosservato. Chi sperava che la CEI potesse trovare proseliti in casa resterà deluso anche dalla posizione netta del diacono foriano Giuseppe Iacono che non si esprime in prima persona ma riporta sul suo profilo facebook la dichiarazione resa nell’edizione di ieri di Repubblica dal vescovo di Pinerolo Oliviero Delio: “Credo non sia il momento di essere imprudenti, ma collaborativi. Il comunicato [della CEI] mi sembra abbia un po’ troppo il tono dell’autonomia. Non è questo il tempo di mostrare i denti, bensì di collaborare. Abbiamo rinunciato al Triduo pasquale. Perché non provare a pazientare? Credo che questa epidemia possa essere un kairòs, un’occasione da cogliere anche nel modo di fare pastorale. Molti vescovi si sono industriati per far pregare le persone nelle case. Molti sono tornati a pregare come non facevano prima. Perché non insistere sulla necessità di reimparare la fede nelle case? Altrimenti rischiamo di tornare a celebrare le messe, lasciando però che poi la vita di tutti i giorni sia vuota. La messa può anche essere una parentesi in un vuoto quotidiano. Di fronte a tragedie come queste si vince insieme. Chi mostra i denti ribadisce i propri diritti e pare che vinca, ma collaborerà alla sconfitta”. La condivisione di tale concetto tutto sembra fuorché un plauso alla Chiesa che preme per riaprire i luoghi di culto ai suoi fedeli, e non crediamo di sbagliare.

Ma sono ancora tante le posizioni degne di nota in un caleidoscopio di pareri e opinioni. Ad esempio, per dirne una, pur senza voler parteggiare per nessuna delle parti in causa, come si fa a non condividere il pensiero di Michelangelo Messina? L’ideatore dell’Ischia Film Festival dice la sua in un modo che (crediamo oggettivamente) proprio non fa una grinza: “Se aprono le chiese per dire messa, allora devono aprire anche cinema e teatri. Ringrazio le CEI per la battaglia volta ad aprire le Chiese per la celebrazione del culto religioso, (giustissimo) ma se aprono le chiese, devono aprire anche Cinema e Teatri. Le condizioni igienico sanitarie e di distanza sociale, che verrebbero applicate alle chiese per farle aprire, si potranno applicare anche alle sale cinematografiche e ai teatri. Le condizioni strutturali di questi luoghi sono simili. Chi vuole il culto della fede va in chiesa, chi quello della cultura va al cinema e a teatro”.

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Gaetano

Il problema della messa in diretta streaming, in tv o in radio è che non possono battere cassa ma si potrebbe risolvere con un conto Paypal dove il fedele mentre segue l’evento religioso potrebbe pagare l’obolo. Questa potrebbe essere anche una prova generale per abituare i fedeli a mettere mano alla tasca finanziando l’evento religioso, come fanno da sempre i tifosi per seguire una partita di calcio, una prova per abolire l’8×1000. Con questi soldi lo Stato Italiano, che è laico, potrebbe investirli per creare strutture assistenziali per anziani, orfani,ecc. ecc. e sollevare la chiesa cattolica da questi oneri che a noi contribuenti costano troppo. Perché è bello fare il bene con la tasca degli altri. Questo per alcuni sarà un “ commento zero “ che si aggiungerà a certa “ stampa zero “. Saremo tutti luciferini e la scomunica non ci fa paura ma solo ridere.

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