LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «L’arte di com-piacersi»

Mentre i problemi di Ischia si riproducono come i bonobo, la benzina sul fuoco delle cose superflue che si ostinano a inquadrare e investire considerazioni su sfumature inutili, alla “critica” di casa nostra non manca mai. Perciò avanza inesorabile, divenendo facilmente ideologia, “verbo”, modo di pensare, parola e comportamento. Da un lato è incoraggiata dallo spirito distruttivo secondo cui qualunque cosa non è iniziata dagli “illuminati megalomani provinciali” non vale, non funziona. Per l’altro è sostenuta spesso dalla povertà di analisi e argomentazioni come dalla mancanza di riconoscimento verso quelli cui spetterebbe, nel caso, il diritto di parlare nel merito (meglio se con cognizione di causa: insomma, un cuoco non è un medico e viceversa). Proprio ai rappresentanti di questo drappello, tra cui s’inseriscono quelli che prima erano virologi poi esperti di geopolitica e politica internazionale e oggi critici d’arte, i cui rappresentanti nondimeno popolano i mondi “sociali” della cultura, della politica e quello dell’informazione – questo ultimo, forse, il più deludente fatte sempre le dovute eccezioni-, senza complimenti, bisogna dedicare il riconoscimento all’arte di compiacersi. Probabilmente dal murales di Jorit sulla facciata del Liceo di Ischia si può risalire alle ragioni – anche “politiche” – che l’hanno determinato.

