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Festival di Filosofia, il bilancio di Raffaele Mirelli

Gianluca Castagna | Ischia – La fine dell’estate non è solo il tempo della vendemmia, ma apre il periodo dei festival e delle rassegne culturali. Tantissime, in tutta Italia. Dal Trentino alla Sicilia.
“I festival sono eventi culturali che sempre di più stanno rappresentando un fattore di cambiamento del territorio e possono segnare lo sviluppo e l’evoluzione delle società locali”. Lo ha scritto Dario De Vico sul Corriere della Sera con un un’inchiesta intitolata “Alta velocità, export festival: la nuova Italia che attrae”.
Un festival riesce a modificare flussi e alla rendita turistica affianca una creazione di valore contemporaneo, poiché non è più un’impresa – da sola – a segnare il cambiamento del territorio.
Il tema di un appuntamento fisso, radicato e che, anno dopo anno, cresce e si impone diventando anche strategico, meriterebbe un’indagine più lunga e strutturata, senza tacere di problemi che arrivano da molto lontano e includono dinamiche politiche, di natura culturale (in Italia si ha sempre il timore che non ci sia nessun mercato per questo tipo di manifestazioni) e questioni di natura puramente imprenditoriale (non tutti se la sentono di rischiare perché non ci sarebbe un contesto favorevole).

Da una settimana è giunta al termine la terza edizione de “La Filosofia, il Castello e la Torre”, il Festival internazionale di Filosofia di Ischia. Il Golfo ha incontrato il suo ideatore e direttore artistico prof. Raffaele Mirelli per discutere anche di questi temi.
Un bilancio a caldo di questa terza edizione.
Il festival cresce nei numeri e nell’attenzione. E ancora di più nella considerazione complessiva della proposta culturale. Più dei numeri. Faccio riferimento, nello specifico, ai miei concittadini che vorrei più partecipi, anche nel quotidiano. Mi sento molto vicino alla comunità e vorrei che anche la comunità si sentisse più vicina a questo festival e all’offerta culturale che propone. Non riservata a una élite culturale ma aperta a tutti. Il Festival è una festa.
La cosa più riuscita e quella su cui bisogna lavorare di più.
Sono molto soddisfatto del livello di attenzione raggiunto, la motivazione resta fortissima tra tutti quelli che contribuiscono alla riuscita della manifestazione. L’altra sera Maurizio De Giovanni. al Castello Aragonese, mi ha rivelato che conosce il Festival da tempo. E’ motivo di grande orgoglio. Ora mi piacerebbe collegarlo di più alla terraferma, rafforzare una consapevolezza identitaria tra Ischia e Napoli. Con l’assessore alla Cultura Nino Daniele stiamo lavorando a un sodalizio importante.
Committment artistico, propensione internazionale, sviluppo di una community sul territorio. Tre sfide che ogni festival deve fronteggiare e superare. A che punto siamo?
Agli inizi, ma questo è il bello. C’è tanto da fare e molto terreno da guadagnare. Non ci fermiamo.

Nell’estate del terremoto, degli incendi, della siccità e di tutte le polemiche mediatiche su un fenomeno odioso come l’abusivismo, in che modo la filosofia può aiutarci nella relazione con ciò che ci circonda, con la responsabilità che abbiamo verso i nostri luoghi?
Ci sono forse casi in cui la filosofia non riesce a farlo? Naturalmente la filosofia va abitata, basti pensare alle campagne che lanciamo ogni anno: guida sicura, vivere in comune, assenza del bello. La speculazione giornalistica che c’è stata in merito all’abusivismo ha trovato un tessuto non organizzato. Siamo stati presi alla sprovvista. Credo che anche nell’ambito politico si debba avere la prontezza di orientare chi viene qui e intende dare una prospettiva osservando i fenomeni da un solo punto di vista. La prospettiva deve essere più ampia, con varie postazioni di informazione. Evitando un danno di immagine, quindi economico, che abbiamo subito, oltre alle ferite ben più gravi che ci hanno segnato e ancora ci segnano.
In uno dei cartelli c’è scritto: il bello è quando tutti collaborano a migliorare l’isola. Cosa facciamo per il territorio?
Poco. Ischia ha una sorta di peccato originale: l’egoismo, i personalismi, l’invidia. Freni che non spingono l’individuo a cooperare. Non comprendiamo che l’interesse personale può coincidere con quello comunitario.
Cosa significa per te preparare questo festival?
Un anno di lavoro e grandi sacrifici. Senza ritorno economico. Io sono un disoccupato che occupa il suo tempo. Non lascio che la realtà mi disoccupi. Insieme al comitato scientifico si pensa già alla prossima edizione, che avrà per tema “Natura umana”. E’ lì che la filosofia deve agire per cambiare le cose. Stiamo già lavorando a importanti collaborazioni con l’Università di Napoli e quella di Bonn, presente a questa edizione con Markus Gabriel, personalità di spicco del pensiero filosofico contemporaneo.

I festival aiutano i consumi culturali?
Altroché. Più che al consumo, però, un festival deve pensare alla formazione. Il festival di filosofia di Ischia è una scuola di formazione. Penso all’idea dei giovani pensatori, alla proposta di partecipazione arrivata dalle scuole del nord per l’anno venturo. Il consumo, o consumismo, è un atto di responsabilità individuale, noi proponiamo anche altro.
Come sono i rapporti con gli enti pubblici?
Colloquiali. Certo, mi aspetto di più. Anche da un punto di vista economico. Fare un festival è sempre più difficile. I contenuti crescono, i finanziamenti diminuiscono. E’ mortificante. Quindi mi aspetterei più sostegno e partecipazione. Del resto il festival si occupa anche di politica. Deve farlo.
Chi ti senti di dover ringraziare?
Andrò nel sentimentale. Mia moglie Sara, anzitutto. Marco Ciarlone, amico e fratello che lavora sempre anche quando io mi fermo. Andrea Le Moli, condirettore scientifico, Giuseppe Di Meglio e la Nitrodi che ci hanno sempre creduto. Sono tanti i collaboratori che dovrei ringraziare, perché fanno in modo che questo festival diventi realtà ogni anno.

 

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