Il body building è disciplina o sport?
Chi ha un background di sport di squadra o singole specialità, iscrivendosi in palestra, coglie da subito le differenze del mondo del fitness e pesi. Nel calcio vi è un obiettivo comune, delle basi teoriche e tecniche comuni che ogni tecnico cerca di raggiungere, adattandole con la sua personale visione del gioco. Nel campo del ferro vi sono una miriade di teorie, una per quanti mr. Tal dei Tali vi sono! Nel mondo dei muscoli, sembra che ogni body builder e allenatore abbia una sua personale ricetta di riferimento alla scienza. La cultura fisica e il culturismo che ne è il suo aspetto spinto fino all’agonismo, quindi il più indicativo, dal punto di vista scientifico sono in una situazione di blocco, di empasse si potrebbe dire, per due cause concomitanti. Da un lato è disciplina quasi totalmente empirica, basata su una sommatoria di esperienze diversissime tra loro. Dall’altro, i principi teorici che dovrebbero informare e uniformare queste esperienze in metodi organici, sono mutuati da discipline e sport che le sono totalmente estranei. E mi spiego. Riguardo al primo punto, si consideri che la Cultura Fisica è disciplina, non sport in senso stretto, estremamente personalizzata all’atleta, proveniente da scuole e allenatori diversissimi. Proveniente da esperienze quasi tutte estere, dove una particolare tradizione italica del “particulare” ha elevato paratie stagne fra scuole, allenatori e atleti.
Guru e segreti.
Dove i metodi sono sempre stati spacciati dai vari Guru come “segreti infallibili” ovviamente profumatamente retribuiti, quindi da tenere celati al volgo profano degli “altri”. La più patetica dimostrazione di questo si ha quando validi e preparati docenti, allenatori o campioni che siano, espongono pienamente i metodi veri di preparazione culturistica. Un microfono spia fra il pubblico ci farebbe sentire frasi come “Eh, questo non la racconta giusta”. Sì, e chi ci crede che solo con questo, sì, ma senza tutte le bombe che si è preso, buonanotte, e così via. Marginalmente noto, che il suddetto pubblico è quasi sempre composto dai soliti velleitari ricercatori del segreto magico e condannati al fallimento a vita. Tutto questo per osservare come una raccolta organica di metodi ed esperienze concrete sia attualmente molto problematica. Riguardo al secondo punto il discorso si fa più complesso. Ricordo di sfuggita che una disciplina, per essere considerata “scientifica” deve avere questi requisiti: “deve avere dei presupposti di base in armonia con le discipline che le sono simili e parallele”. Deve avere dei presupposti di base accettabili razionalmente e riconosciuti (niente forze exraterrestre o entità invisibili, mi dispiace per i mistici). Soprattutto, deve rigorosamente obbedire al principio causa-effetto. Se accade, una determinata condizione di causa, deve sempre e ovunque conseguire una determinata e unica condizione di effetto, o comunque con un altissimo margine di probabilità. Solo così può dirsi una scienza, e non un insieme di fatti o notizie. Invitiamo i colleghi studiosi della materia, a una revisione critica delle verità scontate e ovvie che sono accettate passivamente dal popolo del ferro. La tecnologia, metodologia e periodizzazione dell’allenamento della cultura fisica ci vengono da quelle degli sport “ufficiali”, in particolare della pesistica. La dietologia, che è già molto più svincolata, riceve fieri attacchi da quella medica, fatta, è bene ricordarlo, per guarire stati carenziali o correggere dismetabolismi, mai per pompare dei sani. Lo studio delle modificazioni fisiologiche indotte dall’allenamento della cultura fisica, appoggia sulla fisiologia umana “normale” prescinde da quelle profonde modificazioni indotte nel body building, ritenute patologiche, e che sono invece l’obbiettivo.
L’Intensità.
