LE OPINIONI

IL COMMENTO Alice e il sindaco, Confronto politica-cultura

Ai nostri Sindaci isolani consiglio vivamente la visione del film francese “Alice e il Sindaco” di Nicolas Parisier, con la giovane attrice Anais Demoustier. Film presentato anche al Festival di Cannes 2019. Di che cosa parla questo film e perché ne consiglio la visione ai nostri Sindaci? Parla di un potente Sindaco socialista di Lione, Théreneau che, dopo una fattiva, concreta ed innovativa attività amministrativa, si sente un po’ col fiato politico corto e bisognoso di nuove idee e di una rinfrescata di visione programmatica. Che cosa fa, allora, il nostro Sindaco? Ingaggia una filosofa di 30 anni, con qualche esperienza all’Università di Oxford. Da quel momento s’ingaggia, tra i due, una specie di “duello creativo”, non sempre a vantaggio della studiosa, qualche colpo lo mette a segno anche il concreto Sindaco. Il confronto serrato è tra “azione” e “pensiero”, fatti e idee. Dite la verità, quante volte i nostri amministratori locali hanno snobbato giornali locali, suggerimenti, studi, ricerche giovanili, con presunzione e sull’assunto che il Paese va amministrato “con i fatti” e non con il pensiero dei visionari? Senza comprendere che gli uni (i fatti) non reggono senza gli altri (gli orizzonti di senso) e viceversa. Pensiero ed azione, teoria e prassi non sono in contrasto tra loro ma dalla loro giusta fusione può nascere il progresso effettivo. Il filosofo siciliano Manlio Sgalambro, morto nel 2014, scrisse: “Alcuni si agitano perché non pensano. Il <fare> li mangia vivi. Ma in realtà si muovono, non fanno altro”.

Il noto critico cinematografico Mereghetti, sul Corriere della Sera, a proposito del film Alice e il Sindaco, ha scritto: “Scena dopo scena, ne esce una riflessione sui limiti e le possibilità della politica come raramente ho sentito in un film, rigorosa senza essere didascalica, stimolante senza essere superficiale, dove la cultura non è considerata un peso e anzi aiuta a vedere il quadro generale delle cose, alzando la testa dalle tattiche quotidiane”. Se la politica odierna è tutta ripiegata sul presente, in cerca di un ritorno immediato di immagine e di consenso, è evidente che i Sindaci, i Presidenti di Regione, i Parlamentari non hanno bisogno di circondarsi di “teste pensanti”, di esperti, intellettuali. Al più si fanno affiancare da qualche “ mago della comunicazione”, alla Casalino, tanto per intenderci. Ma generalmente confidano solo su se stessi e nelle proprie doti comunicative. Maurizio Ferrera, in un editoriale sul Corriere della Sera, dal titolo “ La politica senza visione che beffeggia gli studiosi” ci spiega che gli amministratori e i governanti quasi mai hanno capacità di diagnosi dei problemi. Anche quando hanno competenze specifiche e capacità risolutive, hanno bisogno di un entourage capace di interpretare la realtà. Egli scrive precisamente: “ Non spetta direttamente ai leader di governo elaborare questa diagnosi. Ciò che manca è un luogo istituzionale e un insieme di < teste> capaci di produrre usable knowledge, conoscenze utili per impostare le politiche pubbliche e orientare l’agenda”. Insomma, manca la filosofia che, nel film francese è rappresentata da una persona fisica, ma che nella realtà politica dovrebbe essere un “ pensatoio” più o meno istituzionale. Non suoni strana questa affermazione. Sono i nostri Comuni, le nostre Regioni, i nostri governanti a ignorare questa necessità, tanto è vero che in Italia non abbiamo un istituto largamente utilizzato in altri paesi evoluti e cioè i cosiddetti policy advisory sistems, strutture di “ consulenza” strategica per le politiche pubbliche. Tali organismi tecnici collaterali hanno anche il merito di attenuare gli effetti di una politica altrimenti votata alla propaganda più immediatamente “ cattura-voti” ma “ divora-futuro”. Arriviamo spesso al punto di beffeggiare gli esperti, i tecnici, gli intellettuali. Pomposamente si maschera tale presuntuosa arroganza sotto la definizione “ necessaria supremazia della politica”. Allora non ci meravigliamo se i nostri Sindaci isolani, a somiglianza di governatori regionali e governanti, snobbano qualsiasi ipotesi di collaborazione di pensiero, di contributo di idee e di programmi. Al progetto di circondarsi di un pool di giovani, culturalmente attrezzati, non ci pensano proprio. Chi intravede, ogni tanto, barlumi di resipiscenza e di apertura dei nostri amministratori locali, si illude.

