CULTURA & SOCIETA'

La Festa di San Biagio a Procida

DI VALERIA DI MEGLIO

Quando ero piccola, il pomeriggio del 2 o la mattina presto del 3 febbraio il profumo delle pagnottelle accompagnava tutti i gesti degli abitanti di casa. Due ricordi legati a questi tipici dolci fanno capolino nella mia memoria: il primo, la preparazione solenne di un cestino per portare le pagnottelle a benedire con la scuola il 3 mattina (evento capitato almeno una volta negli anni delle elementari). Il secondo, quello più caro, la premura di una vicina che mi portava le pagnottelle benedette se avevo influenza e mal di gola, cosa che succedeva abbastanza spesso quando ero bambina.

Quel gesto aveva una doppia valenza e benevolenza: 1. portare dei dolcini a una bimba con la febbre. 2. Darle un antidoto contro il mal di gola. Sì, perché San Biagio è il protettore della gola. “Mangt a pagnuttedd ca po’ ste’ bbon cchiù ampress” mi diceva con affetto la vicina. E io prendevo con cura un pezzo di pagnottella diventata magica dopo la benedizione e lo masticavo convinta che poi il mal di gola sarebbe sparito a breve.

A Procida San Biagio è onorato, specie, nella chiesa della Santissima Annunziata, parrocchia che frequentavo da bambina, per il catechismo e che aveva un parroco dalla voce inconfondibile.

La benedizione era rivolta alle pagnottelle, ma anche alle persone: il parroco prendeva due candele e le portava alla gola dei fedeli incrociandole.

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Il giorno di San Biagio, quando io ero piccola, si portavano i cestini di pagnottelle a benedire. Si portano ancora oggi e questa usanza era attesa e diffusa anche durante l’infanzia e la gioventù di mio padre. Un ricordo fa ancora sorridere papà quando si parla di pagnutted, San Biagio e benedizioni. Correva l’anno 1958. All’epoca mio padre arrotondava i guadagni guidando un microtaxi (a motorett) nei periodi di sbarco da marinaio di lungo corso. La mattina del 3 febbraio di quell’anno, lui e un collega tassista, si ritrovarono ad accompagnare dei fedeli alla funzione liturgica della benedizione delle pagnottelle. Mentre veniva celebrata la Santa messa, i tassisti chiacchieravano all’uscita della Chiesa della Madonna della Libera. Una cesta piena di pagnottelle era in bella mostra proprio sulla porta principale dell’edificio sacro. Il collega di mio padre, tra una chiacchiera e l’altra, faceva due passi, stendeva la mano, afferrava lesto una pagnottella e la mangiava in un paio di bocconi, più o meno discretamente. Mangia la prima, azzanna la seconda, ingoia la terza… A un certo punto, l’uomo si rese conto di aver svuotato la cesta. I colleghi lo guardarono allibiti “Ma comm, te mangiat tutt r pagnuttedd?” e lui “Ern bell modd modd”. Le donne della chiesa, addette al trasporto della cesta sull’altare, sconcertate dall’inspiegabile miracolo della sparizione delle pagnottelle, dovettero farsi accompagnare in varie panetterie dell’isola a prenderne delle altre. Mio padre e gli altri tassisti, furono complici del misfatto, coprendo il collega divoratore di pagnottelle e offrendosi volontari per accompagnare le signore a prenderne altre da far benedire.

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* Dal libro “Amma cucena’ “

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