Body builder e allenatori, visto le sostanziali differenze col mondo reale dello sport, dovrebbero fare una a revisione critica di un concetto basilare nella metodologia e periodizzazione dell’allenamento culturistico: quello di intensità del lavoro nel Body Building. In questo concetto c’ è stata tutta una fioritura di schemi periodici, di microcicli, macro-mesomicrocicli a progressione, a onde, a picchi alternati, e così via. Che sia uno, anzi il concetto fondamentale da aver chiaro e soprattutto da ricercare sempre è ovvio. Meno lo è quando si cerca di definirlo analiticamente e più ancora di misurarlo. Anche (sempre la lotta fra regole “ufficiali” ed esperienza’) perché c’è una continua dialettica: “Io cerco sempre il massimo d’intensità quando mi alleno, per quel tipo di allenamento!” dicono i grandi campioni. Occorre periodizzare a carichi percentualmente variabili. Ottimo è passare da sedute all’80%, al 65%, poi al 95% e infine al 50%, proclamano i teorici. Da qui i grafici come elettrocardiogrammi, in su e in giù, settimana dopo settimana. La casa madre di questa scuola è, ovvio, la – Madre Russia – e il suo primo profeta Matveev, che viene citato e talmudizzato su dotti articoli e schemi di preparazione ancor oggi. L’intensità viene considerato come uno dei parametri più importanti da stabilire in un programma di allenamento con sovraccarichi. Bisogna precisare che il concetto di intensità, applicato nel contesto scientifico, fa riferimento unicamente alla sua definizione intesa come percentuale di 1 ripetizione massima (% 1 Repetition Maximum) o percentuale di carico, e non ad altre formule o definizioni alternative, spesso utilizzate in un contesto empirico.
Parametri degli sport di prestazione.
Benché all’interno delle discipline che prevedono un allenamento con sovraccarichi – powerlifting, weightlifting, bodybuilding, fitness – possa essere stabilito con precisione che l’intensità è proporzionale al carico sollevato. Nel bodybuilding e nel fitness, al di fuori del contesto formale e scientifico, l’intensità verrebbe influenzata da ulteriori fattori come la velocità del movimento nelle varie fasi di una serie (Speed of movement), dal tempo totale in cui il muscolo è sottoposto a tensione dall’inizio alla fine della serie (Time Under Tension), dai tempi di recupero, e dall’introduzione di tecniche speciali che possono complicare il riconoscimento di tale formula. Proprio per la sua complicata identificazione all’interno della disciplina del body building secondo questa interpretazione astratta, l’intensità rimane uno tra i parametri più discussi nella sua definizione da parte di diverse scuole. Ciò in quanto si è tentato di introdurre parametri e formule tipiche degli sport di prestazione, in un’attività che non si basa prioritariamente su questo aspetto. Tuttavia i vari tentativi di inquadrare l’intensità in maniera più ampia e alternativa rispetto al metodo scientifico convenzionale, possono essere convalidati solo a livello pratico. Se ad esempio un atleta riesce a sollevare 100 Kg su panca piana per una ripetizione al massimo (1-RM), questi 100 Kg rappresentano il 100% dell’intensità (100% 1 RM), e quindi l’intensità assoluta. Se il carico è ridotto del 20% (80 Kg), l’intensità scende all’80% di una ripetizione massima (80% 1-RM), e si traduce in una capacità di sollevare il carico per più ripetizioni. A sua volta, per ogni intensità relativa (o percentuale di carico) corrisponde una stima approssimativa del numero di ripetizioni che si riescono ad eseguire, naturalmente in condizioni di non affaticamento. Ad esempio si può stimare che un carico relativo all’80% del massimale possa permettere di eseguire al massimo 8 ripetizioni massime a cedimento (8-RM). Queste stime però non sempre corrispondono esattamente alle capacità individuali. Le intensità tipiche adottate nel body building, spaziano dal 65-70%, all’80% di 1 RM circa, cioè circa dalle 8 alle 15 ripetizioni. Questo range di intensità nel resistance training è in genere utilizzato soprattutto dai bodybuilder e dagli entusiasti del fitness. Nel culturismo, infatti, alcune metodiche di allenamento hanno l’obiettivo di aumentare il valore dell’intensità (reinterpretandolo in maniera differente come “fatica” o “difficoltà”), ma non possono essere codificate da una formula o un calcolo.