CULTURA & SOCIETA'

ISCHIA in 3 P – PAESI, PAESAGGI & PERSONE La scarrupata di Barano

DI FRANCESCO MATTERA

Dopo lo Schiappone, la Scarrupata, sempre nel comune di Barano. Nomi un poco astrusi, ma efficaci nel restituire l’immagine di paesi e luoghi con una connotazione particolare, oserei dire singolare. La Scarrupata si trova nel settore sud- orientale dell’isola. Il nostro punto di osservazione paesaggistica è quello di monte.

Difatti, si distingue la Scarrupata bassa, vista dal mare e quindi nominata soprattutto da pescatori e diportisti, dalla Scarrupata alta, prerogativa soprattutto degli agricoltori della zona e degli escursionisti che fanno il percorso naturalistico “ Molara-Schiappone- Scarrupata-Piano Liguori- S. Pancrazio , con le diverse varianti possibili, anche in senso inverso. Lasciata la chiesa e l’abitato dello Schiappone, ci si addentra , con una stradina comoda e non troppo ripida, recentemente sistemata, in una amena zona agricola costellata da vigneti, frutteti ed orti. Sul lato nord –est domina la vetta rocciosa del Monte di Vezzi con le tracce di antichi terrazzamenti che si spingono in alto alla base del contrafforte vulcanico. Terreni fino a non oltre cinquant’nni orsono intensamente coltivati a vigneti, ora quasi del tutto abbandonati alla crescita di canne, rovi e felci aquiline. Guardando il Vezzi sembra di essere immersi in un paesaggio western. Sulla parte opposta, quella nord occidentale, si snoda il pendio che ripido scende dal Vezzi e si propaga nel canalone che raccoglie le acque piovane della zona, ma anche quelle che scendono dal versante baranese di Piano Liguori.

Ricordiamo che questo canalone, che ha il suo destino finale alla Terra Rossa ( prima della Molara, salendo da Ischia) fu oggetto di sistemazione idraulica con briglie e gradonate, dopo il disastroso alluvione del 1910. Fitti castagneti e noccioleti, con frammisti pioppi, roverelle, olmi campestri , salici dei caprai, qualche raro biancospino e arbusti minori, popolano sia il vallone stesso che le balze laterali più umide e fresche. Qui, nel sottobosco ricco di humus, in primavera avviene una vera e propria esplosione di ciclamini, orchidee selvatiche, ginestrino, e anemoni selvatici dalle splendide e delicate fioriture. Distratto da questo scenario incomparabile , il visitatore nuovo del posto immagina che non vi sia fine a tali fattezze, ed invece ecco che all’improvviso, superato un ultimo tratto di sentiero in curva verso sud, si ritrova sul ciglio della Scarrupata alta, con la visione diretta sul mare. Come cambia lo scenario, così cambia anche il microclima: dal fresco e dall’ombra della verzura dei castagni , si passa al luminoso e caldo torrido della piena esposizione al sole e, quando spirano i venti meridionali, all’impeto dell’aria turbolenta e carica di salsedine. Occorre fare molta attenzione nello sporgersi! Meglio guadagnare un punto di osservazione più comodo e sicuro sul sentiero che ora prosegue parallelo alla rupe, fino al Malpasso , da dove poi si inerpica in alto verso il l’altopiano di Piano Liguori.