Del resto, siamo sempre in prossimità delle elezioni. Cosa che, a dire il vero, dovrebbe interessarci poco. Come non dovrebbe destarci interesse se l’immagine ritrae Santa Restituta o un’immigrata o una profuga, di qualsiasi etnia, nera o gialla che sia. Un plauso, tuttavia, va alla preside Assunta Barbieri. Con altri suoi colleghi e docenti, in particolare nella e dalla scuola, tenta quotidianamente di combattere una battaglia che forse è da considerarsi persa in partenza osservando il punto in cui siamo, offuscati tra la “cultura” di chiusura dalla quale non riusciamo a staccarci e la disposizione collettiva a tutelare più il “tozzo di pane” – il riferimento alla crisi internazionale con Procida su chi appartenesse l’originalità della zingara è puramente casuale – che non a scendere in strada per manifestare che la società sta andando a rotoli insieme alla solidarietà e che è arrivato il momento che qualcuno una svegliata se la dia sul serio oltre i soliti proclami (del resto siamo sempre in prossimità delle elezioni). Viviamo un “mondo” quasi animalesco. In preda all’ipocrisia e alle zuffe di quartiere che ripropongono più un feudo frazionato in sei sfumature di grigio che non una democrazia, ipocrita e retrogrado, per niente aperto alla dimensione internazionale (no, il turismo potrebbe essere una via ma quello attuale, per come è condotto, non lo è), razzista forse e mal proposto all’accoglienza. In cui assume rilievo l’attitudine collettiva a costituire tribunali pubblici, specie se quei ragazzi volevano creare un “comitato” – addirittura?- per vandalizzare e deturpare la recente opera di Jorit per combattere quella forma d’idiozia “giovanile” che a ben guardare non perde la sua carica neppure in alcuni cosiddetti adulti. Tra i tanti aspetti che non abbiamo considerato, tutto ciò ci pone di fronte al senso di essere genitori e alla domanda su come aiutare questi ragazzi, che, sì, hanno commesso un’abominevole cazzata e, di norma, noi stessi; sul ruolo degli educatori e della scuola primo avamposto per l’affermazione del senso civico e della tolleranza, senza trascurare la scarsa attenzione sulla nostra abnorme vocazione che “punire” – al di la del probabile reato commesso dai ragazzi, tanto è che si è attivato il locale Commissariato – significa legittimare contro questi “piccoli facinorosi” il tritacarne mediatico che in un colpo solo diventa forma e sostanza. Di che cosa? Della nostra “comunità”, rappresentazione che permette di lavarci la coscienza indicando “quello li, brutto e sporco” e distanziarsene come non appartenente alla “nostra” cultura. Tutte cose che facciamo finta di non vedere (per questo dovremmo farci vedere da uno bravo!). Su cui, volesse una volontà superiore, dovremmo riflettere giudiziosamente. Ironia a parte, ovviamente. Allo stesso modo dovremmo domandarci il perché di fronte alle difficoltà che ci ingabbiano anche nel quotidiano – gli incidenti stradali, il traffico, il peggioramento sociale che diviene luogo adatto per episodi di violenza come l’accoltellamento avvenuto al Blanco nelle scorse settimane – non ci muoviamo con lo stesso impeto, con la medesima rabbia e rinnovata indignazione. C’è qualcosa che non torna. Il punto non è neppure la critica all’artista che secondo qualcuno sforna opere probabilmente populiste. A tal proposito, l’attenzione andrebbe indirizzata a un post su facebook riproposto dal suo autore, Salvatore Iacono di “Ischia Street Art Gallery”, a seguito dell’opera realizzata da Jorit. Il gallerista di Forio nel 2020 disse una cosa molto interessante che merita di essere letta, proprio perché “arriva” da chi l’arte la vive, la conosce, la pratica. Si può essere d’accordo oppure no, ciò che conta è la “prospettiva” per avviare un processo. Se di riflessione, è meglio. «La Street art è morta, è artificiale, artificiosa, virtuale e mai stata. Non conosco “Street artists” che non pensino d’essere internazionali, vanno in vacanza o in residenza d’artista in qualche luogo del mondo, a nutrire i profitti a carico del pubblico di qualche associazione culturale con addetti ai lavori precari quanto e più degli artisti che invitano, e lavorando e postando le foto cercano consenso popolare via social network che confermi il loro ruolo istituzionale, questo vi sembra un sistema vivo? Questo mi sembra muralismo fascista, nel senso non politico ma educativo del termine, non c’è rivoluzione, c’è soltanto restaurazione e conservazione di certi equilibri di potere locali, sempre più frammentati e impoveriti, nulla nello stato attuale della Street art italiana mi pare vivo, nulla è strutturalmente critico. Le strade sono diventate gallerie pubbliche per artisti in cerca di promozione e di mercato, questo mentre le gallerie private chiudono e quelle che resistono si muovono su bolle finanziarie che servono solo a legittimare il valore di mercato di artisti morti, solo un listino prezzi. Servirebbero dei reali stati generali internazionali della Street art, in un attimo si solleverebbe il problema reale di questo millennio, ossia che lo Street artista non si può imporre o elevare come fosse un artista di regime. Non amo Banksy, è solo un brand, ma mai come brand si sarebbe presentato come oggi si presentano gran parte degli Street artist, in Italia poi la situazione è di un provinciale da brivido. Artisti come Jorit che consegnano realtà complesse come quella Napoletana a luoghi comuni come San Gennaro e Maradona, ma diciamoci la verità, vent’anni fa quale gallerista d’avanguardia avrebbe esposto un artista così Accademico e imballato? Dove è la reale partecipazione nei processi comunitari e condivisi che dovrebbe essere l’elemento trainante della Street art, della public art e della social art? Possibile che nessuno noti l’assoluta mancanza d’opinione critica di questi artisti? Anche Banksy, che gioca a non fare l’artista di regime, ma lo è, invia messaggi estremamente allineati al pensiero unico dominante trasversale, rispetta il lockdown, aiuta ospedali ed emigranti, sembra un telegiornale di qualsiasi paese occidentale, politicamente troppo corretto. Visionare gli Street artisti contemporanei, pare come fare zapping televisivo con la parabolica, eppure l’artista dovrebbe non rassicurarmi, ma farmi incazzare, dovrei da gallerista (seppur di strada) essere in conflitto con lui, dovrei fargli notare come sperpera il suo talento, ma sembra queste cose non accadano più. La Street art è diventata il regno del populismo e l’erede del modello muralista fascista su scala planetaria. Ditemi voi se esiste una differenza tra Francesco Vezzoli che ritrae Chiara Ferragni e Barbara D’Urso per Vanity Fair depredando la storia dell’arte e svestendole della loro contemporaneità e Jorit che ritrae Fedez, Maradona, San Gennaro o Sgarbi come un tempo i pittori di bottega Napoletana vendevano i ritratti in serie di Totò, Troisi o De Filippo. Parliamo di Blu? Di un artista che cancella il suo lavoro per non consegnarlo al suo mercato per tutelare la libertà del suo mercato? La Street art è peggio del Covid 19, è pensiero unico pandemicamente in espansione, ha incastrato il graffitismo e il writing, ha smesso da tempo di monitorare criticamente il potere, di ricercare stile e rivelare allo sguardo, è diventata stronzate alla Tvboy che ritrae Roberto Saviano e ci mostra il bacio tra Di Maio e Salvini, soltanto legittimazione dei mass media e dei social media integrati, nulla che arrivi in contemporanea alla psiche e al cuore. La Street art è morta, morti sono i galleristi che un tempo con gli artisti sfidavano la fame e la morte, morta è la mitomania che è diventata egomania da reality show e “mi piace” via Facebook, morti sono i mecenati che sposano un progetto di ricerca culturale che sondi e sfondi i limiti del linguaggio del suo tempo. Conosco solo un artista che definirei realmente Street oggi, mi sembra lavori come fosse il primo umano sulla terra, sembra stia mostrando la scoperta del colore e la sua plasticità, nessuno sembra cagarlo se non io e qualche impavido addetto ai lavori, difficile spiegare il perché, in un mondo dell’arte linguisticamente vivo per ogni suo lavoro dovrebbero suonare le campane e aprire i notiziari del telegiornali, mentre alcune testate d’arte mostrano tutta la loro mediocrità nel tamponarlo se non occultando tutto ciò che lo riguardi. In questo momento della storia potevo fare due cose da gallerista proveniente dal millennio passato, diventare un tour operator o un’agenzia viaggi per artisti e turisti (e artisti che fanno i turisti da cartolina generando cartoline) o sostenere il lavoro di un artista che mi fa sentire come se stessimo finalmente per uscire dalle caverne. Ho scelto la seconda strada, non potevo che fare questo da gallerista di strada, ho scelto di proporre in esclusiva Mimmo Di Caterino, diciamo che è la mia modalità per distanziarmi socialmente dalla mediocrità – Salvatore Iacono (Ischia Street Art- Forio, ottobre 2020)».

Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci

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