Faccio un esempio: all’inizio di questa legislatura del Comune d’Ischia, il Sindaco Enzo Ferrandino, constatata la difficoltà di mediare tra una molteplicità di richieste dei consiglieri di maggioranza, fece la mossa del cavallo sullo scacchiere, nominando una “Giunta tecnica”. In realtà, a quella Giunta non dava nessun credito se non quello di “attendere giorni migliori”, facendo sbollire le troppe aspettative dei consiglieri che avevano contribuito a farlo eleggere. E comunque, anche qualora ci avesse creduto, non è quella la strada per avvalersi del contributo di intellettuali. Più che l’incarico diretto a chi è esperto di letteratura, arte, informazione, è auspicabile un contributo esterno di detti soggetti. Verrebbe quasi da pensare che un logorante incarico diretto a questi esponenti della società civile e culturale, esposti alle critiche, alle trappole dei praticoni della politica sia stato voluto per dimostrarne l’inutilità. Si sapeva che rappresentavano una soluzione transitoria. Ben altro sarebbe creare un think tank, in grado di elaborare strategie di lungo respiro. Per quanto mi riguarda, rivedrò il mio giudizio negativo non al primo stormire di apertura al confronto e al dialogo, ma solo quando si darà veste istituzionale ad una collaborazione di programmi e idee. Ad Ischia, come in Italia, difficilmente riusciamo a stabilire un corretto rapporto tra politica e cultura; per lo più ci si sbeffeggia a vicenda: la politica irride “nani e ballerine”, la cultura disprezza l’ignoranza dei politici. Mai che si tentasse una sana collaborazione, comprendendo che la cultura non può essere l’abito elegante da sfoggiare solo alla prima occasione importante ma l’abito giusto, durevole e a misura, per le necessità quotidiane ma anche per le occasioni venture e che magari può essere trasmesso ai figli e ai nipoti. E gli intellettuali, intesi nel senso proprio di soggetti dediti prevalentemente ad attività di pensiero, devono rispettare la politica come l’unico mezzo possibile per assicurare il futuro ai giovani e regolare i rapporti tra le persone. In chiusura voglio fare un solo, semplice esempio, di come un supporto culturale istituzionale sarebbe utile.

Da un po’ di giorni si è sviluppata una polemica su un nuovo nome da dare ai licei (classico e scientifico) di Ischia. Dall’integrazione dei due licei (Giovanni Scotti per il classico, Einstein per lo scientifico) è sorto il problema del nome da adottare. Come purtroppo capita spesso nella nostra isola, la disputa ha assunto un aspetto non propriamente simpatico, scivolando in terreno paragiudiziario, tramite una sorta di diffida al Preside Calise di guardarsi bene dall’eliminare il nome di Giovanni Scotti. Naturalmente, il Comune d’Ischia e gli altri Comuni isolani non hanno ritenuto affatto di dire una loro parola in merito. Come se il nome di un liceo doppio (classico-scientifico) riguardasse solo il mondo della scuola e non tutto il paese. Come se i rappresentanti della comunità non contassero nulla e contassero solo i consigli di Istituto. Questa è mancanza di cultura e di visione di un paese. Sulla questione specifica, se mantenere il nome doppio Einstein-Scotti o assegnarne uno nuovo (Vittoria Colonna, Giorgio Buchner o altri) mi sarebbe piaciuto che anche il Sindaco d’Ischia avesse interpellato un pool di esperti ed intellettuali per contribuire, insieme ai Consigli di Istituto dei due licei unificati, a trovare la soluzione più adatta. Il sottoscritto (che non sarà interpellato da nessuno, non avendo titolo alcuno) pensa che il nome del Liceo è un po’ come la questione del crocifisso nelle aule scolastiche. Se si dovesse decidere per la prima volta, oggi, se mettere i crocifissi nelle aule direi di no, nel rispetto della laicità dell’istruzione pubblica, pur nella massima considerazione del valore universale del cristianesimo. Il problema è che oggi bisogna decidere di una cosa più pesante: se “togliere” i crocifissi dalle aule. Il “togliere”offende, il “non mettere” no, è diverso. Allo stesso modo, se oggi dovessimo scegliere ex novo un nome per i licei, ne suggerirei uno nuovo e diverso, Ma eliminare “Giovanni Scotti” lo troverei – a questo punto – offensivo e lesivo della sensibilità di una parte significativa dell’isola. Ecco a che cosa serve, e quali risposte deve dare, la cultura al servizio della politica!

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