Trovato il punto giusto, a circa due terzi del tratto pianeggiante detto, lo sguardo può spaziare a centottanta gradi sull’orizzonte, fino all’isola di Capri, ma anche spingersi in basso per osservare tutto il paesaggio dell’ampia insenatura lambita dal mare. E’ la baia della Scarrupata ! Un paesaggio rupestre e marino insieme, di selvaggia bellezza, che si eleva per oltre 200 metri dal livello del mare. I nostri piedi poggiano su un suolo tufaceo misto a pomici e lapilli che qui viene chiamato maschione . Ma tutta la parete che cinge l’insenatura, fino a quella ancora più irta della Guardiola, e poi, oltre ancora fino al Montecotto, è un apparente caos di materiali vulcanici che vanno dalla roccia compatta a quella sconnessa, lacerata verticalmente ed erosa profondamente, frammischiata in maniera disordinata con terre vulcaniche, banchi di lapilli e pomici grossolane, il tutto arditamente proteso verso il mare con una pendenza da capogiro. E la parola Scarrupata restituisce con un’efficacia senza eguali questo paesaggio . Più che un dirupo è infatti uno scarrupo, qualcosa che non può rimanere fermo , che per legge della fisica e della natura è destinato ad un perenne ed inesorabile scivolamento verso il basso, verso il mare. Lo osserviamo quel mare, dall’alto, con la sua colorazione cangiante dal verde cupo, all’azzurro venato di nero in corrispondenza di grandi banchi rocciosi che costellano il fondo. La spiaggia è pietrosa e sassosa. Pietre e sassi lisciati dal moto instancabile del mare provengono dall’alto e dall’alto continuano a cadere, ma nessuno, se non raramente, assiste a questi scivolamenti franosi. Dicevo prima apparente caos: Eh si ! , in quanto i geologi con i loro occhi vedono qualcosa di diverso, vedono gli strati, ne studiano spessori e pendenze, la qualità dei materiali, il rapporto tra di loro , le contaminazioni accidentali, fanno ipotesi e congetture sulla loro genesi. Quindi niente caos , ma un ordine apparentemente disordinato ! La parte a me più cara è quella costellata da guglie, disegnate bizzarramente ed a capriccio erose dal vento, di rocce in bilico sul vuoto che possiamo osservare sull’estremo nord dell’insenatura appena oltre il Castelluccio . Li nidifica il falchetto , li anche in inverno colonie di codirosso di passo si riscaldano al tramonto sulle tiepide rocce prima di riprendere la loro lunga migrazione. Il Castelluccio altri non è che un piccolo promontorio per lo più lapilloso, con un modesto pianoro alla sua sommità, diviso sui lati da due formazioni calanchive molto ripide. E’ popolato da eriche arboree, rosmarino, cisti , cespugli di lentisco e soprattutto da lecci che divengono più fitti e alti proprio nelle gole laterali, per la maggiore umidità che vi si raccoglie. Tutta la Scarrupata è frutto di un vulcano. Un vulcano, si !, un antico vulcano sommerso nel mare il cui condotto del cono craterico si trova a circa 900 metri dalla costa in direzione est, è l’artefice , il costruttore della Scarrupata, la cui parete altri non è che una parte dell’intero suo cratere. Una zona , quella sud-orientale di Ischia, ricca di tracce di un vulcanesimo antico e di grande importanza geo-morfologica. Chi volesse approfondire la materia potrà consultare il volume CI – 1980 del BOLLETTINO DEL SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA , pubblicato nel 1981 dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Il lavoro porta le firme illustri di A. Rittmann e V. Gottini, sotto il titolo L’ISOLA D’ISCHIA – GEOLOGIA. Ma ritorniamo al paesaggio della Scarrupata. Chi pensa che l’uomo non v’abbia messo mano, si sbaglia di grosso. Tutta la parte più bassa, dal limite superiore della spiaggia, a salire su fino circa 50 metri dal livello del mare, un tempo era attivamente coltivata. Soprattutto a vigneto su balze terrazzate. Ma anche l’olivo era ben rappresentato, e le coltivazioni di pomodoro soprattutto si avvantaggiavano della precocità dei raccolti per la favorevole esposizione a sud. Sembra poi che i fichi della zona fossero particolarmente dolci e che seccassero direttamente sugli alberi. I fichi d’India, oggi spontaneizzati, erano pure coltivati con profitto. Ma queste attività erano possibili soprattutto per la grande capacità degli agricoltori di adattarsi alle particolari condizioni ed al notevole sacrificio speso per portarsi sul posto. Oggi i pochi terreni coltivati sono quelli che cingono il ristorante che si trova nella parte centrale dell’insenatura. La natura si è riappropriata di quei terreni e fa il suo gioco con i meccanismi biologici che governano gli ecosistemi. Soprattutto la flora spontanea si evolve in maniera spontanea verso l’equilibrio che gli viene dettato dall’ambiente fisico e dai fattori climatici. Ma apprendiamo da persone del luogo che dalla Scarrupata alta esisteva, fino a qualche decennio orsono, un sentiero che consentiva di scendere fino al mare.

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Lo percorrevano soprattutto i contadini che avevano terreni sia sopra che sotto. Sembra che con botticelle trasportassero acqua di mare che veniva usata per il governo delle botti a vendemmia, per risparmiare l’acqua dolce delle cisterne , sempre carente. I cacciatori in primavera ed a settembre, al passo delle quaglie, battevano quel sentiero, oggi non più praticabile, per scendere fino alla costa (Aschita) dove maggiormente si raccoglievano i volatili. Al Castelluccio si andava, ma con grande rischio e pericolo per la fragilità del suolo, soprattutto in cerca di funghi porcini , anche in periodi nei quali in altri posti non era pensabile che ne spuntassero, come ad esempio a dicembre. Qualcuno racconta di raccolti favolosi, chissà … ! Altre curiosità del passato che ci hanno raccontato persone anziane sono queste : Lo scavo di grotte sui fianchi accessibili della Scarrupata per trarne lapillo che veniva trasportato in estate con sacchi o con cofani di legno ed utilizzati per la costruzione dei lastrici delle case (battuto di lapillo). Ancora oggi alcune di queste grotte sono visibili, una in particolare sembra tanto lunga da sfociare all’esterno a circa 150 metri di quota, sul mare. Una volta ricavate, queste grotte venivano utilizzate per immagazzinarci prodotti della terra, soprattutto patate e pomodori di piennolo, perché vi si conservavano ottimamente. La cattura dei pulcini di falco : impresa ardimentosa di pochi specialisti che conoscevano la posizione di alcune nicchie erose dal vento nel costone tufaceo e dove i rapaci costruivano il loro nido. Assicurando una grossa corda al robusto ramo di un albero, a monte, la persona, munita di un tascapane e di un bastone, si calava sul pendio fino a giungere a tiro del nido. Procedeva quindi al prelievo dei nidiacei, non senza difficoltà, soprattutto per la strenua difesa frapposta dai genitori dei piccoli. Non conosciamo i dettagli dell’operazione e se ci fosse un aiuto da parte di altre persone per distogliere l’attenzione o scacciare i falchi dall’uomo predatore. Questo e non altro posso dirvi, cari amici lettori, della Scarrupata. Ma forse potrei aggiungere di andarci in escursione anche quando in inverno spirano i forti venti meridionali ed il mare è in burrasca e sembra un assedio di Poseidone a Vulcano. L’uno sempre giovane e attivo, l’altro molto vecchio, silente, che ha lavorato nell’antichità dei tempi, e ora pare che consideri non altro che velleità le rabbiose cariche del mare sul suo castello.
*agronomo e naturalista

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