Giù italiani e stranieri, il termale depotenziato: così Ischia affonda
DI MARIO RISPOLI
I risultati di fine luglio parlano di un segno negativo di oltre il 10 % sulle presenze turistiche complessive aggravato dal calo degli stranieri del 20%. Questa in sintesi la tendenza del movimento turistico ad Ischia per la stagione 2018. Se i numeri dovessero confermare il trend, le cose non andrebbero secondo le aspettative di quanti speravano in una ricomposizione dopo la tragedia del 21 agosto. Ma, sia pur provvisorio – siamo nell’ambito delle indagini a campione – il dato fa riflettere: intanto perché gli stranieri in fuga sono tedeschi e russi, vale a dire i nostri clienti storici i primi e quelli che hanno fatto registrare performance molto interessanti nell’ultimo decennio, i secondi ; poi perché sotto la lente è anche il comparto termale, quello che ci ha salvato nei momenti bui e sul quale erano puntate le aspettative dei più ottimisti e anche degli altri.
Un centinaio di alberghi con terme in house, una decina di parchi termali, aziende di cosmetica termale e stabilimenti termali modernissimi in un territorio di poco più di 46 chilometri quadrati : questo è il termalismo di Ischia, un tesoro messo su con il lavoro di avveduti operatori che hanno saputo cogliere le opportunità offerte negli anni dagli enti assistenziali pubblici e privati italiano, tedesco, svizzero e austriaco. Sino alla fine del secolo scorso infatti, la Cassa per il mezzogiorno ( CASMEZ) prima, la Regione Campania poi, erogavano finanziamenti a fondo perduto per la realizzazione di strutture ricettive in modo semplice e senza i controlli cui siamo abituati oggi. Gli enti assistenziali passavano gratuitamente i trattamenti termali dando anche la possibilità di eseguirli in periodo di ferie ( il favoloso “contributo ferie a fondo perduto”) che dava diritto a 12 giorni di assenza dal lavoro, nel corso dei quali, di fatto, dopo il fango il bagno termale o l’areosol, si aveva il resto della giornata per fare vacanza senza intaccare le ferie. Se poi queste erano troppe, nel senso che si annoiava, l’assistito del secolo scorso poteva sempre rinunciare a parte di esse ottenendo una regolare retribuzione. Per i turisti termali di lingua tedesca le cose andavano – se possibile – ancora meglio in quanto l’ENIT attraverso appositi buoni benzina, dava la possibilità di pagare il carburante – in Italia più caro – allo stesso prezzo che in Germania. Tali poderose iniezioni di denaro pubblico avevano lo scopo di favorire un sistema economico che (correttamente) vedeva nelle terme un fattore strategico di prevenzione di una serie di patologie e un volano per il ricettivo turistico nel suo complesso. In questa logica quello che faceva la differenza, anche solo tra Capri e Ischia, era che ad Ischia ci si curava come da duemila anni a quella parte. Non a caso l’isola come altre stazioni termali italiane, si faceva chiamare stazione di cura, soggiorno e turismo dove il turismo era relegato al terzo posto. Ma negli anni d’oro in cui ci si poteva permettere la prevenzione con le cure termali, il soggiorno per riprendersi dalla cura e la vacanza per la fatica compiuta nel curarsi, Ischia era al centro di un sistema perfetto nel quale gli stranieri erano tanti quanti gli italiani, il generoso rimborso degli enti assistenziali stranieri era ancora più generoso di quello italiano e i due rimborsi messi assieme rappresentavano per gli addetti quello che oggi rappresenta un Bitcoin: una moneta virtuale ma senza i rischi del Bitcoin. Insomma le terme in albergo costituivano un valore aggiunto importantissimo. E ancora oggi lo sono. Solo che a turbare quello che sembrava una miniera inesauribile sono arrivate le regole dell’Unione europea, i costi della riunificazione della Germania, la crisi del 2008.
I sistemi assistenziali oggi faticano a erogare anche cure salvavita per malattie gravissime; di prevenzione non se ne parla e terme è una parola oramai di stretta pertinenza del welness: comparto che pure tira ma cui possono accedere tutti in ogni luogo, anche in pausa pranzo . Ma in epoca di “vacche grasse”, come dicevano una volta i ministri del turismo, non c’era necessità di pensare a politiche economiche del turismo, era lo Stato che provvedeva a mettere le cose in modo che i turisti si mettessero in moto verso le stazioni di cura soggiorno e turismo. Non c’era bisogno di andare a caccia di nuovi mercati perché quelli che c’erano erano sufficienti alla bisogna, non c’era internet e i clienti prenotavano da un anno all’altro permettendo all’albergatore di andare in vacanza tranquillo a novembre con l’albergo prenotato per la stagione successiva.
Il mondo è cambiato. E’ cambiata Ischia che negli ultimi 35 anni ha visto aumentare i residenti della cifra record del 40%, con un conseguente disordine urbanistico che ha reso indispensabile il trasporto privato, non sopportabili gli scarichi a mare e non più praticabile la navigazione a vista. E poi c’è stato il 21 agosto.
Non che non siano in atto tentativi coraggiosi di ricerca di soluzioni: il lusso, i pensionati del retributivo in via di estinzione, quello dei russi ante sanzioni è stato un bel momento… ma una ricerca seria sul mercato estero finalizzata a cercare di riportare a casa quel fatidico 20%, quello ancora non c’é. Eppure dovrebbe visto che i clienti d’oltralpe sono in forte crescita e stanno facendo la fortuna dei nostri concorrenti che riescono a conquistarli.