LE OPINIONI

IL COMMENTO Covid e turismo, la colpa non è del pipistrello

DI MARIO RISPOLI

Difficile ragionare di turismo quando imperversa la terza ondata del Covid-19 che si aggiorna in varianti sempre più sinistre. Difficile perché il coronavirus viaggia da una parte all’altra del mondo con gli stessi vettori dei turisti rendendo così più tribolata la ripartenza del comparto cui è affidata buona parte della ripresa nel nostro Mezzogiorno. E questa al momento sembra l’unica notizia positiva. Ma se dovremo convivere con il virus, il turismo, ancor più di altri settori, dovrà rivedere i suoi schemi e puntare su livelli di sostenibilità sconosciuti anche solo fino a qualche anno fa quando il numero delle presenze faceva la differenza tra una stagione riuscita e una andata male e concetti come “limite dello sviluppo” noti sin dagli anni Settanta, non si portavano più come il borsello da uomo che andava di moda appunto negli anni Settanta.

Oggi le cose si sono fatte serie, dalla nostra le cifre del Recovery fund, superiori anche a quelle del piano Marshall che consentì all’Europa di riprendersi dalla guerra. Di contro alcune di criticità che meritano una qualche riflessione. Parliamo di un comparto, quello del turismo, da 115 miliardi di euro: 4 volte l’agroalimentare e oltre 4,5 quello dal tessile. Di 3,56 milioni di posti di lavoro pari al 14 % dell’occupazione in Italia. Di 33.000 esercizi alberghieri con 2.261.000 posti letto, 430 milioni di presenze registrate nel 2018 di cui il 50,5% straniere (dati ISTAT). Presenze straniere: la carne sui maccheroni dell’economia nazionale perché la spesa sostenuta dai turisti stranieri in Italia equivale ad esportazioni, alla pari di un prodotto italiano acquistato e consumato all’estero da stranieri, e quindi in grado di incidere positivamente sul saldo della bilancia dei pagamenti. Numeri importanti quindi ma che vanno letti con una certa dose di creatività. Qualunque studente al secondo anno di economia sa infatti che la filiera dei dati turistici parte dalle strutture ricettive (dove i clienti vengono registrati). Le strutture trasmettono agli enti periferici per il turismo, i quali inviano alle regioni e province autonome che inoltrano infine ad ISTAT.

Se tutto va bene il processo impiega oltre un anno. Ma siccome ogni regione ha un suo sistema di rilevazione e non esiste un di controllo di qualità, il risultato sarà di un pacchetto di dati non sempre uniformi, non sempre controllati e obsoleti. E’ su questi dati che gli assessori al turismo argomentano alla virgola su arrivi e presenze e il WTO si lancia in previsioni sul turismo mondiale, cioè di quello che ancora non è accaduto ma che fa già parte dei dati statistici. Ma se la voce stranieri è importante per la bilancia turistica dei pagamenti è prevedibile che il turismo internazionale rispetto a quello domestico, avrà bisogno di tempi più lunghi per riprendersi, se non altro perché i trasporti internazionali hanno organizzazioni complesse e i vettori potranno ospitare meno passeggeri con conseguente aumento dei costi. E’ lecito quindi pensare che per questioni di sicurezza, almeno per la prossima stagione, si privilegerà un turismo di prossimità su trasporto individuale. Ma prossimità per la Germania – vale a dire 60 milioni di presenze per il nostro paese – significa anche Slovenia e Croazia paesi raggiungibili in auto. Prossimità può riguardare l’Italia centro settentrionale, non il Mezzogiorno, con buona pace PIL pro capite passato dal 65 % del 1970 al 55 % nel 2019 rispetto a quello del Centro Nord.

E poi c’è il grande classico delle classificazioni alberghiere. Come è noto le leggi di classificazione delle strutture ricettive alberghiere cambiano da regione a regione e un albergo a 4 stelle presenta caratteristiche diverse a seconda che si trovi in Lazio o in Liguria. Nel caso della Campania la legge di classificazione alberghiera, risalente al 1984, ha come riferimento dotazioni quali: la presenza del telex; la percentuale dei televisori in bianco e nero; la scorta di carta igienica nei bagni. L’aria condizionata è obbligatoria solo per gli alberghi di pianura. Insomma, a fronte di finanziamenti subordinati a concetti come transizione verde, digitalizzazione e robotica, noi diamo le stelle agli alberghi contando i rotoli di carta igienica nelle toilette. Indipendentemente dal quadro normativo è importante anche ripensare alle architetture delle strutture ricettive che dovranno dimensionare diversamente gli spazi comuni. La ripartenza sarà sicuramente complessa se si pensa, per esempio, che gran parte del sistema dell’offerta era venduta a tariffe variabili nel tempo, che puntavano alla piena occupazione dei mezzi di trasporto, degli alberghi, dei servizi. Sono ora allo studio nuove modalità di vendita e fattori per la determinazione del prezzo.

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In conclusione il modello di sviluppo cui ci eravamo adagiati e nel quale all’improvviso è esploso il Covid – 19, porge il fianco. Serve ripensare ai luoghi dell’abitare, alle forme di economia circolare, alla sperimentazione di una mobilità sostenibile, ad un welfare che garantisca un sistema di medicina diffusa in grado di garantire cittadini e turisti e di resistere ad eventuali aggravamenti della situazione pandemica. Ad un turismo che crei benessere diffuso e che valorizzi e non mortifichi le risorse naturali che sono di tutti anche di quelli che non beneficiano direttamente dell’indotto turistico e soprattutto delle nuove generazioni. Dobbiamo prendere atto che ogni località ha una sua capacità di carico e che potrà accogliere un numero di visitatori commisurato ad infrastrutture e attrezzature di accoglienza. Numero oltre il quale si rischia di compromettere la salute prima ancora della vacanza del turista; la qualità della vita e di conseguenza il paradigma economico della località ospitante.

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Ma questa che sembrerebbe la madre di tutte le questioni a ben guardare potrebbe rappresentare un’opportunità soprattutto per quelle località fragili che più di altre soffrono l’impatto antropico dei flussi turistici. Il tema è interessante anche per i piccoli borghi di cui è costellato il nostro paese compreso la Campania. In questi luoghi ora abbandonati, sono praticabili forme di turismo sostenibile con sistemi di accoglienza diffusa in grado di valorizzare l’esistente, creare forme di economia territoriale e conseguenti opportunità di lavoro. Opportunità buone, centrate sull’uomo, sulla sua qualità della vita. Concetti snobbati negli ultimi anni ma che la pandemia costringe a rivalutare in un’ottica di neo umanesimo di cui parla Francesco Bergoglio, fine economista oltre che papa, Mario Draghi e filosofia di fondo, conditio sine qua non arriveranno i finanziamenti comunitari. Non sarà facile cambiare il modello economico e sociale, ripensare i luoghi di aggregazione, di lavoro, di turismo. Ma se la società cambia anche il turismo deve cambiare perché “il turismo è la gente”. In mancanza sarà inutile dare la colpa al pipistrello di turno.

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