LE OPINIONI

“Ho pagato quindi mangio”, le trappole dell’ All you can eat

Quanti di voi hanno testato la formula dell’all you can eat? Ad oggi, credo sia praticamente impossibile non averlo fatto, perché l’all you can eat (o buffet) lo utilizziamo “quotidianamente”, spesso anche senza rendercene conto. E’ il tutto pizza, la colazione degli hotel quando andiamo in vacanza; è l’aperitivo (o apericena). Di certo però, il settore culinario in cui vediamo più spesso la scritta “all you can eat” è sicuramente quello orientale. Entri, mangi quanto vuoi e  paghi il prezzo fisso, compreso di bibite,generalmente esiguo. Sembra, e sottolineo sembra, una formula perfetta. Sai in partenza quanto pagherai, puoi mangiare quanto vuoi ed esci “sazio e felice”. Ma cosa succede realmente alla nostra mente quando mangiamo in uno di questi ristoranti? “Ho pagato quindi mangio”, ammettiamo tutti abbiamo fatto questo pensiero. Una delle prime trappole mentali, in questo caso, è rappresentata dall’idea di dover riequilibrare e possibilmente superare il rapporto prezzo/quantità.

“ Ho pagato 13 euro? cercherò di mangiare una quantità di cibo quantomeno di quell’importo: ciò che riuscirò a ingerire in più sarà tutto guadagno”.
La prima evidente pecca di questo ragionamento riguarda la qualità, essendo un prezzo decisamente contenuto, è normale che mettano a buffet anche prodotti meno costosi, ma che riempiono la pancia dei clienti. L'”All you can eat” è ,apparentemente, la giornata perfetta per chi è a dieta. Spesso nelle diete è previsto un pasto libero.  ” Ho seguito scrupolosamente la dieta, oggi posso sgarrare!” ma lo sgarro non prevede un “banchetto”. Utilizzare questa formula per ricompensarsi dei “sacrifici” fatti durante la settimana è controproducente e dannoso sia a livello fisico che mentale.  La mente vivrà la settimana come uno strazio in attesa del prossimo buffet in un meccanismo “deprivazione-esagerazione-deprivazione”, e instaurare un rapporto sano con il cibo sarà molto faticoso.

All you can eat significa letteralmente: tutto ciò che puoi mangiare. Questo quantitativo non sempre coincide con ciò che si vorrebbe veramente; spesso si è tentati dalla varietà di cibo a disposizione e si eccede per appagare una fame “estetica”, più che fisiologica. Ma, realmente,  quanto questo “puoi” coincide con il “vuoi”? Per poter trovare una risposta dobbiamo rallentare, e a tal proposito vorrei sottolineare che non è il cibo ad essere positivo o negativo di per sé: è la relazione che instauriamo con il nostro comportamento alimentare ad essere fonte di benessere o malessere.  Nelle circostanze sopra descritte sembra esserci  una perdita di contatto con se stessi: il senso di sazietà viene spostato verso l’esterno. Il tempo inizia a scorrere velocemente, si inizia a ordinare/ mangiare come se qualcuno fosse pronto a toglierci la sedia e il posto a tavola. Le quantità di cibo ingerite diventano eccessive in relazione alle tempistiche, con possibili disturbi fisici. La parola d’ordine diventa quindi rallentare. Come farlo ? allenando la consapevolezza, ad esempio tramite alcune tecniche di Mindful Eating. Imparando ad esercitare la mindful eating, cioè l’alimentazione consapevole, si riprende contatto con sé stessi e con ciò che corpo e mente si chiedono. Non significa smettere di mangiare un dolce o un pacchetto di patatine ma di capire perché si stanno mangiando: per fame, per noia o come ricompensa?

Tenete a mente che “è la quantità che fa il veleno”. È fondamentale imparare a :

“Mangiare” con gli occhi

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Il primo impatto con il cibo è visivo: osserviamo i tavoli dei buffet, le foto del menù, il piatto così come ci viene portato a tavola. Prendiamoci 30 secondi prima di iniziare a mangiare, focalizziamoci sugli aspetti visivi.

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Masticare

A scuola ci insegnavano che “la digestione inizia dalla bocca” : masticare correttamente non solo prepara il cibo alle fasi successive, ma ci permette anche di concederci il giusto tempo per il pasto.

Assaporare

Che gusto ha il boccone? Il suo sapore è in linea con ciò che mi aveva trasmesso alla vista? Quando siamo assaliti dalla foga spesso ci “dimentichiamo” di gustare il pasto. Impariamo a concederci il tempo dell’assaggio, gustiamo la nostra pietanza poco a poco.

Ascoltarsi

Quali sono i segnali fisici che il nostro stomaco ci invia quando è pieno? Imparare ad ascoltarli significa comprendere qual è il nostro limite di sazietà. Mangiare perché gli altri stanno continuando, ordinare un altro piatto perché lo abbiamo visto passare o fiondarsi al buffet a prendere una pietanza appena arrivata significa ignorare i nostri segnali a vantaggio di stimoli esterni. Domandiamoci se vogliamo quel cibo perché abbiamo veramente fame o se è soltanto uno sfizio o un condizionamento esterno. Possiamo comunque scegliere di consumarlo anche se siamo sazi, ma almeno saremo più consapevoli di ciò che stiamo facendo.

Non voglio assolutamente bandire questa formula, ricordandovi ancora una volta che non è il cibo a essere buono o cattivo in sé, ma è il rapporto che instauriamo con esso a trasmetterci sensazioni positive o negative. Chi vive delle difficoltà legate al controllo davanti al cibo può imparare ad esercitare le abilità di mindfulness. Il lavoro con un terapeuta esperto può essere d’aiuto a comprendere le motivazioni e i fattori che scatenano la perdita di controllo, cercando insieme nuove strategie per puntare al raggiungimento di un sano comportamento alimentare.

“Liberamente” è curata da Ilaria Castagna, psicologa, laureata presso l’Università degli Studi de L’Aquila, specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva Comportamentale di Caserta A.T. Beck

Tel: 3456260689

Email: castagna.ilaria@yahoo.com

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